Salute
Come un romanzo: l’educatore professionale accanto alla persona con problemi di salute mentale
Riflessioni interprofessionali a margine del convegno “Setting socio riabilitativi ed interventi educativi, per lo sviluppo di autonomie, risorse e potenzialità delle persone con disagio psichico”
Si è svolto nei giorni scorsi al Policlinico di Bari il convegno dal titolo “Setting socio riabilitativi ed interventi educativi, per lo sviluppo di autonomie, risorse e potenzialità delle persone con disagio psichico”. Con modalità mista, in presenza e online, hanno seguito l’evento 230 persone tra educatori professionali, tecnici della riabilitazione psichiatrica, assistenti sociali, professionisti e studenti dei corsi di laurea, medici del DSM, università, ordini TSRM-PSTRP e Croas, terzo settore e istituzioni locali. Tema portante del convegno è stato il lavoro integrato tra le professioni al fianco delle persone con problemi di salute mentale; competenze professionali che crescono, punti d'incontro ed un lavoro comune per il benessere dei cittadini vulnerabili.
L’incontro tra professionisti delle relazioni d’aiuto ha chiarito ancora una volta quanto meraviglioso sia il nostro lavoro: semplice com’è il fare del bene e insieme complicato e mai scontato. D’altronde come altro potrebbe essere e che valore avrebbe se non portasse con sé qualcosa di trasformativo? Educatori e tecnici della riabilitazione si confrontano e condividono l’utilizzo di setting e tecniche di intervento ma vanno ben al di là per trovare la più tangibile consonanza che ciò che caratterizza il valore del nostro lavoro è anzitutto, l’incontro umano, il fatto di esistere di fronte all’altro sentendosi presenti e sentendone la presenza. È da qui che può iniziare una relazione terapeutica. È solo la qualità alta della relazione che dà valore ed efficacia alle teorie e alle tecniche scelte. Una relazione di alta qualità la riconosciamo dal percepire nettamente in essa la presenza di equilibrio, umiltà, coinvolgimento, trasparenza, autenticità.
Condividere un’emozione richiede di essere presenti, accogliere ciò che sta accadendo nell’altra persona. Avvicinarsi a colui che sta provando l’emozione, stabilire un contatto con l’altro. D’altronde è quanto vorremmo che fosse fatto per noi quando stiamo male. Ed è proprio su questo piano che siamo alla pari ed è soltanto su questo terreno che ci si potrà incontrare veramente.
Ciò che però viene richiesto all’educatore e a chiunque altro eserciti le professioni d’aiuto, è una grande accortezza e un solido assetto etico che devono coesistere con una altrettanto precisa e netta consapevolezza della asimmetria dei ruoli e delle responsabilità. Dunque è su questa certezza che tutti noi operatori, educatori, terapisti, assistenti sociali… ci incontriamo. Abbiamo la responsabilità del prenderci cura dell’altro insieme all’altro, facendo in ogni momento del nostro meglio, nel modo più idoneo a perseguire il benessere di chi a noi sta provando ad affidarsi. Nella chiarezza della definizione del problema, degli obiettivi, dei metodi del nostro lavoro.
Questi profili della riabilitazione promuovono oggi il lavoro interprofessionale. La complessità della presa in carico chiama costantemente alla condivisione dei percorsi di cura ed al confronto tra professionisti e funge da ispirazione ad un modello centrato sulla partecipazione, ambiti di intervento integrati e confini professionali flessibili. Nasce la necessità di saper lavorare in équipe per condividere i principi e la mission dell’intervento rappresentati nel Progetto Socio-Riabilitativo Individualizzato. L’identificazione delle area di problematicità e di intervento avviene secondo il modello biopsicosociale che permette di costruire il profilo globale del funzionamento del singolo paziente, del contesto in cui si andrà ad agire e delle parti coinvolte: il paziente in primis e sua famiglia laddove possibile. Ogni componente dell’équipe deve essere consapevole del proprio e dell’altrui contributo, delle sfere di competenza e dell’autonomia professionale. Il modello operativo di riferimento interprofessionale versus multiprofessionale, è centrato sulla partecipazione con ambiti di intervento integrati. I presupposti per una comunicazione d’équipe produttiva e trasparente sono rappresentati dalla condivisione della filosofia di cura e del processo decisionale, come pure dalla omogeneità di linguaggio e dalla capacità di fondere le diverse esperienze e competenze. Di contro, importanti ostacoli (su cui occorre fare un lavoro su se stessi) sono dati dalle caratteristiche personali dei componenti (competitività, gelosie preconcette, contrapposizioni sindacali/professionali, sospettosità, litigiosità, chiusure preconcette…) e da formazioni differenti tra i membri dell’équipe. Viene così confermata l’importanza da un lato della formazione di base, e dell’aggiornamento inter-professionale, finalizzati all’adozione di un sapere condiviso, e dall’altro di una formazione sulla “comunicazione efficace” per sostenere e gestire in modo funzionale la discussione e le relazioni tra i diversi componenti dell’équipe.
La riabilitazione promuove oggi il lavoro interprofessionale. Succede che volgere lo sguardo a mediatori artistici agevola e finalizza il percorso riabilitativo. La fotografia, ad esempio, può essere uno strumento terapeutico potente perché aiuta a vedere con occhi nuovi i paesaggi, gli oggetti e le persone della propria storia personale per poterla raccontare da nuovi punti di vista attribuendole differenti e più funzionali dimensioni di significato.
In un momento storico di “risorse da spendere al meglio” la partecipazione attraverso modalità da remoto e l’uso di cellulare, pc e social sono entrate nel campo della riabilitazione psicosociale. La tecnologia, affiancandosi agli interventi tradizionali, ha iniziato a modificare tempi e metodiche di interventi complessi, aumentando le possibilità di partecipazione, la capacità di decisione e le modalità di cura. Ha offerto la possibilità di disegnare e immaginare setting inediti stimolando risorse personali e pensiero creativo. E così succede che volgere lo sguardo a mediatori artistici agevola e finalizza il percorso riabilitativo. La fotografia, ad esempio, può essere uno strumento terapeutico potente perché aiuta a vedere con occhi nuovi i paesaggi, gli oggetti e le persone della propria storia personale per poterla raccontare da nuovi punti di vista attribuendole differenti e più funzionali dimensioni di significato. Intrecciare la fotografia con il racconto di sè, rende possibile elaborare e strutturare il progetto di un ventaglio espressivo di emozioni e sentimenti su cui occorre essere più competenti.
Esistono ormai esperienze consolidate di nuove pratiche “del fare assieme” dove il concetto di recovery assume un significato di rilevanza centrale per qualsiasi professionista della salute mentale. Ecco l’arte può fare questo: essere generativa di qualcosa di buono. Può uno sguardo diverso permettere a una persona di riscoprire il proprio valore, la propria dignità, così da aprirsi alla speranza di una vita migliore e diventare protagonista di sviluppo? Le nostre esperienze laboratoriali dicono di sì e trasudano una sorprendente positività. In persone e contesti segnati, emerge la gratitudine per un incontro che ha cambiato la loro vita, segnando un prima e un dopo. Le buone pratiche come arte della cura alimentano il cambiamento producendo un clima di fiducia e di autostima fondamentale per favorire un percorso di guarigione. Questo nuovo modo più duttile di accostare la complessità dei disturbi psichiatrici si è recentemente arricchito, con il sostegno di indicatori d'esito, di tecniche di riabilitazione neurocognitiva, social skill training, job coaching e psicoeducazione individuale e familiare.
E poi c’è la speranza! Sperare risolve il dubbio del non essere al posto giusto. Sperare sistema l’angoscia di essere sempre fuori tempo. La speranza vede cose che noi non riusciamo a vedere.
Estremamente positivo come il convegno abbia evidenziato l'esigenza emergente di “includere” l'educazione nelle professioni sanitarie e sociali. Alcune caratteristiche pedagogiche fondamentali attraggono – oltre che gli educatori professionali – anche i terapisti della riabilitazione e gli assistenti sociali: l'orientamento al futuro dato dalla progettualità degli interventi; l'attenzione alle risorse e competenze del paziente piuttosto che alla malattia/diagnosi; la riabilitazione che si basa sui pilastri scientifici del livello di funzionamento e della partecipazione sociale; l'empowerment come istanza etica di protagonismo e controllo sulla propria salute e come necessità di essere dei trasformatori del proprio mondo ed infine il concetto cardine della filosofia dell'educazione e del paradigma sistemico biopsicosociale, ovvero la centratura sulla "persona".
Estremamente positivo come il convegno abbia evidenziato l'esigenza emergente di “includere” l'educazione nelle professioni sanitarie e sociali. Alcune caratteristiche pedagogiche fondamentali attraggono – oltre che gli educatori professionali, per statuto epistemologico – anche i terapisti della riabilitazione e gli assistenti sociali: l'orientamento al futuro dato dalla progettualità degli interventi; l'attenzione alle risorse e competenze del paziente piuttosto che alla malattia/diagnosi; la riabilitazione che si basa sui pilastri scientifici del livello di funzionamento e della partecipazione sociale; l'empowerment come istanza etica di protagonismo e controllo sulla propria salute e come necessità di essere dei trasformatori del proprio mondo ed infine il concetto cardine della filosofia dell'educazione e del paradigma sistemico biopsicosociale, ovvero la centratura sulla "persona". Il paziente è prima di ogni altra cosa "persona", l'educatore è prima di ogni altra cosa "persona", il TERP è prima di ogni altra cosa "persona", l'AS è prima di ogni altra cosa "persona"; lo studente e il docente universitario sono prima di ogni altra cosa "persone". Siamo un tutto inscindibile, non scomponibile in etichette, diagnosi, categorie. Queste caratteristiche tipiche della storia dell'educazione non possono essere "esclusive" di una professione ed è giusto che non appartengano ad una professione. Guai ad essere gelosi di qualcosa che appartiene all'umanità intera. La sfida per noi educatori professionali riguarda la possibilità di favorire e non mai ostacolare questa contaminazione positiva della dimensione educativa dentro ad ogni professione sociale e sanitaria. Ma anche dentro la politica, la cultura e il mondo del lavoro in generale. Questo impegno di contaminazione dell'educazione sarà possibile, nello stile di questo convegno, grazie all'autorevolezza della motivazione, unita alla preparazione teorica, esperienziale e pratica e rafforzando il lavoro di ricerca e di sensibilizzazione culturale.
Marco, commentando in video un’attività di gruppo sostenuta dagli educatori del CSM dice “questa è una giornata particolare, che faccio fatica a dimenticare”. Il video “Storie di condomini e di balconi” nato da racconti “un po’ alla finestra, sulla soglia” parlati dallo sguardo attento e curioso di Elena e prodotto dal Circolo In Luce stories, riporta un frammento dei dialoghi da lockdown: sai cosa mi ha detto la signora del piano di sopra (dice x, parlando con una sua dirimpettaia), fa dei numeri a caso e trova qualcuno che le risponda e passa il tempo.
Il sostegno alle persone vulnerabili, il contrasto all’isolamento, i percorsi per favorire l’impegno attivo nella comunità e la partecipazione nei luoghi di vita, sono la mission principale delle professioni che si impegnano per le persone con problemi di salute mentale; lo fanno con metodo, con tecniche, con professionalità, con etica e umanità.
Ci piace considerare il paziente, l’utente, la persona come un romanzo. Il nostro compito non è dirigere, interpretare, spiegare o chiarire, ma ascoltare, comprendere, far riflettere sui dubbi e sulle false certezze, aiutare l’altro a prendere carta e penna e inchiostro per scrivere la sua vita. Per provare a vivere un po’ meglio. Perché ognuno di noi, a suo modo, è letteratura.
*testo redatto da Francesco Crisafulli con Maurizio Cimino, Carmen Squeo, Filomena Abbadessa, Dario Fortin
Photo by Micah Boswell on Unsplash
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