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Suicidi nei ragazzi: servono le parole per rompere lo stigma
Vertiginoso aumento di autolesionismo e tentati suicidi tra i giovani. Stefano Vicari: «la prevenzione suicidi non è una chimera». C’è molta attesa per l’istituzione presso il ministero della Salute di un tavolo sulla salute mentale negli adolescenti. Il primo passo: accettare e riconoscere che esistono i disturbi mentali anche nei giovanissimi. Un'associazione aiuta a rompere lo stigma, il pregiudizio e la vergogna che spesso ruotano attorno al tema del suicidio. In coda all’articolo alcuni numeri utili a cui rivolgersi
Ogni anno in Italia si registrano circa 4mila morti per suicidio. Con una incidenza particolarmente grave tra i giovani: il suicidio è la quinta causa di morte tra gli adolescenti dai 10 ai 19 anni. Negli ultimi 10 anni gli accessi per ideazione suicidaria o tentato suicidio al Bambino Gesù sono cresciuti esponenzialmente, con aumento in particolare del 75% nei 2 anni della pandemia rispetto al biennio precedente: si registra, in media, un caso ogni giorno tra i 9 e i 17 anni.
«Le esperienze internazionali ci dicono che la prevenzione dei suicidi non è una chimera», sottolinea Stefano Vicari, professore ordinario all’Università Cattolica e responsabile di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambino Gesù di Roma. Come fare allora, concretamente? Lo abbiamo chiesto a Gino Maglio, Medico specialista in Psichiatria presso UOC Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS.
Dottor Maglio, concretamente come può un genitore intercettare i segnali di malessere? A cosa deve prestare attenzione?
I dati riportati dimostrano chiaramente che esistono condizioni associate ad intensa sofferenza psichica e profondo disagio emotivo che riguardano anche i bambini e gli adolescenti. Spesso per una serie di preconcetti si tende a pensare che questa popolazione sia lontana da tali problematiche e che la depressione, con tutte le sue criticità associate, incluso il suicidio, riguardi solo gli adulti. Purtroppo invece i disturbi dell’umore, tra i quali la depressione appunto, sono frequenti anche in età evolutiva, ed in questa fase della vita hanno delle manifestazioni con caratteristiche particolari. Un genitore può accorgersi di alcuni primi segnali che sono importanti da riconoscere, sicuramente dei cambiamenti nello stile di vita costituiscono un campanello d’allarme: ad esempio un bambino che ha smesso di provare piacere in quello che prima lo interessava, che si rifiuta di andare a scuola, che ha perso interesse nel frequentare gli amici che prima vedeva volentieri, che trascorre la maggior parte del tempo ritirato nella propria camera, che non pratica più lo sport con divertimento come faceva prima. Spesso si riduce la comunicazione con i familiari, i ragazzi diventano più silenziosi, può modificarsi anche il sonno notturno che diventa difficoltoso, può essere sia ridotto che aumentato ma è sostanzialmente sempre poco riposante, possono comparire cambiamenti anche nelle abitudini alimentari, ad esempio digiunare e perdere peso o al contrario abbuffarsi ed ingrassare. Infine segnalerei una caratteristica tipica di tali disturbi proprio in questa fascia di età, ovvero l’aumento dell’irritabilità, caratteristica che spesso viene descritta in modo generico come “nervosismo”, cioè arrabbiarsi molto facilmente anche per motivi futili, reagire in modo eccessivo a divieti o rifiuti, rispondere spesso male ai genitori, agitarsi con facilità diventando spesso aggressivi con le parole o anche con i gesti, verso gli altri o talvolta nelle condizioni più critiche anche verso sé stessi tramite l’autolesionismo (per esempio tagli o bruciature). Ecco questi sono solo alcuni dei segnali che devono allarmare le famiglie.
Tali manifestazioni sono complesse da riconoscere, spesso alcune possono essere anche molto comuni
Vero, e ovviamente non sempre rappresentano un sintomo di un vero disturbo; ma quando si protraggono nel tempo, quando diventano radicate, quando sono ripetitive ed incidono profondamente in modo negativo nella regolarità della vita quotidiana, in questi casi il genitore deve prestare una maggiore attenzione e senza timore deve chiedere aiuto ad un esperto per una valutazione specialistica.
Oltre l’80% dei tentativi di suicido è messo in atto da bambine e ragazze; l’età media di chi tenta di togliersi la vita è di circa 15 anni, il più giovane ha 9 anni. Come si spiega questi dati?
Questi comportamenti sono manifestazioni di disturbi complessi e non hanno mai una causa unica, ma una riflessione che possiamo fare osservando questi dati riguarda le differenze che contraddistinguono la pubertà tra il maschio e la femmina. La pubertà rappresenta di per sé un periodo di passaggio complicato sotto numerosi punti di vista: biologici, ormonali, psicologici e sociali; porta a numerosi cambiamenti nell’autostima, nel rapporto con gli altri, nel rapporto con il nostro corpo, e segna l’inizio della sessualità. É un’età in cui non si è più bambini ma non si è ancora pienamente adulti. Questo periodo fisiologico compare prima nel sesso femminile, nelle ragazze è più marcato, porta a cambiamenti più netti ed in modo più rapido. Così come nell’arco della vita della donna tutti i periodi di cambiamento ormonale (ad esempio il periodo perinatale o la menopausa) rappresentano un momento di maggiore vulnerabilità per rischio di insorgenza di disturbi mentali, anche la pubertà può essere considerata come un fattore stressante aggiuntivo. Oltre a questo contesto temporale di passaggio fatto di questi cambiamenti fisiologici, vanno ovviamente considerate numerose concause che espongono i giovani ad ulteriori vulnerabilità per sviluppare un disturbo mentale: pensiamo certamente alla predisposizione genetica, ai fattori ambientali come le relazioni familiari, ai rapporti nel contesto scolastico o ad altri fattori stressanti come traumi o l’abuso di sostanze stupefacenti, di cui si osserva drammaticamente un consumo maggiore ed in età sempre più precoce, anche in età scolare.
Questi comportamenti sono manifestazioni di disturbi complessi e non hanno mai una causa unica, ma una riflessione che possiamo fare osservando questi dati riguarda le differenze che contraddistinguono la pubertà tra il maschio e la femmina. La pubertà può essere considerata come un fattore stressante aggiuntivo
Le malattie mentali, se affrontate nei tempi giusti, hanno un’alta probabilità di guarigione. Ma le neuropsichiatrie sono intasate (i miseri 325 letti di NPIA disponibili in Italia non bastano più. Ne servono – almeno- altri 150); gli specialisti insufficienti, le richieste di aiuto superiori alle possibilità di accoglienza. A chi si può chiedere aiuto?
Bisogna innanzitutto partire con l’accettare e purtroppo riconoscere che esistono i disturbi mentali anche nei giovanissimi: questo è in linea con i dati degli studi internazionali dell’ultimo decennio ed è dimostrato dalle richieste di aiuto per condizioni anche gravi che osserviamo in drammatico aumento negli ultimi anni. L’idea che questa giovane popolazione non fosse esposta a queste esperienze di estrema sofferenza è stata ampiamente superata nell’ambiente medico specialistico. Probabilmente i servizi di assistenza attuali, la loro organizzazione e lo scarso spazio dedicato, risentono ancora di pregiudizi e dello stigma radicato nella cultura generale, secondo cui i bambini e ragazzi non possano soffrire e che i disturbi mentali non li riguardino. Fortunatamente le cose stanno cambiando, è un tema di cui si parla sempre con maggiore frequenza ed interesse, e l’assistenza sanitaria deve di conseguenza adattarsi a questa attualità; all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, presso la UOC di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza diretta dal Prof. Stefano Vicari sono attivi e si stanno sviluppando servizi dedicati, con un’attenzione crescente per la formazione e la ricerca che riguarda le specifiche problematiche psichiatriche di queste fasce di età. Ci auguriamo che a livello nazionale i servizi assistenziali, i posti letto e le risorse vengano al più presto aumentati adeguandosi alle necessità, nel frattempo bisogna rivolgersi ai centri di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza già esistenti nei poli universitari, ospedalieri ed a livello territoriale
Bisogna innanzitutto partire con l’accettare e purtroppo riconoscere che esistono i disturbi mentali anche nei giovanissimi. L’idea che questa giovane popolazione non fosse esposta a queste esperienze di estrema sofferenza è stata ampiamente superata nell’ambiente medico specialistico
Pensando a bambini e ragazzi, cosa può fare la scuola? Come potrebbero muoversi i docenti qualora captassero dei segnali in un tema, in un disegno, in una conversazione?
La scuola è il principale teatro per l’osservazione delle relazioni dei bambini e dei ragazzi con i coetanei, ed è in questo contesto che possono emergere e quindi essere riconosciuti i segnali di difficoltà e le prime espressioni di disagio. Ad esempio chi presenta in giovane età sofferenza psichica è spesso un ragazzo o una ragazza che si adatta con difficoltà a scuola e che non riesce ad integrarsi con i pari. Sono giovani che improvvisamente possono andare incontro ad un drastico peggioramento del profitto, che fanno numerose assenze fino al ritiro totale, spesso la tematica del bullismo li riguarda, o lo commettono e ne sono vittime. Dunque i docenti sono certamente degli alleati necessari per intervenire precocemente e far sì che la scuola diventi un luogo che coltivi relazioni positive. Rispetto a come gli insegnanti possano intervenire c’è da dire che la situazione nel sistema scolastico nazionale non è al momento omogenea, le scuole che hanno in dotazione la risorsa di uno psicologo scolastico ad esempio sono sicuramente in una posizione di vantaggio nel fornire un aiuto più efficace ed immediato, sia ai docenti che direttamente agli studenti. I docenti possono rivolgersi allo psicologo nei casi in cui abbiano dubbi o preoccupazioni, lo psicologo ha così modo di osservare o parlare direttamente con lo studente ed eventualmente può richiedere un colloquio familiare e proporre soluzioni per l’intervento. D’altra parte è proprio la scuola che spesso intercetta situazioni di grave disagio anche nell’ambiente familiare (maltrattamenti, incuria) ed in questo caso gli insegnanti avrebbero bisogno di un supporto specialistico per aiutare le famiglie in crisi. Nei casi in cui non fosse disponibile lo psicologo è necessario il coinvolgimento dei servizi specialistici territoriali.
Chi presenta in giovane età sofferenza psichica è spesso un ragazzo o una ragazza che si adatta con difficoltà a scuola e che non riesce ad integrarsi con i pari.
Parliamo ora di prevenzione: nelle prossime settimane verrà istituito presso il ministero della Salute un tavolo sulla salute mentale negli adolescenti, che ad oggi non esiste mentre tutti sappiamo che è una vera urgenza dal momento che il disagio tra gli adolescenti raggiunge il 30%. Sa dirci qualcosa?
L’istituzione di questo tavolo presso il Ministero della Salute è una novità molto importante che accogliamo certamente con grande ottimismo. Dall’esperienza della pratica clinica quotidiana infatti emerge fortemente la necessità di ripensare in maniera adeguata agli strumenti da mettere in campo per la promozione e la tutela della salute mentale dei bambini e degli adolescenti. L’incidenza del suicidio e la prevalenza dei comportamenti suicidari è aumentata sia in alcuni paesi europei che negli Stati Uniti soprattutto tra gli adolescenti, tali condizioni sono correlate ad un aumento dei disturbi mentali, come depressione e disturbi dell’umore; identificare precocemente tali quadri ed intervenire in modo preventivo può essere un’arma di primaria importanza. Sono auspicabili investimenti per garantire maggiori risorse in modo da poter riorganizzare i percorsi di prevenzione ed assistenza necessari per questi giovani.
Nel 2019 Rocchina Stoppelli, la mamma di Giulia morta suicida a sedici anni, ha deciso di fondare un’associazione in ricordo della figlia, «La Tazza Blu» (https://www.latazzablu.org/) che si occupa di prevenzione del suicidio con progetti per i giovani e le scuole, grazie anche al supporto di psicologi specializzati. Ad unirli il desiderio di rompere lo stigma, il pregiudizio e la vergogna che spesso ruotano attorno al tema del suicidio: «La prima forma di prevenzione è avere le parole giuste per parlare di questo tema. Perché le parole possono salvare e aprire cammini e strade di cura». Cosa ne pensa?
Penso ci sia una grande verità in questa affermazione. Il suicidio e la drammatica sofferenza che lo accompagna è un argomento che spaventa e fa paura, difficilissimo da affrontare soprattutto quando riguarda giovani vite e genitori. Tutto ciò che rimane oscuro risulta ancora più inquietante ed inaccessibile, questo aumenta il silenzio, la negazione e l’evitamento. È necessario creare spazi per poter dare voce a questa sofferenza, soprattutto a chi purtroppo ha avuto direttamente a che fare con questa esperienza così critica. Attività come quelle della fondazione “La Tazza Blu” sono fondamentali per accogliere e prestare ascolto a chi è in difficolta, creano una rete di supporto e permettono di accedere a percorsi di sostegno adeguati. Questi progetti aiutano inoltre a favorire il cambiamento culturale necessario per sconfiggere lo stigma a cui sono ancora soggetti questi temi. Per concludere penso che il suicidio sia un evento tragico e non pienamente comprensibile, certamente non sempre prevedibile. Ciò che si può fare è riconoscere precocemente quelle condizioni di sofferenza che necessitano di assistenza specialistica; sappiamo infatti che esiste un legame tra suicidio e disturbi mentali, in particolare i disturbi dell’umore, questo è ampiamente riconosciuto a livello internazionale; bisogna dunque garantire la possibilità di accedere in modo semplice ai percorsi di sostegno specialistici adeguati per tale problematiche. In questo senso parlarne significa fare il primo passo verso un possibile percorso di cura.
Tutto ciò che rimane oscuro risulta ancora più inquietante ed inaccessibile, questo aumenta il silenzio, la negazione e l’evitamento.
Per chiedere aiuto
Per far fronte al fenomeno, l’Ospedale Bambino Gesu, Centro di riferimento regionale per le emergenze psichiatriche, ha attivato un servizio dedicato all’assistenza e alla prevenzione del suicidio in età evolutiva in collaborazione con le ASL del territorio. Il Servizio del Bambino Gesù è integrato da una linea telefonica “Lucy” 06.6859.2265 per le consulenze psicologiche urgenti, attiva tutti i giorni 24 ore su 24.
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