Mondo
«Crisi in Ucraina, è tempo di rivedere il modello d’accoglienza»
«Stiamo correndo il rischio di fare differenze tra chi fugge dalle guerre», dice Fabrizio Coresi, Migration Programme Expert di ActionAid. «Dimostrata l’incapacità dei Cas ad accogliere dovremmo concentrarci sul potenziamento del sistema Sai»
di Anna Spena
Stando ai dati del Ministero dell’Interno aggiornati ad oggi, lunedì 11 aprile, sarebbero 89.920 i cittadini ucraini arrivati in Italia in fuga dal conflitto (46.491 donne, 9.984 uomini e 33. 445 minori). «Ma non abbiamo contezza», spiega Fabrizio Coresi, Migration Programme Expert di ActionAid, «degli arrivi effettivi, perché il cruscotto statistico del Viminale registra regolarmente solo gli sbarchi, e le modalità e i punti di ingresso delle persone provenienti dall’Ucraina sono i più disparati». Sono diversi i cittadini che hanno raggiunto i valichi di frontiera dei Paesi confinanti con l’Ucraina, in particolare la Polonia, per portare i profughi verso le città di destinazione nel nostro Paese. «E in linea generale», aggiunge Coresi, «questo agire solidale prima della protezione temporanea – e tuttora quando l’aiuto, anche solo per portare cibo o conforto lungo la rotta, si rivolge ad altre persone migranti – poteva valere una condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La crisi Ucraina deve essere un’occasione per la revisione complessiva della normativa, altrimenti il rischio è di assistere ad un razzismo istituzionale che si esprime in politiche migratorie e dell’accoglienza differenziate in base alla provenienza».
ActionAid insieme a Openpolis attraverso la piattaforma online Centri d’Italia monitora il funzionamento del sistema di accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo in Italia e da anni denuncia la scarsa trasparenza e le criticità del circuito straordinario dei CAS. Il 70% delle persine oggi accolte si trova nei cas, strutture teoricamente temporanee e senza standard adeguati.
L’analisi dei dati rivela che tra il 2018 e il 2020, periodo di esecuzione dei Decreti Sicurezza, si è scelto di tagliare in media del 25% il costo giornaliero per persona nel sistema CAS, vale a dire riduzione dei servizi di integrazione offerti: mediazione linguistica e culturale, assistenza legale e psicologica. La chiusura di molte strutture ha coinciso con la tendenza a concentrare le persone assistite nei centri più grandi. «Le chiusure hanno interessato i centri più piccoli», dice Coresi, «vale a dire appartamenti e strutture abitative con capienza inferiore a 50 posti. E così abbiamo perso 22mila posti tra il 2018 ed il 2020 e assistito ad una contrazione di quasi il 47% dei posti Sai. Nonostante l’esigenza di attivare strutture straordinarie in una fase di emergenza, ora è più che mai necessario valorizzare il sistema dei centri SAI, Sistema di Accoglienza e Integrazione, in capo ai Comuni».
Ma con l’articolo 31 del decreto legge 21 del 21 marzo 2022 si inserisce nel nostro sistema di accoglienza una nuova modalità, che si affianca e si aggiunge a quelle canoniche dei CAS e dei SAI, pure potenziate seppur con posti dedicati alle sole persone ucraine. Si tratta di 15mila posti messi a disposizione in collaborazione con il Terzo settore. Il decreto demandava a successiva ordinanza della Protezione Civile la definizione delle forme e le modalità organizzative di questa nuova accoglienza diffusa.
E l’ordinanza 881 della Protezione Civile, oltre a mettere a disposizione fino a 15mila posti, tramite affidamento diretto al Terzo settore, riconosce a 60mila persone che hanno trovato in autonoma una sistemazione, un contributo di 300 euro al mese per 90 giorni.
Il dpcm recepisce anche la decisione del Consiglio Ue del 4 marzo e fissa proprio a partire dal 4 marzo 2022 la decorrenza della protezione temporanea, con durata di un anno. I beneficiari sono gli sfollati dall'Ucraina a partire dal 24 febbraio 2022: vi rientrano non solo i residenti in Ucraina, ma anche cittadini di Paesi terzi che beneficiavano di protezione internazionale e i loro familiari. È consentito ai cittadini ucraini già presenti in Italia il ricongiungimento con i propri familiari ancora presenti in Ucraina. Il permesso di soggiorno ha validità di un anno e può essere prorogato di sei mesi più sei, per un massimo di un anno e consente l'accesso all'assistenza erogata dal Ssn, al mercato del lavoro e allo studio.
«Esce oggi», spiega Coresi, «la manifestazione di interesse annunciata dall’ordinanza 881. Nonostante permangano alcuni punti critici, come l’importo erogato all’ente gestore a persona al giorno non in linea con il sistema pubblico in capo ai comuni, particolarmente positiva è la limitazione a 15 posti per singola struttura di accoglienza. Una misura che apre, con i servizi che devono essere garantiti, a un futuro assorbimento nel sistema Sai, ovviamente, ci auguriamo, senza limitazioni a particolari provenienze, una volta terminato l'esodo dall'ucraina».
«Nonostante il rischio di creare un terzo circuito di accoglienza, queste scelte dimostrano», evidenzia Coresi, «che il sistema così come definito dalla legge, sebbene contenga un meccanismo di elasticità che fa leva sui Cas, sia stato ritenuto inadeguato. Anche se sono stati pensati per gestire situazioni straordinarie, la bocciatura è in primis proprio per i cas, visto che le ordinanze consentono la deroga a quanto previsto in termini di servizi e procedure di assegnazione dei centri. E allora, se giustamente non sono idonei per le persone in fuga dall’Ucraina, perché dovrebbero esserlo per chi fugge da altre guerre? Corriamo il rischio di discriminare, basti pensare alle navi quarantena. Chi oggi arriva sulle coste siciliane è ancora destinato alle grandi navi, nonostante l’emergenza Coronavirus sia finita e non vi sia più una base giuridica per quel trattenimento. I profughi ucraini, giustamente, fanno un tampone e nel caso di negatività rispettano un periodo di auto sorveglianza di 5 giorni. Ci troviamo davanti ad una discriminazione evidentissima in tema di diritti e accoglienza. È di ieri l’ultimo naufragio, ma quelle morti, dovute al mancato soccorso e ai respingimenti che l’Italia ha delegato di fatto alla cosiddetta guardia costiera libica, non fanno rumore. Non si tratta di fare scelte coraggiose – come spesso si dice quando parliamo di tutelare diritti – ma di dare un segnale di discontinuità alla dilagante strumentalizzazione della materia migratoria e attuare misure dignitose e in coerenza con i principi costituzionali, pena il relegare diritti fondamentali a mere concessioni, in base ai mutati assetti geopolitici».
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