Politica
Paolo Galeotti: “È ora di scelte forti, non di barricate”
Il sindaco di Marmirolo ha iniziato la sua esperienza nel Terzo settore nel 1996. Ha presieduto il Consorzio “Sol.Co.” di Mantova e la cooperativa sociale Ippogrifo. Parla di "ascolto dei bisogni" delle singole persone e delle famiglie ma anche di rappresentanza dei territori, di sviluppo locale, di comunità energetiche. A patto che ognuno, non solo i parlamentari, si assuma la propria responsabilità
Proseguiamo con Paolo Galeotti, sindaco di Marmirolo (cittadina di circa ottomila abitanti in provincia di Mantova), la serie di interviste di Vita ai candidati per le elezioni del 25 settembre che arrivano da esperienze associative e sociali. Galeotti, candidato per il Partito Democratico nel collegio uninominale della Camera, proviene da una lunga esperienza nel mondo del Terzo settore cominciata nel 1996 in una cooperativa che si occupava di disabilità. Sino al 2011 ha presieduto il Consorzio “Sol.Co.” di Mantova e la cooperativa sociale Ippogrifo, la quale gestisce una comunità che ospita pazienti con disagio psichico. Inoltre, porta avanti il progetto “Mantua Farm School”, che è una “scuola non scuola” di ispirazione montessoriana. Galeotti è stato anche vicepresidente della Provincia mantovana.
Il suo dna parla chiaro. Ma come si può trasferire l’esperienza maturata in ambito sociale in Parlamento, di questi tempi?
Il percorso fatto nel mondo della cooperazione è un’identità che porto ancora con me, a tutti gli effetti. Ho imparato a cercare la visione di un interesse condiviso all’interno della cooperazione sociale, guardando ai destinatari dei servizi ma anche alla comunità intera e pure ai soci. Ho appreso un modo di mettere insieme, di far dialogare le parti guardando a un bene comune, superiore alle istanze di una singola parte. Il dialogo mi è servito sia nell’amministrare il mio paese che con gli altri Comuni del territorio. Fondamentale è anche lo sguardo verso chi è in difficoltà: può essere un disoccupato, una famiglia, un genitore. Bisogna mettersi in ascolto di queste persone.
Lei si è laureato in Scienze politiche a Bologna, quando era una città marcatamente di sinistra votata al sociale. È stato quello il periodo che l’ha indirizzata in questo ambito?
Sono state tante le cause. Ho fatto il liceo in seminario e, dopo l’università, sono stato obiettore di coscienza in un centro missionario di Verona. È stato un processo formativo importante, ma anche l’educazione della mia famiglia ha inciso parecchio. Sono stato travolto da una corrente impetuosa, era inevitabile prendere questa strada: volevo fare un lavoro nel quale potevo credere, che fosse utile per la comunità e che allo stesso tempo mi desse delle gratificazioni. Ci sono riuscito.
Da più parti le è stato chiesto questo supplemento d’impegno. Nessuno le ha detto “ma chi te lo fa fare?”, visto il periodo che stiamo vivendo?
Sì, certo. Però c’è anche chi mi incoraggia, molti dimostrano apprezzamento. Sa, sono sindaco di un piccolo Comune, ci conosciamo tutti e ci incontriamo ovunque, ogni giorno, al mercato piuttosto che dal panettiere o a un evento pubblico. L’ascolto e la vicinanza sono gli aspetti che, credo, hanno contraddistinto il mio lavoro in questi anni. Talvolta si sbaglia, ma l’impegno non è mai mancato. Ora la gente chiede alla politica proprio questo, non divisioni, slogan, tensioni, barricate. Nella mia visione, bisogna rappresentare un territorio, non una parte politica.
Bisogna rappresentare il proprio territorio, non una parte politica
Che cosa può mai accadere in un mese perché possa cambiare una situazione ormai impaludata da decenni?
Non sono un indovino, e non penso di avere la forza per incidere su certe dinamiche. Per la mia campagna ho scelto uno slogan: #faredipiù. Anche nel dirlo, credo che un elettore si aspetti quel “di più” da un deputato: per il lavoro, le famiglie, la sanità, il Terzo settore. Ma quel “fare di più” riguarda tutti, non soltanto la persona delegata a rappresentare un territorio: è un invito alla società a contribuire per migliorare la situazione. Io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità.
Mai come stavolta il rischio di una mostruosa astensione alle urne è stato così forte.
È certamente un’incognita, che si materializza anche nelle discussioni che sto facendo nei mercati o nei comitati. La delusione è tangibile. Rispetto al passato, mancano le sezioni di partito, le scuole politiche, i luoghi di aggregazione. Con la pandemia, è un fenomeno che si è accentuato anche in parti del mondo del volontariato, ma di cui si avverte una forte necessità.
Delusione, ma anche disincanto.
La politica ha le sue responsabilità, non c’è dubbio, ma ognuno deve assumersi le proprie. Buona parte del giornalismo crea le fazioni, i partigiani, attorno a certe tematiche. Non aiuta nessuno. È tempo di scelte, anche forti e talvolta impopolari: si può scontentare qualcuno, ma bisogna spiegarle. Fuori dagli interessi di parte. Da solo non posso incidere, serve una coscienza collettiva.
La gente è allarmata dai rincari, soprattutto in ambito energetico.
È un tema attorno al quale si è creato un grande dibattito. Desidero evidenziare due aspetti. Le comunità energetiche possono essere ciò che è stata la cooperazione di consumo addirittura un secolo fa. Ricorda anche lo spirito delle banche di credito cooperativo oppure la gestione dell’acqua e dell’energia in Trentino, tempi addietro. Erano tutti luoghi di sviluppo territoriale. Oggi potrebbero essere aggregatori di bisogni e di risposte locali. Peraltro, e arrivo al secondo punto, potrebbero essere risolutori di altri problemi. Penso all’ambito agricolo: nel territorio di Mantova stiamo affrontando il contrasto alla CO2 e l’impatto dei grandi allevamenti. I tetti delle latterie possono diventare, senza consumo di suolo, zone di piattaforme per l’autoconsumo e la diffusione di energia per il territorio. La politica deve dare un’accelerazione su questo versante.
Lei ha due figli di 26 e 22 anni, che andranno a votare. Che cosa dicono della sua candidatura?
Mi stanno dando una grande mano d’aiuto. So bene che appartengono a una generazione che, più di tutti, ha preso le distanze dalla politica o da una certa politica. Nella mia esperienza di sindaco ho avuto modo di incontrare parecchi giovani che hanno maturato esperienze professionali arricchenti in giro per il mondo, ma poi hanno bisogno di trovare un luogo in cui mettere casa. I ragazzi hanno una grande voglia di mondo, hanno allargato i confini rispetto ai miei tempi, però non amano lo sradicamento. Bisogna costruire comunità coese che consentano di trovare ciascuno la propria identità e indipendenza. Gli esempi positivi non mancano, per fortuna.
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