Welfare

Comunità per anziani al bivio: aumentare le rette o chiudere

Continua la nostra inchiesta. In Sardegna, come nel resto d'Italia, il caro energia sta portando le comunità integrate a un drammatico bivio: o si aumentano le rette (ma le famiglie sono allo stremo) o si bloccano i servizi. Chi si occuperebbe degli anziani? E quanti posti di lavoro sarebbero a rischio? Il racconto di Antonello Pili, presidente della cooperativa "Il mio mondo" di Quartu Sant'Elena

di Luigi Alfonso

«Se non interviene subito la Regione a rimpinguare il fondo che attualmente è di 3 milioni di euro l’anno, saranno costrette a chiudere la stragrande maggioranza delle comunità integrate sarde». Non usa giri di parole Antonello Pili, presidente della cooperativa sociale “Il mio mondo” di Quartu Sant’Elena (Cagliari) che gestisce quattro strutture per anziani non autosufficienti a Isili, Mandas (due moduli con spazi in comune) e Quartu.

Anche queste realtà sono alle prese con lo spaventoso innalzamento della spesa per la fornitura di energia elettrica. «Nel mese di agosto 2021 abbiamo pagato 1.100 euro per la comunità di Quartu; ad agosto 2022 la bolletta è arrivata a 4.800 euro, con oltre il 400 per cento d’incremento. Per le quattro strutture pagavamo 3mila euro al mese, ora siamo arrivati a quota 14mila. Poi c’è il gas, nel quale abbiamo riscontrato un rincaro del 120 per cento. Aderiamo a Power Energia, un fornitore che fa parte, come noi, di Confcooperative. Applicano prezzi senza particolari scontistiche, anche loro sono stati travolti dagli aumenti degli ultimi mesi».

«Come tutte le altre realtà d’Italia – prosegue Pili – ci troviamo al classico bivio: aumentare le rette a carico delle famiglie oppure chiudere le strutture. Nel primo caso, credo che ben pochi potrebbero far fronte ad altri oneri perché tutti sono toccati da questi rincari. E la chiusura, oltre ad essere un dramma per gli anziani e le loro famiglie, imporrebbe il Fis (l’equivalente della cassa integrazione per questo settore, ndr) per 60 dipendenti che hanno famiglia».

L’aspetto energia al momento è quello preminente, ma non l’unico. Anche i prezzi dei generi di prima necessità sono aumentati. E poi c’è sempre il Covid. «Stiamo gestendo alcuni casi tra i nostri ospiti», spiega Pili, «un camice monouso costa 6 euro, una tuta 10 euro. Ogni operatore ci costa 50 euro al giorno; moltiplicato per i 6 operatori impiegati, diventano 300 euro. Dobbiamo pagare anche i tamponi e le relative certificazioni, perché non interviene più il pubblico: dai 15 ai 30 euro ciascuna. La Regione dovrebbe adeguare il fondo ad hoc. Parlo della Regione perché i Comuni non hanno risorse sufficienti neppure per pagare il proprio consumo energetico: è un cane che si morde la coda, un problema sociale dalle tante sfaccettature».


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