Politica

Dispersione, il focus sul singolo alunno non basta

Un'analisi degli orientamenti per l’attuazione degli interventi contro la dispersione scolastica, inviati dal Ministero alle scuole per l'utilizzo dei primi 500 milioni di euro del PNRR. «Non si tratta soltanto di attivare percorsi di potenziamento individuali e/o di gruppo, di mentoring e di orientamento, ma di osare la creatività e progettare da capo modi più efficaci di accompagnare e anche di fare lezione»

di Ludovico Albert

Molte delle scuole che operano nei contesti più difficili, nel Sud ma anche in molti quartieri delle città del Nord e nelle aree interne, faticano a fare bene il loro lavoro. È difficile prendere in carico gli allievi meno motivati, i cui genitori spesso sono di basso livello di scolarità e vivono in contesti di severa povertà. È difficile soprattutto accompagnarli a raggiungere i livelli di conoscenze e competenze alfabetiche e culturali definiti dagli standard ministeriali (le Indicazioni Nazionali), che sono anche la premessa per diventare cittadini consapevoli e rendere più facile l’accesso al lavoro e a una vita adulta migliore.

In queste scuole, le difficoltà si sommano: ai contesti sociali complessi e agli allievi in situazione multi-problematica, si aggiunge in molti casi la difficile gestione della precarietà degli insegnanti, dei dirigenti e del personale ausiliario e amministrativo, spesso dovuta a carriere appiattite sotto l’aspetto economico e orientate quindi a lavorare con ragazzi che diano più soddisfazioni, in scuole che funzionino meglio e agiscano in contesti sociali e culturali più ricchi e stimolanti.

Ridurre la dispersione, esplicita e implicita, richiede di prendere in carico non solo i singoli studenti con azioni preventive e riparative (queste ultime peraltro sono le grandi assenti dei Pon Scuola, in teoria in larga misura dedicati alla dispersione), ma anche di prendere in carico in modo sistemico le scuole che sono più in affanno.

Sono del resto proprio queste scuole che in molti casi non riescono nemmeno ad alzare la testa dalle emergenze continue per accedere, per esempio, ai bandi Pon, con il risultato che spesso l’acqua arriva dove meno serve e le risorse aggiuntive finiscono alle scuole che hanno le forze per chiederle, quelle più avvantaggiate, che hanno personale maggiormente stabile e spesso allievi di famiglie più abbienti e altamente scolarizzate. In modo inesorabile, con una dinamica perversa, si approfondisce il solco che si ambirebbe ad appianare, tra le scuole “buone” e le scuole “cattive”, quelle che hanno un buon “valore aggiunto”[1] e quelle invece che in molti casi restano più un parcheggio che una reale occasione di crescita degli studenti.

In questa situazione complessa si colloca l’azione del PNRR (investimento 1.4 di 1,5 miliardi) per la riduzione dei divari territoriali nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado e per la lotta contro la dispersione scolastica.

Potrebbe essere la volta buona per vedere il Ministero assumersi la responsabilità di indirizzare, favorire e accompagnare percorsi di miglioramento delle scuole che non riescono a garantire buoni risultati, usando le dettagliate evidenze annuali Invalsi per cambiare nel concreto le cose. Sono proprio i dati forniti dall’Istituto Nazionale a dirci infatti che non è solo un problema di “quante risorse”, ma di “quale qualità dei percorsi sostenuti dalle risorse”: in molti casi – ci dicono le evidenze – i risultati in termini di lotta alla dispersione non sono arrivati, anche dopo molti anni di accesso alle risorse Pon.

Per questo motivo, il gruppo di lavoro contro la dispersione scolastica (GdL), istituito con DM del 7 marzo 2022 n. 57, ha condiviso l’indicazione dettagliata, fuori dalla logica dei bandi competitivi, dei beneficiari contenuta nel decreto di assegnazione della prima quota di oltre 500 milioni a 3.198 scuole. Ne ha criticato tuttavia l’eccessiva semplificazione di criteri per l’identificazione, che ha comportato l’esclusione di non poche scuole che da anni operano in quartieri difficili e che ha portato alla sottovalutazione dell’importanza del primo ciclo e delle scuole superiori di primo grado, assegnando risorse talvolta anche in modo piuttosto cospicuo a scuole (soprattutto secondarie di secondo grado), ad esempio a molti licei, che non sempre possono essere considerati i più problematici.

Nel documento del Gruppo di Lavoro, consultabile per intero sul sito del Forum diseguaglianze https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2022/07/LINEE-GUIDA-CONTRASTARE-IL-FALLIMENTO-FORMATIVO.x92273.x26901.pdf, si indicava infatti la necessità di prendere in considerazione un set di indicatori più ricco e attento a più variabili socio-culturali e di contesto.

Al decreto è seguita a distanza di qualche settimana la pubblicazione degli orientamenti per l’attuazione degli interventi delle scuole. Negli orientamenti si riprendono molti temi fondamentali, tutti proposti nel documento del Gruppo di lavoro. Si ricordano, in particolare, come suggerito dal GdL:

– la necessità di azioni pluriennali;

– il coinvolgimento delle famiglie e del territorio in percorsi di coprogettazione per costruire comunità educanti;

– l’integrazione tra scuola ed extrascuola;

– lo sviluppo di esperienze di rete e gemellaggi tra scuole;

– la logica preventiva degli interventi;

– la necessità di percorsi di accompagnamento individualizzato;

– l’attenzione alle fasi di transizione e orientamento.

Eppure, consideriamo che permangano alcuni gravi limiti nell’impostazione del processo che porterà a utilizzare questi 500 milioni.


In primo luogo, è a nostro parere un errore assegnare risorse (insegnanti, dirigenti etc.) in modo uguale a scuole che hanno esigenze molto diverse. Anche per le scuole vale ciò che Don Milani diceva per i suoi allievi: non c’è nulla di più ingiusto che dare in modo uguale a soggetti disuguali. Più utile sarebbe seguire l’esempio di altri Paesi e utilizzare le risorse del Pnrr per intraprendere un percorso che porti all’istituzione in territori particolarmente complessi di Aree di Educazione Prioritaria (AEP), come proposto dal GdL, dedicate a interventi sistemici e di lungo periodo (premi agli insegnanti che scelgono di fermarsi per più anni, meno allievi per classe, organico aggiuntivo, formazione ad hoc etc.).

Ancor più grave, è che il decreto, pur richiamando una serie di condizioni dell’agire, non preveda alcuna condizionalità per le scuole beneficiare, non richiede la stipula di vere alleanze territoriali, ma si limita a orientare verso questa direzione le proposte che le scuole saranno chiamate ad elaborare. In premessa quindi non c’è il vincolo di avviare solide azioni di sistema, non ci sono indicazioni vincolanti sul come usare bene le risorse, in modo da assicurare, più che in passato, qualità all’azione sul campo imparando dall’esperienza.

L’idea forte del documento proposto dal Gruppo di lavoro era invece proprio l’esigenza di promuovere stabili alleanze educative, fondate su patti civili vincolanti perché indispensabili a raggiungere tutti/e e ciascun ragazzo/a e che, per questo, la premessa del progetto fosse la stipula di patti territoriali con gli enti locali, le altre scuole e le associazioni del Terzo Settore: una scelta non opzionale, ma vincolante, zona per zona, a partire dalle aree di massima crisi. È decisivo favorire la costruzione di comunità educanti tra le autonomie scolastiche, le istituzioni locali, le famiglie, gli enti terzo settore e altri soggetti con l’obiettivo di rendere effettiva la loro specifica e vitale funzione di azione positiva sussidiaria che la Costituzione attribuisce loro sulla base dell’art. 118.

Anche questa volta il rischio è che si ricorra al Terzo Settore, invece, in modo accessorio, per fare qualcosa in più, di ultroneo, soprattutto nell’extrascuola, per fare quello che la scuola non può fare, come il coinvolgimento delle famiglie e dei territori, o come durante la pandemia quando gli educatori delle associazioni raggiungevano gli allievi che erano tagliati fuori dalla DAD e li aiutavano a collegarsi, portando loro la strumentazione, aiutandoli a usarla e spesso anche portando, insieme ai pc e alle chiavette, pacchi di pasta altrettanto indispensabili in quei giorni.

Le esperienze più significative di questi anni sono invece quelle che hanno visto le associazioni ragionare con le scuole, certamente per aumentare il tempo dedicato all’educazione, ma soprattutto per far sì che il modo di fare scuola, al pomeriggio, ma anche al mattino, tenga conto delle caratteristiche di ciascuno, anche grazie al ricorso a forme di didattica laboratoriale a cui, spesso anche solo per ragioni di età, gli educatori del Terzo Settore sono più abituati, in un continuum tra formale e informale.

Si tratta di ribadire la centralità della scuola, certo, ma di ripensarla in un ecosistema di competenze, relazioni, conoscenza, capillarità di dettaglio, che la scuola può interpretare se e solo se si rende protagonista di un’ampia, concreta e irrinunciabile alleanza di comunità per l’educazione.

Non si tratta soltanto di attivare percorsi di potenziamento individuali e/o di gruppo, di mentoring e di orientamento, ma di osare la creatività e progettare da capo modi più efficaci di accompagnare, di ascoltare e anche di fare lezione, per cui l’esperienza a 360 gradi dell’imparare renda possibile al contempo il pieno inserimento dei ragazzi più fragili e il potenziamento delle competenze per tutti.

Un’alleanza con famiglie, Terzo settore, istituzioni, insomma, che sia sistematica e lungimirante e che rafforzi in modo strutturale la proposta educativa della scuola nel suo complesso, uscendo dalla logica del progetto.

Si tratta, a nostro parere, dell’unica via possibile per contrastare la dispersione in modo efficace, concreto e misurabile così come l’Europa ci chiede, valorizzando quell’approccio basato sulla centralità delle persone e dei contesti che proprio l’Europa ci indica e che il PNRR deve avere il coraggio di interpretare, anche spingendo il cuore degli strumenti che utilizza per la sua implementazione oltre il solito, banale e insieme ferale ostacolo del “si è sempre fatto così”. Una via già sperimentata in molte realtà per permettere alle scuole che operano nei contesti più difficili di avviare e rinforzare un percorso di miglioramento della loro offerta che sappia fare tesoro delle potenzialità offerte dal regolamento sull’autonomia.

*Ludovico Albert è membro del Gruppo di Lavoro designato dal Ministero dell'Istruzione


[1] il contributo specifico che una scuola dà all'apprendimento dei suoi alunni, al netto del condizionamento esercitato su di esso dai fattori esterni al suo operato.

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