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Ma le bombe non chiedono nazionalità e documenti
L'Italia riconosce protezione temporanea, oltre che ai cittadini ucraini, agli stranieri che godevano già dello status di rifugiati o che avevano un permesso di soggiorno permanente. Niente protezione per tutti gli altri stranieri, ad esempio per gli studenti stranieri o per i lavoratori temporanei, oltre che per tutti gli irregolari. Miraglia (Tavolo Asilo): «Scelta ingiustificata. La loro condizione è identica a quella degli altri»
Le bombe non chiedono nazionalità nè documenti. Eppure nel tanto atteso Dpcm del 28 marzo, quello che dà indicazioni concrete sulla protezione temporanea riconosciuta a chi fugge dall’Ucraina e fa entrare in vigore la direttiva 55/2001 dell’Unione europea, l’Italia ha scelto di fare una accoglienza differenziata.
«Il testo ripropone la stessa logica dell'accordo raggiunto nel Consiglio dell'Unione Europea con la Decisione dello scorso 4 marzo. Passa anche in Italia la linea del gruppo di Visegrad: conta la nazionalità non la necessità di proteggere le persone. Se sei uno studente straniero che studiava in Ucraina o un lavoratore straniero temporaneo che lavorava in quel Paese prima del 24 febbraio 2022, non hai diritto alla protezione accordata dall'Unione Europea. L'Italia avrebbe potuto scegliere condizioni di miglior favore per le categorie mal digerite dalle destre al governo nei paesi dell'est e invece ha scelto di attestarsi sulla linea dell'ideologia anti immigrati», commenta Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci e coordinatore del Tavolo Asilo. «Già si paventa una sorta di selezione etnica. Sul tema i paesi della Ue si sono divisi, e non sono soltanto i nazional-sovranisti del gruppo di Visegrad a discriminare tra i fuggiaschi. Dispiace che l’Italia si si sia accodata al partito dell’accoglienza differenziata», ha commentato su Avvenire il professor Maurizio Ambrosini.
Qual è la questione? L’articolo 1 del Dpcm del 28 marzo effettivamente non menziona solo i cittadini ucraini tra le categorie di sfollati beneficiari della protezione temporanea di un anno dal 4 marzo 2022 (poi rinnovabile di sei mesi in sei mesi per al massimo un altro anno). Parla anche di apolidi e cittadini di paesi terzi che in Ucraina beneficiavano di protezione internazionale o nazionale equivalente e dei loro familiari, così come parla di cittadini di paesi terzi in possesso di un permesso di soggiorno permanente valido. Vero, bene, ma tutti gli altri non ci sono. «La protezione temporanea viene riconosciuta ai cittadini ucraini e ai cittadini stranieri che in Ucraina avevano già vista riconosciuta la loro condizione di rifugiato o quelli con un permesso di soggiorno permanente, quelli che per noi sono i lungo soggiornanti. Tutti le altre categorie di stranieri regolari che erano ugualmente in Ucraina, per non parlare degli irregolari, non rientreranno nella protezione temporanea», spiega Miraglia. Per esempio quindi gli studenti universitari, di cui abbiamo già letto nei giorni scorsi storie drammatiche, o i lavoratori che lavoravano regolarmente ma senza un permesso permanente. Non ci saranno per loro i contributi di cui si parla nell’ordinanza 881 della Protezione civile, per esempio. «Le misure di accoglienza che l’Italia sta attivando per loro non varranno. Ma chiaramente le bombe fanno differenza tra persone di diversa nazionalità o in possesso di documenti diversi, la situazione in Ucraina è la medesima per tutti. È incomprensibile che l’Italia abbia fatto questa scelta, una scelta del tutto ingiustificata e sciagurata», sottolinea Miraglia.
Le persone appartenenti a queste altre categorie, che ovviamente sono già arrivate e potranno arrivare in Italia, potranno fare domanda di asilo, andando in Questura, attendendo di essere chiamati, sostenendo un colloquio con la apposita commissione: «Siccome provengono da zone dove c’è una guerra conclamata, le Commissioni riconosceranno loro la protezione sussidiaria, che garantisce accoglienza e assistenza. Arriverà, certo, ma con tempi più lunghi. Mentre la loro condizione è identica a quella degli altri».
Sul campo, continuano ad esserci diverse criticità. La prima è «la confusione che permane sui territori», con alcuni Presidenti di Regioni che – pur essendo i Commissari delegati – non hanno ancora convocato i tavoli di coordinamento con le Prefetture, i Comuni e il Terzo settore. Le Prefetture non stanno applicando la circolare del Viminale che indica in 33 euro la base d'asta per l’accoglienza nei CAS, continuando a fare uscire avvisi a 24, 27, 29 euro. «Rischiamo che questa confusione scarichi sulle comunità locali, sulle famiglie e sulle organizzazioni l’onere dell’accoglienza», dice Miraglia. Quanti ai 15mila posti in accoglienza diffusa, al di fuori del sistema dei CAS e dei SAI: «Ci stanno chiedendo di erogare gli stessi servizi che si fanno nei SAI, ed è corretto. Lì il costo medio è 41 euro pro capite pro die. Si tratta di costi rendicontati ed è evidente che i costi del progetto cambiano, per esempio tra Nord e Sud, come Arci abbiamo progetti che hanno un costo medio di 55 euro pro capite pro die: in quelle città è evidente che cifre troppo basse non sono sostenibil se vogliamo erogare tutti i servizi richiesti. Ovviamente non vogliamo guadagnarci ma nemmeno possiamo lavorare sempre in perdita».
Kiev. Foto di © Yuliia Ovsiannikova/Avalon/Sintesi
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