Politica

Perché i Comuni disertano il bando del Pnrr sugli asili nido?

Sono arrivate richieste di finanziamento solo per la metà dei 2,4 miliardi di euro stanziati dal Pnrr per gli asili nido. Spaventano i costi di gestione e l'inesperienza frena chi deve partire da zero. Così facendo però il gap fra i territori rischia di allargarsi anziché ridursi. Intervista con Emmanuele Pavolini, uno dei portavoce di Alleanza per l’Infanzia

di Sara De Carli

Le richieste di finanziamento si sono fermate a 1,2 miliardi di euro, a fronte di 2,4 miliardi disponibili. È quanto è accaduto nelle settimane scorso sui bandi del Ministero dell’Istruzione sugli asili nido, uno degli assi su cui il Pnrr aveva scommesso. A fine febbraio è scaduto il termine per le candidature da parte degli Enti locali ma mentre per scuole, mense, palestre e scuole dell’infanzia l’adesione è stata massiccia, con richieste di finanziamento di gran lunga superiori ai fondi disponibili, per i nidi è stata una debacle. Tutte le regioni hanno presentato richieste al di sotto del budget stanziato, con l’unica eccezione dell’Emilia-Romagna, ma la situazione è particolarmente grave per quelle che già partivano da una presenza molto bassa di servizi educativi per la prima infanzia. Il Ministero ha prorogato al 31 marzo la scadenza per questo bando, ma sarà sufficiente? No, dice al Governo la Rete EducAzioni, di cui fa parte anche Alleanza per l’Infanzia: bisogna affrontare invece le criticità che stanno alla base di questa scarsa risposta dei Comuni. Altrimenti sarà impossibile raggiungere l’obiettivo minimo di una copertura del 33% di nidi su tutto il territorio nazionale, non solo indicato dal Pnrr ma indicato addirittura come livello essenziale che deve essere garantito in tutte le aree del Paese. Il rischio concreto quindi è quello già paventato nei mesi scorsi, quando ci si interrogava se davvero lo strumento dei bandi potesse essere il più adeguato: il Pnrr rischia di ampliare ulteriormente il gap che oggi esiste sui territori, aggiungendo posti e servizi là dove ci sono già (che per carità è sempre una cosa buona) ma senza affrontare e risolvere il tema della riduzione delle diseguaglianze.

Ne parliamo con Emmanuele Pavolini, uno dei portavoce di Alleanza per l’Infanzia insieme a Chiara Saraceno e Alessandro Rosina, coordinatore del tavolo sui servizi educativi 0-6 anni di della Rete EducAzioni.

I Comuni hanno fatto molta progettazione e hanno inviato molti progetti sugli altri bandi, superando le risorse stanziate. Sui nidi no. Perché? I nidi ai nostri Comuni non interessano?
Intanto ricordiamo che in Italia ci sono 8mila comuni, di cui tre quarti hanno meno di 5mila abitanti. Mentre per gli altri servizi in questione, pensiamo ad esempio alla scuola, i Comuni possono appoggiarsi allo Stato, sui nidi sanno che se aprono un nido poi la gestione è a carico loro. Sostanzialmente ci sono due temi: il primo è che alcuni Comuni, soprattutto quelli con meno esperienza con un asilo nido e con bilanci più fragili, prima di impegnarsi su investimenti in infrastrutture quali sono quelle legate al Pnrr – non dimentichiamo che si tratta di un piano di edilizia – ci pensa attentamente, proprio perché consapevole dell’entità, poi, dei costi di gestione del servizio, che saranno in carico al Comune. Il secondo tema è che i Comuni che hanno già esperienza sui nidi sono facilitati a fare progettazione, ma sono proprio quelli che hanno più bisogno di questi servizi ad essere meno abitato. Nonostante il Ministero abbia fatto un percorso di sostegno ai Comuni sulla progettazione, con i tempi stretti che c’erano, se un Comune piccolo doveva fare progettazione, prima di lanciarsi in un progetto per costruzione di un nido si è messo sulla mensa scolastica, sulla palestra o sull’ampliamento delle scuole dell’infanzia… infatti sono arrivate molte richieste sui poli integrati 0-6. Spesso si tratta di Comuni di piccole e medio-piccole dimensioni, enti locali in aree interne e nel Mezzogiorno: ciò che è probabilmente successo in queste settimane è stata la difficoltà di questi Comuni con poca esperienza a investire tempo e risorse sul tema nidi, dato che si sono trovati a dover rispondere in contemporanea a bandi diversi, su settori differenti.

Ciò che è probabilmente successo in queste settimane è stata la difficoltà di Comuni di piccole e medio-piccole dimensioni, in aree interne e nel Mezzogiorno, con poca esperienza nei nidi a investire tempo e risorse sul tema nidi, dato che si sono trovati a dover rispondere in contemporanea a bandi diversi, su settori differenti

Emmanuele Pavolini

Il tema costi gestione è ovviamente importante. È anche vero però che la Legge di stabilità per il 2022, consapevole di ciò, ha un finanziamento annuo di importo crescente ai Comuni per fare fronte alle spese di gestione: 120 milioni di euro nel 2022 per arrivare a 1,1 miliardi a decorrere dal 2027. Quindi la preoccupazione dei Comuni è reale?
Sicuramente sia questo governo sia quello precedente stanno cercando di fare uno scatto forte sullo 0-6, con i 4,6 miliardi del Pnrr e con questo stanziamento che cita, previsto dalla legge di stabilità. Da un lato questa è una previsione di legge e i Comuni possono nutrire timori in assenza di certezze sul finanziamento aggiuntivo futuro per poter coprire i costi di gestione. L’altro aspetto è relativo al fatto che – calcoli alla mano – questo stanziamento aggiuntivo per le spese di gestione copre una parte significativa delle spese, ma non tutto. Secondo i dati dell’Istat, la spesa relativa per servizi educativi comunali o convenzionati nel 2019 è stata pari a un miliardo e 496 milioni di euro, di cui 1,2 miliardi di euro a carico dei Comuni e la restante quota a carico delle famiglie tramite le rette. Questa cifra ha permesso la fruizione del servizio a circa 197.500 i bambini sotto i 3 anni, pari al 14,7% del totale dei loro coetanei. Se l’obiettivo è arrivare al 33% di copertura, più che raddoppiando quella attuale, è evidente che 1,1 miliardi non bastano. Le cifre previste dalla legge di stabilità, pur costituendo un importante segnale positivo, sembrano ancora non adeguate a quanto sarebbe necessario. Un terzo tema è che di questo forte stanziamento con cui lo Stato va a sostenere i Comuni nelle spese di gestione dei nidi, non tutti gli 8mila Comuni forse sono a conoscenza: servirebbe un’informazione capillare specifica su questo, tramite Anci e la Conferenza delle Regioni. Questo potrebbe aiutare a sgombrare il terreno dai timori.


Basterebbe?
Credo che sia necessario anche stanziare ulteriori risorse se vuole rassicurare i comuni medio piccoli e con i bilanci più fragili. E occorre fare una attività di supporto ulteriore nella progettazione sui nidi.

Come dire che riaprire il bando per un mese non è risolutivo.
Serve un tempo più congruo e occorre che quel supporto alla progettazione che già il Ministero dell’Istruzione ha messo a punto insieme all’Agenzia per la coesione venga rafforzato. Rafforzato però con un'ottica molto puntuale, andando a capire in prima battuta qual è il profilo dei Comuni che hanno presentato meno domande e concentrando le azioni di supporto su di essi: affiancare i Comuni nella progettazione, prevedere che sia coinvolta la comunità educante locale nell’individuare i bisogni e nel formulare i progetti per i nidi e che si possa fare coprogettazione, prevedere dei criteri di premialità. Serve maggiore attenzione alle motivazioni che hanno spinto molti Comuni a non fare domanda. Diversamente tra 20 giorni invece di avere 1,2 miliardi di euro non richiesti ne avremo qualche milione in meno, ma sostanzialmente i problemi che questo porta a galla non saranno risolti.

E se nonostante tutto i Comuni non si candidassero?
Visto che il Pnrr ha finalmente riconosciuto i servizi per la prima infanzia come livelli essenziali, è fondamentale che in tutti i territori in cui si è sotto il livello essenziale del 33% lo Stato intervenga direttamente, anche operando in maniera sostitutiva, a garanzia dei diritti educativi dei bambini e delle bambine. Se vogliamo prendere seriamente i livelli essenziali va messo in conto.

Ci sono meccanismi di premialità che secondo voi potrebbero funzionare?
Delle premialità per i progetti di nidi che prevedono collaborazioni tra più Comuni, visto che il 75% dei nostri Comuni è piccolo. E delle premialità per il coinvolgimento delle comunità educanti.

In questo momento in Italia si fa fatica a trovare educatori e di certo non abbiamo un numero di educatori sufficiente per assicurare il passaggio da una copertura del 14-15% a una del 33%. Dentro le nostre reti il tema delle condizioni di lavoro e della quantità di lavoratori professionalmente preparati sta diventando molto importante. È fondamentale che che già da adesso il Ministero avvii un tavolo con le Regioni, Anci, le Università, il sindacato, gli enti gestori e il Terzo settore per iniziare a fare programmazione dei posti, così da assicurare un numero adeguato di personale qualificato e per capire come rendere più attrattivo il lavoro nei servizi educativi 0-6 anni, migliorando le condizioni di lavoro nel settore

Ma queste premialità non penalizzerebbero chi ha già presentato il proprio progetto nella prima fase?
Stiamo dicendo che le proposte progettuali pervenute coprono appena la metà delle risorse disponibili: non c’è il problema.

C’è però un altro problema che sta diventando sempre più evidente: la mancanza di educatori. È così?
Sì, in questo momento in Italia si fa fatica a trovare educatori e di certo non abbiamo un numero di educatori sufficiente per assicurare il passaggio da una copertura del 14-15% a una del 33%. Dentro le nostre reti il tema delle condizioni di lavoro e della quantità di lavoratori professionalmente preparati sta diventando molto importante. È fondamentale che che già da adesso il Ministero avvii un tavolo con le Regioni, Anci, le Università, il sindacato, gli enti gestori e il Terzo settore per iniziare a fare programmazione dei posti, così da assicurare un numero adeguato di personale qualificato e per capire come rendere più attrattivo il lavoro nei servizi educativi 0-6 anni, migliorando le condizioni di lavoro nel settore. Se vuoi avere una soluzione pronta per il 2026/27, che è l’arco temporale entro cui dovranno essere pronte le strutture realizzate con il Pnrr, devi partire subito con la programmazione. Il rischio altrimenti è che costruiamo dei nidi e poi li teniamo chiusi perché non abbiamo il personale: rischiamo di cadere qui. Se invece il modello diventa quello del baby parking, anziché quello dei servizi educativi, allora tanto vale non fare niente.

Photo by Juan Encalada on Unsplash

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