Mondo
Mobilità umana, due proposte per cambiare le politiche
L'intervento di Kostas Moschochoritis, direttore generale di Intersos, durante la Conferenza nazionale Coopera. Partendo dalla realtà dei Paesi dove l’emigrazione è spesso forzata da crisi belliche, climatiche, economiche che mettono a rischio la vita stessa delle persone, si sofferma sull’inadeguatezza della risposta politica italiana ed europea e lancia due proposte di cooperazione istituzionale facilmente realizzabili
Come organizzazione umanitaria che opera sul terreno, insieme a tante organizzazioni italiane presenti in molti paesi di emigrazione e in quasi tutte le principali crisi che provocano migrazioni forzate, non possiamo che partire da lì, dalle realtà che conosciamo e su cui interveniamo quotidianamente. La nostra visione e le soluzioni che proponiamo sono spesso molto diverse da quelle delle istituzioni italiane ed europee.
Da noi domina la paura, la chiusura e l’incapacità di uscire dall’approccio emergenziale che dura ormai da decenni. Quello che spesso dimentichiamo è che, delle oltre 100milioni di persone costrette a lasciare le loro case in cerca di un rifugio sicuro, come confermato dall’Alto Commissario Filippo Grandi nell’intervento che mi ha preceduto, la stragrande maggioranza non è diretta in Europa o nel Nord America, ma nei paesi limitrofi alle aree di crisi. Non a caso lo stato che ospita il più largo numero di rifugiati in proporzione alla popolazione è il Libano, con un rapporto di 1 a 8, pur essendo un paese che sta attraversando una drammatica crisi economica.
La narrazione e la gestione emergenziale, insieme alla tendenza all’esternalizzazione delle frontiere generano allarmi e producono soluzioni di corto respiro, senza mai riuscire ad adottare con coraggio e lungimiranza una politica complessiva sulla migrazione e l’asilo che rispetti la dignità delle persone e i loro diritti fondamentali, pur nel quadro di definite regole per il loro governo in modo sicuro, regolare e ordinato, valorizzando la mobilità umana come motore di sviluppo sostenibile.
Operando sul campo abbiamo visto la brutalità dei respingimenti della guardia costiera greca verso la Turchia o la violenza di quelli compiuti dalla guardia costiera libica, finanziata e formata dall'Italia e dall'Unione Europea, così come abbiamo visto l'ipocrisia dei rimpatri da Paesi europei verso l'Afghanistan ancora nell’estate 2021, fino a poco prima della conquista talebana di Kabul.
Negli anni abbiamo sempre cercato il dialogo con le istituzioni su questi temi, abbiamo scritto e diffuso riflessioni, documenti, proposte concrete, cercando di vedere le ragioni istituzionali insieme alle nostre. La contrapposizione infatti mette in fila i problemi, ma non cambia la vita delle persone in stato di bisogno. I tentativi di dialogo non sono però serviti a granché, sia a livello italiano che a livello europeo, dove anche l’azione di Frontex si è dimostrata puramente poliziesca, oltre che poco trasparente.
Il confronto, pur severo, rimane comunque la strada giusta, anche perché riteniamo che ci siano alcune cose che potrebbero essere fatte subito. Tra le varie possibili, mi soffermo su due proposte che la rete LINK 2007, di cui INTERSOS è parte, ha condiviso e motivato attraverso i media e nel dialogo con le istituzioni.
La prima. Quattro anni fa, Il nostro governo si è impegnato formalmente davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la ratifica del Global Compact per le Migrazioni, alla cui elaborazione l’Italia ha attivamente partecipato. L’impegno non ha però avuto attuazione e l’Italia non ha partecipato alla Conferenza di Marrakech nel dicembre 2018, mettendosi ai margini di un impegno mondiale per il governo delle migrazioni. Che vergogna: l’Italia che ha visto ben 30 milioni di suoi cittadini migrare negli scorsi 150 anni. Il GCM conviene all’Italia. Non è un patto vincolante ma, nella perdurante assenza di una politica migratoria complessiva, esso rappresenta un fondamentale riferimento, una bussola con la quale muoversi, una cornice che va oltre una gestione puramente emergenziale che da anni l’Italia sta adottando e pone le basi per politiche che abbiano finalmente una visione. Il Governo riproponga al Parlamento la ratifica di questo patto mondiale, motivandone la validità e la necessità per l’Italia.
La seconda proposta si riferisce direttamente alla cooperazione allo sviluppo ed in particolare alla cooperazione territoriale che la legge 125 ha particolarmente valorizzato. Mi riferisco ai partenariati territoriali transnazionali, translocali, che devono coinvolgere le realtà dei territori qui e lì nei paesi in sviluppo: realtà amministrative, imprenditoriali, accademiche, sanitarie, sociali, culturali, economiche in un programma comune di ampio respiro e duraturo nel tempo. Un prendersi per mano per costruire insieme sviluppo sostenibile e relazioni di progresso e pace, I partenariati territoriali non possono limitarsi, a nostro avviso, a un progetto o qualche progetto saltuario ma essere concepiti come realizzazione di un cammino comune da rafforzare e ampliare anno dopo anno.
In questa prospettiva, un significativo ruolo possono averlo le diaspore, le comunità immigrate organizzate, inserite e attive nelle nostre realtà regionali e locali, valorizzando il loro transnazionalismo, data la loro attiva presenza sia qui dove sono inserite e riconosciute e sia lì, nelle regioni di provenienza dove mantengono vivi rapporti sociali, economici, istituzionali. Le diaspore possono essere a nostro avviso soggetti fondamentali per stabilire canali di dialogo istituzionale, culturale ed economico, creando un ponte translocale per stabilire programmi di cooperazione a lungo termine, non solo tra amministrazioni ma tra le diverse realtà territoriali coinvolgibili. Spero che su questi de punti siano di stimolo all’approfondimento e all’azione, come auspichiamo.
*Konstantinos Moschochoritis, direttore generale di Intersos
Credit Foto Martina Martelloni per Intersos/Isola di Lesbo
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