Volontariato

Amato: il volontariato non fugga dalla politica

I passaggi più significativi dell'intervento di Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale, chiamato al Meeting di Rimini a ragionare su "Democrazia e verità" con Giorgio Vittadini, presidente di Fondazione per la Sussidiarietà. Crisi dei corpi intermedi, relativismo individualista, mancanza di discernimento tra verità e verosimile, responsabilità. Di fronte alla fragilità della attuale classe politica, Amato chiama a raccolta i milioni di volontari italiani: «Voi, che siete il polmone della politica italiana, dovete mobilitarvi per garantire il nostro futuro».

di Debora Gabriella Giorgione

È Giorgio Vittadini presidente di Fondazione Sussidiarietà, ad introdurre Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale. Lo fa con alcune provocazioni culturali e politiche. La prima, democrazia e bene comune perché, dice Vittadini: «È un auspicio che la vita democratica nasca da un impegno ideale dei partiti che non sia l'interesse corporativo, ma che sia sacrificio dell’interesse particolare per un bene comune». Vittadini si interroga, e facendolo interroga Amato, su come ridare vita alla democrazia, sul nesso tra democrazia e verità, sul ruolo della democrazia nello sviluppo sociale, su elezioni e sussidiarietà.

E poi, centrale, il ruolo del Parlamento con uno sguardo giussaniano al “potere” del potere sui cittadini: «Perché ci siano elezioni veramente libere – dice il patron del Meeting – bisogna che l'uomo non sia isolato e ricattabile. L'uomo isolato fa fatica a tenere una posizione alta, c’è bisogno di luoghi dove la verità sia educata e si costruiscano regole di convivenza». Chiaro il riferimento ai corpi intermedi, i partiti che Vittadini definisce «Luoghi dove la democrazia reggeva rispetto ai tentativi autocratici perché mantenevano la connessione con le realtà popolari».

Cita il Rapporto Sussidiarietà nel quale emergono dati che raccontano che l’impegno delle attività nel sociale aumenta il benessere e il livello di istruzione, si riduce il rischio di povertà, quindi c’è un nesso stretto tra impegno nella società e benessere. C’è dunque un nesso evidente tra l’impegno sociale e la democrazia.

Passaggio finale, che si possa decidere chi votare: «Queste sono altre elezioni da nominati – dice Vittadini sugli applausi – decidono tutto le segreterie dei partiti. Si può tornare a decidere chi votare o no?». E lascia la parola al presidente Amato chiosando che «Per noi la vita personale senza una vita politica e sociale comune non è vita».

In cinquanta minuti circa, Giuliano Amato lascia alla platea una serie di punti fermi, lucidi di analisi e di sguardo all’orizzonte prossimo della politica e della società italiana.

Lungo ed articolato, il discorso sul legame tra la democrazia e la verità. Per Amato «la verità dei fatti, nelle democrazie, è aggredita e contrastata dalle non-verità del verosimile, dal rifiuto per convenienza e a volte per ostinata difesa di gabbie ideologiche di cui si è spesso custodi e prigionieri insieme, che porta a negare la verità dei fatti. Lo abbiamo sperimentato anche durante la pandemia per il Covid, con le divisioni interne, le polarizzazioni, le radicalizzazioni, che rendono così difficili le decisioni in una democrazia. Ma attenzione: oltre alla categoria del vero-falso c’è anche la categoria del giusto-ingiusto e spesso si toccano fra di loro, insidiando le nostre certezze». Ma la connessione tra democrazia e verità sta nella responsabilità: «Si deve dire sempre la verità, in democrazia?», chiede e si chiede Amato.

«La prima risposta che si dà è sì, certo – ragiona il presidente della Corte Costituzionale – una democrazia come tale è fondata sul consenso, il consenso sulla fiducia, per la fiducia la verità è imprescindibile. Questo è vero, ma fino a un certo punto perché facciamo attenzione: c’è una regola un po’ viscida per la quale, entro certi limiti, la verità si può anche non dire». Ma Amato su questo è stentoreo e per lui: «La democrazia deve sempre combattere la menzogna».

Certo, il primo punto di verità che Amato lascia alla platea è che oggi il vero rischio delle democrazie è che «Il post-moderno tecnologico ha sostituito il vero con il verosimile e attorno ai fatti si sviluppano opinioni che ne prendono solo alcuni brandelli privando di sicurezza la ricostruzione del fatto stesso, contro la regola dei fatti separati dalle opinioni. I fatti sono fatti, poi ciascuno può avere la sua opinione: ma questo pare non sia più vero e che il fatto stesso possa far parte dell’opinione e viceversa, perdendo la certezza della realtà».

Il nostro sistema è ancora altamente democratico perché per Amato ci sono due avamposti di tutela della libertà e del rispetto della verità: «C’è una stampa capace di mettere in croce chi lo merita, c’è un ordine giudiziario con giudici che giudicano con la loro testa».

Gli altri due punti di verità: i partiti e l’individuo. Per Amato una profonda insidia per la democrazia è il relativismo individualista che ha lacerato il tessuto connettivo delle nostre società. Contestualmente, abbiamo assistito alla fine «Dei differenziali della società, i grandi aggregatori, i partiti del passato, il vero fattore che faceva funzionare la democrazia e beneficio di milioni di cittadini».

Passaggio molto articolato, quello sul rapporto tra credenti e non credenti. Amato cita Ragione e fede in dialogo, di Jürgen Habermas e il cardinale Joseph Ratzinger: «Tutti, credenti e non credenti, avevano il compito comune di trovare i valori a tutti comuni su cui costruire. Abbiamo messo a punto, ad esempio, piattaforme su temi delicati come il fine vita, con il rispetto delle opinioni di ciascuno. La persona viene prima dello Stato». La “patente democratica” passa dunque innanzitutto dal rispetto per l’uomo, la persona, nella sua qualità di componente della vita sociale e di essere vivente e, quindi, dal rispetto per il creato.

Il registro e il tono di Amato affondano quando entra nel vivo dell’analisi dell’attuale momento politico: «Come sapete mi astengo dalla politica e dai giudizi sulla politica fino a che sono alla Corte costituzionale. Ho stima delle persone che se ne occupano e che la fanno ma non posso non constatare che per le ragioni che hanno portato nella società liquida alla fine dei grandi aggregatori e casomai di recente sostituiti con aggregatori fondati su ideologie, estremismi, radicalismi che dividono la società anziché unirla, pensate agli Stati Uniti, ecco non credo che la politica di oggi sia attrezzata per il compito immane che abbiamo davanti».

E aggiunge: «I partiti di una volta avrebbero avuto la forza di convogliare i propri iscritti e attraverso di loro convincere altri verso le azioni necessarie per il bene comune. Ritengo che oggi non sia più così, questa è una politica la cui fragilità strutturale la porta a seguire, più che a guidare, a seguire gli umori, le domande attuali più che comprensibili degli elettori, ma, proprio per fragilità interna, a non farcela da sola a portarli verso il futuro».

Dobbiamo lasciarci andare per questo? Assolutamente no, dice Amato: «La politica deve mettere in campo tutte le sue risorse. Siamo tutti chiamati a mettere in campo le nostre risorse per concorrere a questo fine».

Ma chi? Amato ricorda che tempo fa gli iscritti ai partiti in Italia erano circa quattro milioni, ma oggi sono meno di settecentomila. E aggiunge: «C’è qualcuno che oggi in Italia ha più di quattro milioni di iscritti e che con queste quattro milioni di persone che si occupano solo degli altri e del bene degli altri, e parlo del volontariato che raggiunge e supporta altri trentacinque milioni di persone. Questa è la risorsa, l’esempio, la motrice che dobbiamo mettere in campo. Mesi fa avevo proposto al volontariato di offrire il suo contributo, ma ha avuto paura di essere strumentalizzato. Oggi però lo strumentalizzatore è diventato molto più fragile di voi e quindi questo rischio non c'è». L'invito è dunque rivolto a tutto il volontariato, che Amato definisce il “polmone della democrazia”. E ai giovani: «Siate i garanti della Costituzione, perché voi siete il futuro».

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