Famiglia

Corte Europea, Italia inadeguata nella tutela delle donne che denunciano

«Lo Stato italiano è inadeguato nella tutela delle donne che denunciano». È di oggi la sentenza della Corte Edu, Corte Europea Dei Diritti Dell’uomo, nel caso Landi contro Italia che condanna nuovamente il nostro paese in un caso di violenza domestica in cui a perdere la vita per mano del padre è stato un bambino

di Sabina Pignataro

È di oggi la sentenza della Corte Edu (Corte Europea Dei Diritti Dell’uomo) nel caso Landi contro Italia che condanna nuovamente il nostro paese in un caso di violenza domestica in cui a perdere la vita per mano del padre è stato un bambino.

I fatti risalgono al settembre del 2018 a Scarperia (Firenze), quando un uomo uccise a coltellate il figlio di un anno, ferendo in modo grave anche la convivente e cercando di uccidere l'altra figlia. La sentenza ha stabilito che "i procuratori sono rimasti passivi di fronte ai gravi rischi che correva la donna e con la loro inazione hanno permesso al compagno di continuare a minacciarla e aggredirla".

Lo Stato dovrà versare alla donna 32mila euro per danni morali.

Nel suo ricorso la donna sosteneva che lo Stato italiano avesse violato il suo diritto alla vita e quello dei figli, e che la violazione nei suoi confronti fosse da imputare in parte a un atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne da parte delle autorità.

Dai fatti riportati nella sentenza emerge che prima del giorno della tragedia culminata con l'uccisione a coltellate del figlio di un anno, il ferimento della donna e il tentato omicidio anche della figlia di 7 anni, il 14 settembre del 2018, la donna era stata già aggredita tre volte dal compagno, nel novembre del 2015, nel settembre 2017 e nel febbraio 2018, e che avesse sporto diverse denunce.

Il commento

«Ancora una volta la Corte Edu rileva l’inadeguatezza dello Stato italiano nel tutelare le donne che denunciano la violenza domestica e i loro figli. Ancora una volta la Corte Edu sottolinea queste carenze di fronte a un bambino ammazzato per mano del padre più volte denunciato e sottolinea l’insufficiente attivazione del sistema giudiziario», è il commento di D.i.Re. – Donne in rete contro la violenza. «Ancora una volta la Corte Edu evidenzia l’inadeguatezza della valutazione del rischio nel sistema giudiziario, come osservato già dal GREVIO (il Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne è l’organismo indipendente del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul in tutti i paesi che l’anno ratificata) e come ripetono da anni i Centri Antiviolenza.

Come già nel caso Talpis contro Italia, le Autorità italiane, omettendo di agire tempestivamente dinanzi alla denuncia della ricorrente – vittima di violenza domestica, hanno determinato una situazione di impunità, che ha favorito la reiterazione delle condotte violente, fino a condurre al tentativo di omicidio della donna e all'omicidio di suo figlio.

«Con questa sentenza, la Corte Edu ribadisce come, in materia di violenza domestica, il compito di uno Stato non si esaurisce nella mera adozione di disposizioni di legge, ma si estenda ad assicurare che la protezione di tali soggetti sia effettiva. L'inerzia delle Autorità nell'applicare la legge vanifica gli strumenti di tutela previsti: Lo Stato ha l’obbligo di attuare misure capaci di salvaguardare in modo efficace i beni supremi della vita e dell’integrità delle persone quando vi è un rischio immediato e reale che quei diritti possano essere aggrediti», dichiara l’avvocata Titti Carrano della Rete nazionale D.i.Re Donne in Rete contro la violenza.

«Anche in questo caso, la valutazione del rischio è mancata totalmente, nonostante da anni il Grevio chieda all’Italia di sviluppare tale strumento e “garantirne un'ampia diffusione all'interno di tutte le agenzie statutarie coinvolte nella gestione dei casi di violenza di genere”. Infatti, L’Italia è ancora lontana dall’assicurare effettiva protezione alle donne che subiscono violenza e ai loro figli e figlie ed è ancora sottoposta a vigilanza rafforzata per il caso Talpis», conclude l’avvocata Carrano.

«Da oltre un anno, l’Italia è mancante nell’ambito della procedura di sorveglianza, non avendo dato una risposta dovuta entro il 31 marzo 2021 sulle misure adottate o previste per garantire adeguato ed effettiva valutazione del rischio e sulle informazioni sui fondi ai Centri Antiviolenza e sugli sforzi per assicurare una adeguata distribuzione di queste strutture», dichiara Antonella Veltri, Presidente D.i.Re.

«Il sistema formativo destinato a tutti i soggetti che intervengono nei casi di violenza è ancora estremamente carente. È ormai imprescindibile partire dalla prospettiva di genere sulla violenza come fattore fondamentale e ineludibile per dare risposte efficaci e tempestive alle donne che subiscono violenza e per non mettere a rischio le loro vite, quelle delle loro figlie e dei loro figli. Le donne e i loro figli e figlie continuano a morire perché manca una piena consapevolezza e lettura del fenomeno. Lo abbiamo chiesto due anni fa, lo richiediamo oggi: in che Stato siamo? Quante donne con le loro figlie e i loro figli devono essere ammazzate perché lo Stato decida di riconoscere la violenza maschile contro le donne almeno quando è denunciata?», conclude la Presidente Veltri.

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