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Cyberbullismo e suicidi: «Ragazzi, segnalate, non si può più voltare la faccia»

L’8,4% di studenti e studentesse alla secondaria di secondo grado ha subito episodi di cyberbullismo e il 7% vi ha preso parte attivamente. Gli strumenti per rispondere e «mettere in sicurezza vittima e bullo» oggi ci sono, dice Elena Ferrara, promotrice della legge 71. Ci sono docenti formati, ma i ragazzi hanno bisogno di avere «la certezza che questi argomenti noi adulti non solo non li minimizziamo ma siamo in gradi davvero di affrontarli, siamo competenti nel dare risposte»

di Sara De Carli

«Se allevi conigli non puoi pretendere leoni»: a tre giorni dalla morte di Alessandro, il tredicenne di Gragnano, ci sono adulti che sui social scrivono commenti di questo tenore. Quando invece uno dei problemi più grossi che abbiamo nel combattere il cyberbullismo e i suoi drammatici effetti è proprio la sfiducia da parte dei giovani nella capacità degli adulti di essere interlocutori attenti e competenti, qualcuno in grado di fare la differenza. Ne è convinta Elena Ferrara, già insegnante di Carolina Picchio – suicida a 14 anni nel 2013, la prima vittima riconosciuta in Italia di cyberbullismo – e promotrice della legge 71/2017 a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. La legge introduce la possibilità di chiamare in causa il Garante della Privacy per chiedere la rimozione dei contenuti, introduce l’ammonimento da parte del Questore per il cyberbullo e in tutte le scuole prevede che venga individuato un professore che sia di riferimento per le iniziative anti-bullismo. Oggi Ferrara è consulente del Consiglio nazionale degli utenti dell’Agcom e membro del Comitato per i diritti civili e umani della regione Piemonte.

Cosa l’ha colpita, in questi giorni, leggendo di Alessandro?

Oltre ovviamente al dramma del ragazzino e della sua famiglia, l’aver letto interviste che sembrano venire da un tempo lontanissimo, da dieci anni anni fa, quando si è suicidata Carolina. Forse bisognerebbe registrare le tante evoluzioni che ci sono state, dare ai giovani la solida certezza che oggi ci sono modalità per aiutarli e ci sono adulti che sanno come intervenire per aiutarli. È ovvio che il fenomeno è così complesso e così diffuso che non si risolve in tre o quattro anni, ma le cose sono molto diverse oggi.

Lei è stata la prima firmataria della legge 71: è un po’ scontato che dica così, no?

La legge 71, se posso dire, era troppo avanti rispetto agli orientamenti dell’epoca, anche a livello europeo. Oggi il contesto è diverso anche rispetto agli anni in cui in Parlamento abbiamo lavorato per l’approvazione della legge.

C’erano i diritti dei minori, quelli sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite, ma mancava del tutto la consapevolezza che quei diritti andassero trasferiti in un nuovo ambiente, quello digitale: adesso invece Ursula von der Layen dice che quello che è illecito nel mondo analogico lo è anche nella rete. È un grandissimo passo avanti, anche se il concetto stenta ad essere ancora riconosciuto: spesso infatti nelle nostre valutazioni morali non attribuiamo sufficiente disvalore morale a quel che succede in rete, né fra i ragazzi né fra gli adulti. L’Europa tuttavia ha dato direttive importanti sull’hatespeech, non solo su minori, che stiamo recependo con le nostre normative in Italia e con il Digital services act di inizio luglio afferma che anche le piattaforme online, per i video e i contenuti caricati dagli utenti, soggiacciono alle stesse misure di coregolamentazione e di responsabilizzazione delle emittenti, cosa che fino a pochi anni fa era al di là da venire. Naturalmente si devono conoscere tutte queste misure di tutela che abbiamo.

Dobbiamo dare ai giovani la solida certezza che oggi ci sono modalità per aiutarli e che quando loro segnalano episodi di cyberbullismo di cui sono vittime o di cui sono a conoscenza poi ci sono adulti che sanno come intervenire per aiutarli. È ovvio che il fenomeno è così complesso e così diffuso che non si risolve in tre o quattro anni, ma le cose sono molto diverse oggi.

Elena Ferrara, prima firmataria della legge 71/2017


Come giudicare l’attuazione della legge 71?

Nelle scuole si è fatto moltissimo, anche perché con l’accelerazione digitale che abbiamo avuto durante la pandemia si è capito che il cyberbullismo e la questione dell’educazione al digitale non poteva essere prese a rilento. Però non possiamo immaginare di sconfiggere dall’oggi al domani una relazione distorta com’è quella basata sulla dinamica del più forte e del più debole, alimentata non solo dalle caratteristiche della rete, ma da una società che non sempre ha la cifra dell’essere inclusiva, responsabile, ispirata alla legalità. Quando vediamo alcune dinamiche nei tredicenni ci diciamo “cosa abbiamo sbagliato?” ma in verità sono le stesse dinamiche che accadono fra adulti sui gruppi telegram. La formazione alla cittadinanza digitale è importante, ma non è sufficiente se i nostri ragazzi vivono immersi in un ambiente violento di per sé.

Ci sono dei dati?

Quelli del monitoraggio del bullismo e del cyberbullismo fatto dalla piattaforma Elisa. Quello sull’anno scolastico 2021/22 è in corso, abbiamo i dati sull’anno scolastico precedente, cui hanno partecipato più di 300mila studenti e più di 45mila docenti. Dai dati emerge che l’8,4% di studenti e studentesse delle scuole secondarie di secondo grado ha subito episodi di cyberbullismo (l’1% in modo sistematico) e il 7% ha preso parte attivamente a episodi di cyberbullismo. La metà dei ragazzi vittime è anche autore di quei comportamenti, perché nella rete diversamente da quel che accade nella realtà tutti possono esser bulli, è estremamente facile. Il bullismo riguarda invece il 22,3% degli studenti e studentesse delle scuole secondarie di secondo grado, come vittima mentre il 18,2% ha preso parte attivamente a episodi di bullismo. Le due cose spesso si intrecciano perché oggi, se veramente si vuole mettere all’angolo una persona, la forma più forte di umiliazione è nella rete. Ed è lì che il bullismo porta a esiti più tragici, molto più di quando non esisteva la messaggistica. Non serve nemmeno che sia una cosa reiterata, spesso basta un video, ma con 2mila visualizzazioni e commenti di offesa, per generare uno shock emotivo che si pensa insuperabile. Nelle scuole è stato nominato il docente referente (76% dei casi nella scuola primaria, 83,4% alla scuola secondaria di primo grado e 74% nelle scuole secondarie di secondo grado), ma tale figura non sembra essere sempre conosciuta nella comunità scolastica, soprattutto da parte degli studenti e delle studentesse: solo il 13% di loro dichiara di sapere chi è il docente nominato come referente nella propria scuola. Anche il protocollo di presa in carico delle situazioni di bullismo e cyberbullismo inizia ad essere diffuso: il 38% dei docenti della scuola primaria dichiara che è stato adottato, così come il 46,1% dei docenti di scuola secondaria di primo grado e il 40,2% della secondaria di secondo grado. Insomma, nella scuola con centinaia di docenti formati oggi c’è un linguggio comune diffuso e quello che non una ma tre leggi dello Stato dicono – la 107/2015, la 71/2017 e la 92/2019 – ossia che nelle scuole ci deve essere consapevolezza e formazione su questi temi e una particolare attenzione ai segnali di rischio, comincia ad essere concreto. Non è ancora sufficiente, ma la strada è tracciata.

I ragazzi devono avere la possibilità di rivolgersi direttamente alle piattaforme, perché non c’è verso, loro di questi argomenti non ne vogliono parlare con i genitori, non vogliono dargli questo dolore. Ci sono tanti soggetti attivi, ma le stesse piattaforme devono poter accogliere una segnalazione e innescare una risposta virtuosa che possa salvare il ragazzo.

Ma oltre alla scuola?

La vicenda di Alessandro mostra bene che accanto alla scuola c’è una dimensione dell’extra scuola che va attivata. Questi atti persecutori sono maturati in un quartiere, la scuola non era ancora iniziata. Questo ci dice due cose: da un lato che i ragazzi devono avere la possibilità di rivolgersi direttamente alle piattaforme, perché non c’è verso, loro di questi argomenti non ne vogliono parlare con i genitori, non vogliono dargli questo dolore. Ci sono tanti soggetti attivi, ma le stesse piattaforme devono poter accogliere una segnalazione e innescare una risposta virtuosa che possa salvare il ragazzo. I ragazzi chiedono questo, risposte attraverso canali digitali. E questo ci dice che serve un codice di co-regolamantazione, che non è ancora stato fatto, non possiamo accontentarti della autoregolamentazione. L’altro aspetto – su cui credo i tempi siano maturi – riguarda i contesti di mutuo aiuto della collettività: quando il sacerdote e il sindaco di Gragnano dicono che “dobbiamo ascoltare i ragazzi” stanno dicendo che è la comunità intera, tutto l’extra scuola, che deve dare ai ragazzi, vittime e bulli, la certezza che di questi argomenti noi adulti ci interessiamo, non solo non li minimizziamo ma siamo in gradi davvero di affrontarli, siamo competenti nel dare risposte. Devono percepire che esistono dei canali che a loro possono ispirare fiducia, che non siano la famiglia. L’appello ai ragazzi è quello a lanciare le loro richieste di aiuto e a fare segnalazioni delle situazioni di vessazione e prevaricazione che vedono: bisogna parlare, non si può più girare la faccia. Spesso i ragazzi non lo fanno perché non percepiscono un livello di ascolto e la concreta capacità di dare risposte. Devono sapere che il bullo non viene criminalizzato, loro non vogliono questo: il bullo è percepito come una persona che deve essere aiutata e recuperata, non vogliono le scuole con i metal detector e forze armate… Il messaggio è che segnalare significa mettere in sicurezza la vittima e il bullo.

L’appello ai ragazzi è quello a lanciare le loro richieste di aiuto e a fare segnalazioni delle situazioni di vessazione e prevaricazione che vedono: bisogna parlare, non si può più girare la faccia. Spesso i ragazzi non lo fanno perché non percepiscono un livello di ascolto e la concreta capacità di dare risposte. Segnalare significa mettere in sicurezza la vittima e il bullo.

Elena Ferrara

Siamo alla vigilia della riapertura delle scuole, qual è il suo consiglio?

Ripartire dalla rilettura, insieme, del regolamento d’istituto e del patto di corresponsabilità, per leggere cosa prevede sui social network in chiave di antibullismo. Fare lo stesso con i genitori. È il primo passo per fare sapere ai ragazzi che c’è tutta una comunità che vuole progredire positivamente.

foto Freestocks

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