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Quando i tribunali tolgono i figli alle madri per darli ai padri violenti

«Nei casi di violenza domestica le madri e i figli sono vittime due volte: prima dei mariti/padri violenti e poi delle aule giudiziarie». E’ quanto emerge da un’indagine della Commissione di inchiesta sul Femminicidio che verrà presentata domani al Senato. Una delle conseguenze di quella che viene definita vittimizzazione secondaria è il fatto che le madri vengano accusate di essere delle cattive madri e i loro figli, incredibilmente, vengano affidati ai padri dalla cui violenza avevano cercato di sottrarsi

di Sabina Pignataro

I tratti che hanno in comune queste donne sono tre: sono donne cha hanno denunciato il compagno per violenza domestica. Sono donne che sono finite sotto processo, da cui sono uscite con una letta scarlatta appiccicata addosso: cattiva madre, madre alienante, madre simbiotica. E sono donne a cui il Tribunale ha portato via – o cercato di portare via- i figli.
Nonostante le diverse biografie e geografie, l’accusa per tutte è la stessa: alienazione parentale, o PAS (dall’inglese Parental Alienation Syndrome), una teoria codificata nel 1985 dallo psichiatra americano Richard Gardner. Una teoria rigettata in tutto il mondo eppure tanto diffusa nei tribunali italiani.

Per far comprendere quanto sia diffusa/pervasiva questa prassi che sottrae ingiustamente i figli alle proprie madri è stato costituito anche un gruppo: si chiamano «Madri unite contro la violenza istituzionale»: hanno una pagina facebook e un sito www.comitatomadriuclvi.com.

Le madri giudicanti alienanti non sono affatto poche. Lo certifica una relazione della Commissione di inchiesta del Senato sul Femminicidio che ha svolto un’indagine in 4 anni esaminando circa 1500 fascicoli processuali. I risultati verranno presentati domani al Senato, alla presenza di Linda Laura Sabbadini, Direttrice dell’ISTAT; Marta Cartabia, Ministra della Giustizia e Giuliano Amato, Presidente della Corte Costituzionale. (si può seguire la diretta da qui, dalle 12 alle 14)

«Nei casi di violenza domestica le madri e i figli sono vittime due volte: prima dei mariti/padri violenti e poi delle aule giudiziarie»

E’ quanto emerge dalla relazione della Commissione di inchiesta sul Femminicidio

Come è possibile che le donne subiscano questa vittimizzazione secondaria da parte delle istituzioni?
«Ciò che emerge -si legge del documento – è un quadro chiaro di violenza negata perché non riconosciuta da avvocati, magistrati, servizi sociali, consulenti tecnici. Questa negazione può portare anche esiti piuttosto gravi quali l’allontanamento dei figli dalle madri che hanno denunciato e subito violenza, oppure l’affidamento dei figli ad entrambi i genitori, senza distinguere tra il genitore violento e la genitrice vittima di violenza».

Come tutta la violenza di genere, anche la vittimizzazione secondaria ha profonde radici culturali: «i rappresentanti delle istituzioni, in quanto espressione della società, – si legge nella relazione- possono essere portatori, anche inconsapevoli, di pregiudizi e stereotipi di genere che sono alla base della violenza domestica, con possibile tendenza a colpevolizzare la vittima (cosiddetto victim blaming).

«Si tratta di una relazione storica – sottolinea la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione Femminicidio – perché per la prima volta il fenomeno della vittimizzazione secondaria viene indagato e quantificato in modo scientifico e per la prima volta, dati alla mano, si ricostruisce il percorso della violenza contro le donne e i minori nelle aule dei tribunali, anche attraverso i pregiudizi e gli stereotipi di cui sono vittime».

L’indagine

La Commissione, nell’intento di esaminare la vittimizzazione secondaria nei casi di separazione con affidamento di minori, ha esaminato sia i procedimenti di separazione giudiziale di coppie con figli pendenti nei Tribunali civili, che i procedimenti sulla responsabilità genitoriale presso i Tribunali per i minorenni.
Questo, in sintesi, quello che emerge dalle oltre novanta pagine delle relazione:

  • la violenza denunciata dalle madri su di loro o sui minori non viene riconosciuta nei procedimenti civili o minorili. Alle denunce della madre con richiesta di affidamento esclusivo si contrappongono le richieste di affidamento esclusivo ai padri;
  • la violenza non viene riconosciuta neppure quando la madre denuncia abusi sui minori; (Si veda: Corte Europea, Italia inadeguata nella tutela delle donne che denunciano)
  • le consulenze tecniche di ufficio (le relazioni su cui i giudici si basano per valutare la capacità di un genitore di prenderci cura della prole) presentano varie criticità: i consulenti non vengono scelti in albi con specifica formazione sui temi della violenza di genere; non si ricostruisce la storia della violenza; trova applicazione la molto discussa teoria dell’alienazione parentale, secondo la quale la funzione del padre è imprescindibile per il minore in nome della bigenitorialità, per cui se la violenza non viene riconosciuta le madri sono alienanti rispetto ai padri violenti;
  • come esito di tali giudizi, le donne vengono sottoposte ad un provvedimento con cui viene limitata la loro responsabilità genitoriale ed i figli vengono allontanati e collocati in luoghi alternativi all’abitazione nella quale vivevano, in applicazione di teorie che richiamano la cosiddetta PAS o teorie analoghe.

Va segnalato che il 24 marzo scorso, la Cassazione ha annullato la decisione di togliere a Laura Massaro (caso emblematico di tutte le madri considerate alienanti) la responsabilità genitoriale. Non solo: riprendendo l’Ordinanza n. 13217/21 la Suprema Corte ha ribadito in modo definitivo che il concetto di “alienazione parentale dovrà essere bandito, per sempre, dai tribunali italiani. E ha aggiunto, poi, un punto fondamentale: nelle cause per l’affidamento, i bambini devono essere ascoltati dai giudici, non dai periti.

Tra gli elementi trasversali che ricorrono in tutta la casistica analizzata dall’inchiesta:

  • non emerge una specifica formazione e specializzazione degli operatori che a vario titolo si occupano di affidamenti”;
  • “la mancanza di tale formazione impedisce il riconoscimento della violenza domestica e del maltrattamento assistito, che non entrano nei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto l’affidamento di figli minori o la titolarità della responsabilità genitoriale”;
  • “il principio di bigenitorialità è considerato nei procedimenti prioritario anche quando sono presenti allegazioni di violenza in danno delle madri o dei minori, e tale da giustificare il rifiuto del padre da parte dei minori attraverso la teoria dell’alienazione parentale in capo alla madre, con la conseguenza di ripristinare la supremazia della genitorialità paterna su quella materna”;

Qualche dato in più

  • nel 34,7% delle cause giudiziali di separazione con affido davanti ai Tribunali civili siamo in presenza di “allegazioni di violenza domestica” (denunce, certificati, sentenze)
  • nel 34,1% dei procedimenti di affido di fronte ai Tribunali per i minorenni c’è violenza, nel 28,8% dei casi si tratta di violenza diretta su bambini e ragazzi, in gran parte agita dai padri;
  • Nella quasi totalità dei casi (96%) i Tribunali ordinari non approfondiscono gli atti relativi alle violenze, tanto che i minori vengono affidati nel 54% dei casi alle madri, ma anche con incontri liberi con il padre violento

La reazione di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza

“Guardiamo con interesse all’impegno della Commissione sul femminicidio del Senato ma non possiamo fare a meno di evidenziare che, ancora, manca una visione chiara e certa del percorso per arrivare ad avere una Giustizia che sappia intervenire in modo adeguato e coerente nelle situazioni di violenza. È stato necessario effettuare l’indagine verificando manualmente i fascicoli nei tribunali, per la grande difficoltà a reperire informazioni e dati nei tribunali civili, per i quali – nella relazione – non è evidenziata la necessità di norme chiare e stringenti per il riconoscimento della violenza maschile sulle donne”, commenta Antonella Veltri – Presidente D.i.Re Donne in Rete contro la violenza. “Auspichiamo che questa iniziativa istituzionale possa essere utile nel sollecitare risposte adeguate alle donne anche alla luce della attesa riforma del processo civile. È ormai indispensabile porre fine alle storture che consentono, ad esempio, l’affido condiviso dei figli pur in presenza di situazioni di violenza. C’è necessità di norme chiare e stringenti perché – finalmente – la violenza maschile sulle donne sia riconosciuta anche nei Tribunali civili, per eliminare la tendenza a confondere i conflitti con violenza.
C’è tanto da fare, da lavorare. A quando una raccolta dati sistematica del (non) riconoscimento della violenza nei tribunali civili e minorili? A quando il divieto di affidamento condiviso in caso di violenza?”

Foto in apertura, Tadeusz Lakota by Unsplash

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