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Potenziamo gli educatori nelle scuole, possono arginare il malessere dei giovani
«La presenza di educatori nella scuola non può più essere episodica, legata a qualche fortunato progetto». Lo dice Franco Taverna, coordinatore generale dell'area povertà educativa della Fondazione Exodus di don Mazzi. Per accompagnare la crescita dei ragazzi, «non basta più la competenza professionale: è indispensabile una forte empatia, la capacità di instaurare relazioni positive».
Ieri lo ha certificato anche l'Istat: la percentuale di adolescenti in cattive condizioni di salute mentale è passato dal 13,8% nel 2019 al 20,9% nel 2021. Non è una novità: secondo ln’indagine promossa da Fondazione Soleterre e dall’Unità di Ricerca sul Trauma dell’Università Cattolica di Milano «sono 490 mila i giovani in potenziale pericolo che necessitano di assistenza psicologica immediata per scongiurare esiti peggiori». Stefano Vicari, ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università Cattolica di Roma, racconta di non aver «mai avuto tanti accessi al pronto soccorso di tentativi di suicidio e di autolesionismo». Crescono anche disturbi alimentari (i casi sono aumentati almeno del 30 per cento. L'esordio della malattia già a 13 anni) e dipendenze da computer e da cellulari, consumo di droghe.
Una presa d’atto ineludibile che spinge ad indagare più in profondità gli effetti sulla salute fisica e mentale dei nostri figli. E sulle risposte offerte dai servizi, giudicate spesso insufficienti.
«Le comunità per minori o per persone dipendenti così come i servizi educativi operanti nelle scuole e nei territori si trovano in questi tempi in una situazione di grande sofferenza nella ricerca di educatori che non siano unicamente “titolati”, ma anche veramente in grado di interpretare il loro compito dentro agli attuali contesti, che certamente sono diversi da quelli di ieri», racconta Franco Taverna, coordinatore generale dell'area povertà educativa della Fondazione Exodus di don Mazzi.
Il loro punto di osservazione è quello della adolescenza e dei giovani, in special modo di quelli che si trovano in condizioni di fragilità e anche grave disagio. «Di questi si discute in genere solo davanti ad episodi giudicati degni di un titolo di cronaca. Ci si accorge di loro per la rissa nella via del centro, per qualche morte violenta, ragazzi che uccidono o si uccidono. All’arrivo del Covid poi, molti commentatori hanno cominciato ad attribuire le responsabilità di questa diffusa condizione di fragilità e insicurezza degli adolescenti allo stravolgimento di abitudini generato dalle chiusure causate dalla pandemia. Ma noi pensiamo che la questione adolescenza, la questione educativa oggi non debba riguardare solo le situazioni estreme e neppure possiamo considerarla semplicemente una conseguenza del virus».
Per dare una risposa a queste fragilità, dice, «è urgentissimo un profondo esame di coscienza da parte degli adulti, dei genitori, degli insegnanti rispetto alla situazione nella quale vivono i figli. Ma servono presto anche misure concrete per arginare le attuali derive. C’è bisogno di un ripensamento della scuola, non solo sul versante delle carriere dei docenti ma centrato sui sogni e sulle esigenze degli studenti, un ripensamento di spazi, di tempi, di programmi, di relazioni, un ripensamento che stringa in modo strutturale un rapporto tra insegnamento e educazione: qui sta la vera formazione!»
Un esempio concreto: «La presenza di educatori nella scuola non può più essere episodica, legata a qualche fortunato progetto. C’è bisogno di un investimento serio sulle politiche locali riferite ai giovani, di città disegnate prima di tutto con loro, di possibilità flessibili ma sicure di accesso al lavoro e alla casa. Devono esserci adeguate retribuzioni per le professioni educative. C’è assoluto bisogno di ascolto».
Oggi, osserva, «avvertiamo più che mai che per operare in questo straordinario, affascinante campo della educazione, della formazione e dell’accompagnamento dei bambini fino all’età adulta, della e-man-cipazione (tenere per mano e scegliere il momento per far volare liberi) non basta più la competenza professionale studiata ma è indispensabile una forte empatia, la capacità di instaurare relazioni positive, servono esempi, servono tempi diversi e fatti su misura dei ragazzi piuttosto che sui bisogni degli adulti. Servono avventure, coraggio, entusiasmo, capacità di assumersi responsabilità importanti».
Il fatto drammatico che siano aumentati in maniera preoccupante i casi di suicidi e le segnalazioni di minorenni presso i servizi di psichiatria rappresenta, secondo Taverna «un forte segnale dello stato di abbandono dei ragazzi da parte del mondo degli adulti, al di là di tutte le chiacchiere! E questo stato di crisi, non è solo di questi giorni ma nasce da lontano e, crediamo noi, tocca almeno in parte anche quei giovani appena di poco più grandi degli attuali ragazzi che, da poco laureati e in cerca di lavoro, vivono spesso le medesime incertezze degli adolescenti esplosivi o implosivi di oggi».
In sintesi, conclude: « così come è necessario oggi un impegno straordinario per affrontare la “questione adolescenza” in modo da non perdere una intera generazione di ragazze e ragazzi, allo stesso modo e parallelamente è necessaria e urgente una attenzione strategica sulla figura degli educatori all’interno del complesso quadro economico-sociale contemporaneo. Educatori come tassello irrinunciabile nella costruzione della società di oggi e di domani, insieme e con pari dignità delle altre professioni sociali e nel pieno rispetto delle istanze nuove. Vino nuovo in orti nuovi».
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