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Iran, la morte di Mahsa Amini e la rivolta del velo
#MahsaAmini, 22 anni, uccisa perché secondo la "polizia morale" indossava male l'hijab. Nelle piazze delle città le donne scendono in piazza, bruciano i veli e si tagliano i capelli. «L’uccisione di Mahsa Amini», spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, «è una delle cose più terribili accadute negli ultimi anni in Iran. Tutti gli agenti e i funzionari coinvolti nella morte di Mahsa devono essere portati di fronte alla giustizia, ma serve un processo internazionale. Da quando Ebrahim Raisi è diventato presidente la situazione è degenerata e visto da qui il tema dei diritti umani in Iran è o assente o strumentalizzato»
di Anna Spena
L’hashtag #MahsaAmini su twitter ha superato i 5 milioni. Mahsa Amini, 22 anni, è stata arrestata dalla Pattuglia di guida della Repubblica islamica dell'Iran, una squadra speciale di polizia incaricata dell'applicazione pubblica delle norme islamiche sull’hijab, si chiama la “polizia morale”. Mahsa Amini, 22 anni, è stata uccisa perché i capelli le uscivano un po’ dal velo, di lei non può restare solo un hashtag. Secondo il rapporto ufficiale della polizia Mahsa Amini avrebbe avuto un'insufficienza cardiaca ed è morta dopo due giorni di coma. La verità invece è che è stata massacrata. Originaria della città di Saqqez, nella provincia del Kurdistan, nell'Iran occidentale, quando è stata arrestata, martedì 13 settembre, si trovava a Teheran con la famiglia. Per due giorni è rimasta in coma all'ospedale Kasra di Teheran. È morta nel reparto di terapia intensiva il 16 settembre. La clinica in cui è stata ricoverata ha rilasciato una dichiarazione su Instagram secondo cui Mahsa Amini era già in stato di morte cerebrale quando è arrivata. Il post poi è stato cancellato. Con la morte di Mahsa, le proteste e le marce si sono diffuse in diverse città. Le donne stanno scendendo in piazza, bruciano i veli, si tagliano capelli. Ci sono state manifestazioni a Teheran, Rasht, Esfahan, Karaj, Mashhad, Sanandaj, Ilam e molte altre.
«L’uccisione di Mahsa Amini», spiega Riccardo Nuory, portavoce di Amnesty International Italia, «è una delle cose più terribili accadute negli ultimi anni in Iran. Nel 2019 nel Paese è nata questa campagna promossa da alcune attiviste che, nei punti più esposti delle città, si tolgono il velo, si fanno un video e lo postano sui social. Poi vengono arrestate per prostituzione o incitamento alla prostituzione, sia loro che le avvocate che le difendono in tribunale. Ma quello a cui abbiamo assistito è una storia ancora peggiore: Mahsa Amini aveva 22 anni e non era un’attivista che, consapevole dei rischi che avrebbe corso, ha fatto un gesto di sfida. Mahsa Amini era solo una ragazza che è stata uccisa per qualche centimetro di capelli. La polizia religiosa si è tolta le redini da quando Ebrahim Raisi è diventato, nell’agosto del 2021, presidente, sotto di lui tutto è peggiorato». Solo dall’inizio del 2022 in Iran sono state impiccate 415 persone.
«Le circostanze che il 16 settembre hanno portato alla morte di Mahsa Amini devono essere indagate», continua Noury. «Così come le accuse di tortura e altri maltrattamenti. Ma chiediamo, ed è necessario, un processo internazionale. Non abbiamo fiducia che le autorità iraniane siano in grado di giudicare sé stesse».
La morte di Mahsa Amini è il secondo fatto che ha scosso l’Iran e l’opinione pubblica negli ultimi mesi. Lo scorso maggio è crollato un edificio di dieci piani ad Abadan, nella provincia sudoccidentale del Khuzestan in Iran, che ha fatto oltre 40 vittime. «In tantissimi», racconta Noury, «sono scesi in piazza per protestare e sono stati presi a pallottole. Come in tantissime, nonostante il divieto delle autorità, stanno scendendo nelle piazze in queste ore e rischiano il carcere, anche se le proteste sono pacifiche. Decine di donne già languono nelle prigioni iraniane da anni solo per aver denunciato e lottato contro leggi profondamente discriminatorie, come ad esempio Nasrin Sotoudeh e Yasaman Aryani. Tutti gli agenti e i funzionari coinvolti nella morte di Mahsa devono essere portati di fronte alla giustizia. Le autorità lascino finalmente alle donne la scelta di quello che vogliono indossare».
Dobbiamo far circolare queste storie il più possibile. «In Italia si ha la tendenza di parlare poco di Iran», spiega Noury, «perché è un partner commerciale. In secondo luogo perché qualcuno lo vede come antagonista all’egemonia degli Stati Uniti. Poi c’è il tema del nucleare. Di fatto, in queste circostanze, il tema dei diritti è o assente o strumentalizzato».
Eppure la popolazione dell’Iran è una popolazione giovane, fatta da attivisti: «hanno fame di libertà, di diritti. Hanno un coraggio e una generosità pazzeschi. E sapere sotto quale regime vivono spacca il cuore. Giusto per dare un altro esempio: ogni anni nel mese di settembre c’è l’anniversario per ricordare i massacri delle prigioni del 1988 e le autorità iraniane continuano a impedire alle famiglie di visitare le fosse comuni dove sono sepolte le vittime. L’ultimo sfregio è stato la costruzione di mura di cemento alte due metri intorno alla fossa comune di Khavaran, nella periferia della capitale Teheran, dove si ritiene si trovino i resti di diverse centinaia di prigionieri politici messi a morte nel 1988 in varie prigioni iraniane. Nessun’autorità iraniana è stata mai chiamata a rispondere di quanto accaduto 34 anni fa e, anzi, alcune di quelle coinvolte hanno avuto o hanno incarichi istituzionali. Basti pensare che l'attuale presidente della Repubblica ed ex capo del potere giudiziario faceva parte della “commissione della morte” che presiedette all’esecuzione extragiudiziale di diverse migliaia di dissidenti politici nelle prigioni di Evin e Gohardasht tra la fine di luglio e l’inizio di settembre del 1988. Di fatto un presidente del Paese è sospettato per crimini contro l’umanità»
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