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Perché andare in Ucraina? Perché il Mean?

I governi ci propongono una margherita tragica, in cui i petali dicono che dobbiamo scegliere tra armare e non armare, noi abbiamo scelto di formare un mazzo di fiori di campo ed aggiungere nuova vita a quella Margherita con nuove parole di senso. Il nostro sogno è racchiuso nello slogan pensato da Marianella Sclavi, more arms to embrace, più braccia per abbracciare, no arms for war, no armi per la guerra. Sotto questa “bandiera” arriveremo a Kiev l’11 luglio. Vieni con noi

di Angelo Moretti

Da quando è partita la comunicazione di questo sogno collettivo di provare a fermare la guerra con le mani disarmate di migliaia di europei, sono in tanti a scrivere agli organizzatori per porre le loro giuste domande, esprimere in maniera accorata le loro perplessità, prima di dare la loro adesione. Molti ci chiedono perché il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta non va in Russia, altri domandano che cosa vogliamo dimostrare con la nostra presenza fisica in Ucraina, quale pace pensiamo di poter raggiungere contro un aggressore così efferato?

La domanda da cui siamo partiti, nasce da una riflessione opposta: ma se noi civili non proviamo a fermare la guerra in Europa chi dovrebbe farlo?

In un contesto che gli storici della Prima guerra mondiale chiamerebbero “polveriera”, non vediamo gesti di distensione e non sentiamo parole di pacificazione, non sentiamo ancora una chiara leadership della nostra casa Europa. Anzi, ci accorgiamo che in mezzo a tanti equilibri precari l’Europa non ha saputo agire per affermare un suo inedito contributo ai processi in corso.

Sono decenni che la nostra economia globale è diventata predatoria, il vero leviatano del terzo millennio è nella finanza che schiaccia stati interi come pedine scomode; il land grabbing delle terre africane, operato da grandi multinazionali, è stato intensificato; tre guerre iniziate senza il consenso dell’Onu, l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia, hanno visto l’Europa partecipare a traino della Nato o addirittura come prima azionista; alcuni Stati, come la Grecia, sono falliti a seguito della grande crisi dei prestiti irresponsabili dati da banche europee a classi dirigenti inadeguate e la risposta più sorprendente stata la militarizzazione dei confini: gli impoveriti di Europa hanno reagito con durezza contro i popoli più poveri, mettendo fuoco al campo profughi di Lipa e di Lesbo; il gruppo di Visegrad nel frattempo si è riunito come fronte sovranista, conservatore ed anti immigrazione, tanto che al confine polacco, a novembre 2021, famiglie di kurdi, afghani, iracheni e siriani sono state respinte con gli idranti nei boschi (e neppure di fronte alla grande generosità di questi giorni è stato aperto un chiaro varco per loro) . Oltre il gruppo Visegrad, il sovranismo si è affermato un po’ ovunque, come abbiamo visto nell’ultima elezione francese, e la Brexit è stata una vittoria portata a segno dai separatisti che non vogliono immigrati nel loro stato sociale. Si tratta di un sovranismo orientato a prendere solo i vantaggi dalla globalizzazione senza condividerne gli oneri ed i legami.

La disuguaglianza energetica e della produzione e distribuzione delle materie prime è arrivata a vette mai viste, con una potenza nucleare capace di mettere in scacco un intero continente per l’erogazione di gas, dopo soli venti anni di capitalismo di stato. Mentre la crisi ucraina rischia di generare a cascata crisi di carestie in Africa per mancanza del grano. Questa dipendenza da gas e da grano non è affatto dovuta al capitale naturale disponibile in Russia, ma a politiche miopi di Stati europei che, anche singolarmente, hanno continuato a fare accordi al ribasso nonostante l’evidente deriva autoritaria che aveva preso la Federazione Russa e nonostante l’Europa avesse mancato l’obiettivo 20-20, trasformare entro il 2020 almeno il 20% di tutta la sua produzione energetica in produzione da fonti rinnovabili.

Culturalmente e politicamente le democrazie si sono deteriorate un po’ dappertutto dal 2008 in poi secondo il Democracy Index stilato dalla rivista americana “The Economist”, con solo il 6% della popolazione modiale che vive in una democrazia compiuta, ed un netto peggioramento in Turchia ed all’est di Europa, e contemporaneamente tornano negli stati che, fino a ieri consideriamo “evoluti”, importanti segnali di razzismo legati al colore della pelle e di discriminazione per l’orientamento sessuale, comportamenti che pensavamo la storia avesse cancellato per sempre.

In questa polveriera Europa, una parte del nostro mondo si sta armando fino ai denti per combattere una guerra di territorio che in definitiva è una guerra sui prossimi assetti geopolitici tra i poteri del mondo. Possiamo assistere semplicemente dal divano a questo scontro e lasciare che i militari trovino il migliore accordo, ma non avremo fatto un passo in più per cambiare questo contesto così pericoloso, che sembra aprire a scenari di guerre endemiche.

Secondo gli attivisti del progetto MEAN la società civile deve alzare la voce e ritornare a dire con forza, che un’altra Europa è possibile!

E lo grideremo dall’Ucraina con gli ucraini, perché questo popolo martoriato è oggi la nuova vittima sacrificale, lo gridiamo mettendo in gioco i nostri corpi perché siamo europei e sentiamo che questa è una pace che ci riguarda tutte e tutti.

Una guerra che coinvolge anche la cultura russa che con la sua letteratura e la sua musica ha avuto un ruolo preciso di costruzione di una coscienza europea e ci sembra davvero folle stare solo a guardare come andrà a finire lo scontro. Putin è l’aggressore? Assolutamente si. Fermeremo i suoi piani con la nostra azione Nonviolenta? Probabilmente no, ma sappiamo che possiamo far avanzare la nonviolenza verso di lui, unendo il nostro rischio al rischio a degli ucraini, e tentare quella forza trasformatrice della realtà, il Satyagraha, che si formò come azione politica proprio nei dialoghi tra Tolstoj e Gandhi.

La nostra azione nonviolenta prevede che i russi europei che vogliano unirsi con noi potranno farlo . La pace è di tutti , è fatica del dialogo , non ha barriere e non si accontenta della realpolitik se la realpolitik delega solo alle armi la ragione. I governi ci hanno lasciato in mano una margherita tragica, in cui i petali dicono che dobbiamo scegliere tra armare e non armare, noi abbiamo scelto di formare un mazzo di fiori di campo ed aggiungere nuova vita a quella Margherita nuove parole di senso. Il nostro sogno è racchiuso nello slogan pensato da Marianella Sclavi, More arms for hugs, no more wars, we MEAN it (ovvero: Più braccia per gli abbracci, niente più guerre, lo diciamo sul serio).

Sotto questa “bandiera” arriveremo a Kiev l’11 luglio. Stiamo organizzando il viaggio, abbiamo avviato le interlocuzioni con le istituzioni ucraine oltre che con le organizzazioni della società civile.

Cosa vogliamo raggiungere? Farci sentire, dall’Europa, dalla Russia, dalla Nato, dalla Cina, con gli ucraini, per gli ucraini, ma in definitiva, per noi.

Iscrivetevi qui per partecipare alla marcia

Per info scrivete qui perunnuovowelfare@gmail.com

Nella foto, i rappresentanti di Mean a Leopoli

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