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Ucraina, Matilde Leonardi: «Che significa essere disabili in un Paese in guerra»

Matilde Leonardi è la direttrice di Neurologia nell'Unità di Sanità Pubblica, Disabilità e Centro di Ricerca sul Coma presso l'Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, è stata a Leopoli per una missione umanitaria. «Vogliamo attivare un progetto per i bambini con disabilità rifugiati e non. Non possiamo cambiare il corso della guerra ma decidere come posizionarci»

di Anna Spena

Matilde Leonardi, neurologa e pediatra, è la direttrice della struttura complessa di Neurologia, Salute Pubblica, Disabilità e Centro di Ricerca sul Coma presso l'Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. Nei giorni scorsi è stata a Leopoli per una missione umanitaria. In Ucraina vivono circa due milioni di persone con disabilità. Già prima dello scorso 24 febbraio, quando è iniziata l’invasione russa del Paese, Leonardi stava collaborando con le autorità ucraine al progetto di riforma della certificazione della disabilità.

Perché ha deciso di partire?
E' difficile estrarre l'essenziale da una situazione così dolorosa e complessa com'è una guerra che colpisce così vicino persone a cui vuoi bene. Comincio dall’inizio, comincio dal 24 febbraio. Ho due amici carissimi che vivono a Leopoli. Padre Ihor Boyko, rettore del seminario di Leopoli, e suor Giustina Olha Holubert, genetista e psicologa direttrice dell'hospice pediatrico che ha fondato in città dove accoglie i bambini neonati terminali, siamo tutti membri della Pontificia accademia della vita e ogni anno ci vediamo a Roma in occasione della nostra assemblea. Li ho chiamati subito: “Avete bisogno di qualcosa?”. La prima risposta è stata no, credo entrambi non fossero ancora completamente consapevoli, come tutti d’altronde, cosa sarebbe successo da lì ai giorni a venire. L’undici marzo padre Ihor mi ha richiamata: “Stanno arrivando i primi 60 profughi di guerra, 40 bimbi e 20 mamme. Oltre ai miei seminaristi devo mettere a tavola colazione, pranzo e cena per oltre 150 persone e alcune cose già non si trovano. Mi aiuti?”. Io sono un medico, una neurologa, mi sono chiesta: “e adesso che faccio?"

Che ha fatto?
Ho chiamato padre Giuseppe Bettoni, il presidente di fondazione Arché di Milano e gli ho spiegato che avevo bisogno dell’aiuto della fondazione. “Andiamo noi”, la risposta è stata immediata, la partenza pure. In tre giorni abbiamo attivato una raccolta di beni di prima necessità che padre Giuseppe in persona ha consegnato a padre Igor al seminario di Leopoli. E poi da questa prima missione si è attivata una catena di solidarietà e sono state sempre di più le realtà che ci hanno aiutato e ad oggi siamo riusciti a fare partire 13 missioni. Cibo in scatola, kit per l’igiene personale, batterie, coperte. Noi, o perlomeno io, non possiamo cambiare il senso della guerra, ma possiamo decidere come posizionarci nella guerra. Bisogna esserci, per opporsi alla guerra in qualunque modo. Per me aiutare gli amici e tutti quelli che i miei amici aiutano è oggi l'unico modo che conosco per dire no.

Lei è una neurologa, e lavorava in Ucraina da molto tempo sulla disabilità. Ecco ad oggi qual è la situazione delle persone con disabilità?
Dall’inizio della guerra sono stata nominata in una task force dell’ufficio europeo dell' OMS che si occupa di riabilitazione e di disabilità nell'emergenza. L’obiettivo del gruppo è quello di capire come è la situazione e che attività bisogna mettere in campo per apportare miglioramenti in tutto il Paese nel settore specifico. Gran parte della zona a est del paese è stata distrutta dall'invasione e sono in atto dei ragionamenti per migliorare il funzionamento della riabilitazione e in genere del sistema sanitario in situazione di guerra. Ma in questo gruppo ho ritenuto ci fosse un certo silenzio su cosa stava succedendo e su come vivono oggi la guerra e le sue conseguenze le persone con disabilità, la cui situazione si è notevolmente aggravata con l’inizio della guerra. Fino a dicembre 2021 ero consulente esperto per il governo ucraino per la riforma sulla disabilità. Ero stata anche in Turkmenistan, Kyrgyzstan, Russia , Marocco e molti altri Paesi per questo tipo di riforma. Il Paese, come molti Paesi post Unione Sovietica, ha una visione precisa della disabilità: lo Stato può curarti meglio di chiunque altro, per questo ancora oggi in Ucraina ci sono, o meglio c'erano prima della guerra, circa 280 istituti. Ma uno dei criteri per entrare in Europa era proprio la chiusura di queste strutture. Quindi gran parte del lavoro svolto prima dell’inizio della guerra riguardava proprio la transizione da "un Paese con istituti a un Paese che li chiude”. La situazione soprattutto per le persone con disabilità degli istituti della zona est del Paese oggi è grave. Gli istituti che ancora esistono in Ucraina, non esistono più nei Paesi, come l’Italia, che hanno ratificato Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Per questo per qualunque Paese è impossibile prendere 3000 persone disabili rimasti senza un luogo perché i loro istituti sono distrutti e portarli tutti assieme, oltre che i loro assistenti dato che molti sono non autosufficienti, in altri istituti. L’accoglienza in questo caso diventa ancora più delicata e mettere anche 200 persone in un istituto è una violazione della Convenzione che nessun paese può e deve fare. E' guerra e ci sono profughi con situazioni complesse, come i disabili degli istituti rimasti senza un luogo per vivere, che richiedono risposte intelligenti e pensate. Dobbiamo pensare all’emergenze ma contemporaneamente anche a lungo termine.

Cosa vuole provare a fare?
Ho analizzato per prima cosa ciò si stava facendo a livello ucraino e europeo per le persone con disabilità, degli istituti e non, e poi cosa fosse possibile fare a Leopoli, con Padre Igor e con la mia amica e collega Oksana Hdyria, responsabile della riabilitazione nel centro Dhzerelo e membro come me della task force OMS sulla riabilitazione. Con loro ho deciso di fare il progetto che si chiama DIM che in ucraino vuol dire "casa" ma è l'acronimo di Disability Inclusive Model che verrà fatto mettendo insieme chi già è in prima linea con i bambini, con e senza disabilità. Cioè il centro dei rifugiati di Padre Igor ha un approccio inclusivo per cui accoglie mamme con bambini con disabilità da tutta l'Ucraina e questi possono andare al centro di neuroriabilitazione e inclusione sociale Dhzerelo, centro che ha una grande storia di inclusione e di anti istituzionalizzazione. La direttrice è mamma di un ragazzo con autismo e ha lottato per creare un modello davvero quasi unico per il Paese che deve essere un modello adesso ma anche per dopo la guerra. DIM è un case model anti istituto, multidisciplinare, inclusivo, da replicare in tutte le città dell'Ucraina dove si voglia fare accoglienza nell'emergenza e progettare un dopo guerra in cui gli istituti vecchio modello sovietico non siano più la soluzione Nel mio lavoro mi confronto spesso con EASPD, European Association of Service providers for Persons with Disabilities, e ho ritenuto che il loro approccio fosse il più pragmatico in questa emergenza e quindi nel mio viaggio a Leopoli ho invitato a venire anche Maya Doneva, segretaria generale dell’organizzazione. A lei ho parlato del progetto DIM per i bambini con disabilità rifugiati e non, che sono venuta ad impostare a Leopoli. Insieme ci siamo tutti, incluso Padre Giuseppe di Archè, trovati a Dhzerelo per un lungo meeting interrotto da un allarme che ci ha costretto a fare le nostre riflessioni in un rifugio, lì abbiamo discusso con anche la delegata del cabinetto del presidente Zelensky su quali potessero essere le migliori opzioni per definire una strategia a breve termine ma anche per un dopo la guerra, che speriamo arrivi presto. Il progetto DIM sta muovendo i suoi passi e lo stiamo definendo assieme, e ieri è stato presentato anche ad Angiolina Jolie che è andata in visita a Dhzerelo per capire come aiutare. Aiutare le persone con disabilità anche nelle emergenze assolute è un segno di civiltà. Se nessuno deve essere lasciato indietro, si deve fare di tutto perché questo sia davvero possibile. Anche in guerra.

Credit Foto Matilde Leonardi

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