Economia

Il Terzo settore: occorre una svolta contro le disuguaglianze

Una tavola rotonda e alcune testimonianze hanno messo in risalto luci e ombre del nostro Paese, in un periodo storico in cui ci troviamo davvero a un bivio. Politiche sbagliate, risorse mal spese, spopolamento, invecchiamento, poche opportunità per i giovani che, non a caso, scappano all'estero in cerca di lavoro

di Luigi Alfonso

Il XXV Congresso nazionale Acri, che si svolge a Cagliari oggi e domani, ha permesso ad alcune delle più autorevoli voci del Terzo settore di portare un contributo di idee e riflessioni. «Le disuguaglianze di ogni genere si accaniscono sempre sulle stesse persone e sugli stessi territori», ha commentato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum nazionale del Terzo Settore. «È necessario creare una discontinuità di schema, cambiare le relazioni di forza. Il Terzo settore, che si ispira all’articolo 3 della nostra Costituzione, ha cercato di sperimentare in questi anni nel lungo periodo, puntando a diverse progettualità comuni insieme ad altri soggetti, tra cui le Fondazioni di origine bancaria. La Fondazione Con il Sud è un esempio forse unico a livello europeo, e dobbiamo guardare a questa realtà con orgoglio perché ci consente di condurre tanti interventi di grande impatto sociale ed economico. Un altro modello di rilievo, che mette in campo competenze e conoscenza del territorio in contrasto con le disuguaglianze, è l’Impresa sociale “Con i bambini”. Un grande ruolo è esercitato dai Centri di servizio per il volontariato, che contribuisce a non disperdere il grande capitale sociale e umano che è stato costruito negli anni. Un tessuto sociale che ha un valore enorme: in Italia 5 milioni di persone fanno volontariato. Un made in Italy della socialità, una rete di prossimità e solidarietà di cui andare fieri».

Nel corso della tavola rotonda pomeridiana su “Inefficienza e ingiustizia, perché parliamo di disuguaglianze”, condotta dal presidente della Commissione Acri sul Terzo settore e di Fondazione Cariplo, Giovanni Fosti, sono intervenuti tra gli altri Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud, Angelo Moretti, referente della rete “Piccoli Comuni Welcome”, ed Emma Paladino, senior fellow del think tank Tortuga. «La questione vera del nostro Paese è la disuguaglianza tra Nord e Sud», ha detto Borgomeo. «La Cassa per il Mezzogiorno fu istituita 72 anni fa: viene da chiedersi come mai la situazione non sia stata risolta, nel frattempo. Ci sono molti luoghi comuni, in proposito. A mio avviso è stata sbagliata l’offerta politica del Mezzogiorno, si è pensato soltanto a trasferire dei soldi senza la necessaria attenzione a come quei soldi venivano spesi e se incontrassero un minimo di coesione sociale. Certi interventi sono risultati assistenziali e persino oppressivi, con uno sviluppo ritardato. Sino a quando la molla è legata soltanto alla solidarietà, è un conto, ma così non funziona. Occorrono politiche più attente, rinunciando ai conti ad effetto e alla cultura del welfare risarcitorio, frutto di vecchi schemi. L’infrastrutturazione sociale è la premessa irrinunciabile per lo sviluppo. I soggetti stessi del Terzo settore devono sentirsi protagonisti di questo sviluppo».

Spopolamento e invecchiamento sono tra i problemi più pressanti in Italia. «L’uguaglianza non avviene in natura, ci si arriva attraverso dei percorsi», ha detto Moretti. «Perché ci interessa che i piccoli Comuni non muoiano? Non è un fatto romantico. Si va sempre di più verso una concentrazione di poteri e di uomini, nelle cosiddette megalopoli. Se non abbiamo un progetto sui piccoli Comuni, creiamo le stesse condizioni di chi fugge dall’Africa verso l’Occidente, a parte coloro che scappano dalle guerre. Un quinto degli abitanti italiani risiede nei piccoli Comuni, ecco perché vanno ripensati la logica di sviluppo e il rapporto tra la città e la campagna. Da decenni abbiamo rinunciato al concetto di comunità. Tremila Comuni, lo ha detto il Presidente Mattarella, sono a rischio di estinzione. Ben vengano la digitalizzazione e le pale eoliche nelle campagne, ma forse prima bisogna pensare al legame di comunità. Avere tanta terra a disposizione e una popolazione scarsa, paradossalmente costituisce una grande opportunità da cogliere».

«Il patto generazionale è sempre stato importante, nella storia dell’umanità, ed è così che nei secoli si è sviluppato lo stato sociale», ha osservato Paladino. «La disuguaglianza nasce quando non si è più in grado di vivere una vita dignitosa, e questo riguarda tantissimi giovani che non riescono a trovare un lavoro e raggiungere un’indipendenza economica. Il diritto di svilupparsi in modo professionale, in Italia, vede chiaramente avvantaggiato chi ha maggiori opportunità. La fuga di cervelli, nel nostro Paese, ogni anno equivale a una città come Terni o Vicenza e comporta ricadute pesanti per il sistema Paese. La crisi demografica ci sta mettendo davanti a sfide importanti, diventa sempre più necessario avere politiche giovanili efficaci».

I lavori del Congresso quest’anno si svolgono in Sardegna, perciò non poteva mancare il racconto della lotta alle disuguaglianze da parte della Fondazione Domus de Luna di Cagliari, una delle realtà più consolidate nell’Isola. «Vi porto la testimonianza delle nostre attività quotidiane – ha spiegato il fondatore Ugo Bressanello – e su ciò che mettiamo in campo per attutire questa disparità, attraverso il lavoro delle nostre comunità che cercano di porre le condizioni di diritto e tutela, soprattutto per i bambini, i ragazzi e le mamme. Condizioni che sono convenienti per l’intera società, perché se si riesce oggi ad affrontare certi temi, in futuro sarà possibile avere meno problemi di carattere economico sul fronte delle dipendenze, delle carceri, del disagio psichiatrico, al di là delle questioni morali ed etiche. Questo intervento mi consente di ringraziare le Fondazioni bancarie, senza il cui apporto non potremmo svolgere tutte le nostre attività. Sono loro che rendono possibile il quotidiano con tutti gli interventi che, solamente con il modello assistenzialistico tradizionale, non si reggerebbero in piedi. Le Fondazioni devono capire quanto sia importante il loro apporto e sostegno, e dobbiamo richiamarli alla loro corresponsabilità negli interventi che si attuano, anche nella logica di non scimmiottare il modello pubblico con bandi con troppe implicazioni burocratiche e meccanismi formali. Semmai, bisogna aumentare i controlli concreti ed entrare nel campo, sporcandosi le mani».

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