Welfare

Non autosufficienza: la riforma o è di sistema o non è

Come potrebbe cambiare l'indennità di accompagnamento, come saranno le nuove RSA e la domiciliarità, quali interventi per badanti e caregiver? Cristiano Gori, coordinatore del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, presenta le proposte per la riforma prevista dal Pnrr. Una riforma da fare insieme, presto e bene

di Sara De Carli

Una riforma attesa da oltre vent’anni, che riguarda 3,8 milioni di anziani non autosufficienti e le loro famiglie. È la riforma della non autosufficienza, prevista dal Pnrr e che dovrebbe vedere la luce entro marzo 2024. I tempi iniziano a farsi brevi: basti pensare che sull’altra grande riforma del welfare – quella sulla disabilità – la legge delega è stata licenziata dal Parlamento prima di Natale. Una proposta per ridisegnare complessivamente il sistema arriva ora dal “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza” con il documento “Proposte per l’introduzione di un Sistema Nazionale Assistenza Anziani”, 121 pagine di visione e di proposte minuziosamente dettagliate che Cristiano Gori, coordinatore del Patto, definisce «ambiziosa e realista, contemporaneamente». Il Patto raggruppa una cinquantina di organizzazioni della società civile coinvolte nell’assistenza agli anziani non autosufficienti: grazie alla loro spinta un anno fa la riforma della non autosufficienza – inizialmente non prevista – venne inserita nel Pnrr. Conquistato lo spazio, ora si tratta di riempirlo: insieme, presto e bene.

«La nostra proposta di riforma disegna una nuova governance delle politiche per la non autosufficienza, affidata al Sistema Nazionale Assistenza Anziani (Sna), che costruisca una filiera di risposte differenziate e complementari tra loro dedicate agli anziani non autosufficienti, superando la frammentazione attuale e dando risposte diverse ai bisogni diversi», sintetizza Cristiano Gori, coordinatore del Patto. «Abbiamo scelto come sottotitolo “un contributo per il confronto” nella consapevolezza che il nostro è un documento di lavoro, integrabile e migliorabile, un testo aperto per contribuire al confronto tra i tanti attori interessati alla riforma. Una proficua collaborazione tra tutti i diversi soggetti infatti è l’unica strada per arrivare a una riforma all’altezza delle esigenze degli anziani non autosufficienti e delle loro famiglie».

Quali sono gli elementi portanti della vostra proposta?
Se ragioniamo di riforma della non autosufficienza, la prima domanda da porsi è: a cosa serve? Serve a costruire il welfare di cui gli anziani non autosufficienti e le loro famigliea avranno bisogno nell’Italia di domani, sapendo che quello attuale ha molte carenze. Questo è il primo punto. Ambizione e realismo sono le nostre caratteristiche: realistico perché la titolarità delle varie misure rimane in carico di volta in volta al sociale, alla sanità e all’Inps, ma con l’ambizione che in tutti i passaggi queste misure siano costruite insieme e il nuovo Sistema Nazionale Assistenza Anziani (Sna) ricomponga finalmente l’attuale frammentazione e costruisca un assetto unitario.

Andando per parole-chiave, quali evidenziare?
Sono quattro. La prima è la ricomposizione del sistema, per superare la frammentazione tra politiche sociali, sanitarie e trasferimenti monetari che è il primo problema delle politiche per la non autosufficienza attuali e che crea un ostacolo di base alla possibilità di costruire risposte appropriate. La seconda parola-chiave è diverse risposte per diversi bisogni: la molteplicità delle condizioni di non autosufficienza ci porta a dire che non si può puntare su un solo intervento ma che occorre ragionare in ottica di filiera, con interventi coordinati e complementari: domiciliari e residenziali, per i caregiver e per le badanti, trasferimenti monetari e servizi. Dentro questo approccio di filiera, la priorità è la permanenza dell’anziano a domicilio là dove questo sia possibile.

Oggi le famiglie peregrinano tra luoghi e sportelli, mentre nello Sna ci sarò una sola valutazione iniziale per accedere al sistema e poi un percorso unitario, chiaro e semplice, all'interno della rete del welfare e delle varie risposte disponibili, pubbliche e private, formali e informali.

Cristiano Gori, coordinatore del “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”

La terza parola-chiave è la semplificazione dei percorsi: oggi le famiglie peregrinano tra luoghi e sportelli, mentre nello Sna ci sarò una sola valutazione iniziale per accedere al sistema e poi un percorso unitario, chiaro e semplice, all'interno della rete del welfare e delle varie risposte disponibili, pubbliche e private, formali e informali. Il quarto punto è il finanziamento pubblico dei livelli essenziali per la non autosufficienza, necessario per assicurare dei diritti, sia per quanto riguarda l’assistenza sanitaria (Lea) sia quella sociale (Lep): all’atto pratico ciò significa incrementare i fondi rispetto alla situazione attuale. Questi livelli essenziali però vanno definiti congiuntamente. A queste parole chiave di contenuti, si accompagna un’attenzione di metodo.

Quale?
Il welfare italiano è fortemente decentrato, con un ruolo centrale di regioni e comuni e modelli molto differenziati tra i diversi territori. In un simile contesto, sarebbe irreale immaginare una legislazione statale iper-dettagliata: la sfida è individuare una serie di punti fondamentali che rappresentino il riferimento per i diversi territori, nel rispetto delle specificità di ognuno.

È stato complicato far convergere tante organizzazioni in questa proposta unitaria?
Questa proposta è frutto di un percorso partecipato tra le 50 organizzazioni del Patto, che hanno lavorato in tavoli tematici – dedicati a specifici temi – e si sono confrontate sull’impianto complessivo delle proposte. Giungere ad un accordo è stato più semplice di quanto la numerosità e l’eterogeneità delle realtà aderenti al Patto avrebbero potuto suggerire. Tale esito, a ben vedere, conferma un’impressione diffusa da tempo tra gli esperti, non solo quelli del Patto: l’esistenza di un significativo grado di consenso tra gli addetti ai lavori in merito alla direzione da imboccare per il cambiamento.

Esistono delle commissioni che hanno lavorato o stanno lavorando sulla non autosufficienza: come si colloca la proposta del “Patto” rispetto ad esse?
Noi pensiamo che il nostro lavoro e quello delle diverse commissioni possano essere tutti utilmente integrati per costruire risposte adeguate alle esigenze dei nostri 3,8 milioni di anziani non autosufficienti e delle loro famiglie. Speriamo che sia possibile unire le forze non solo tra noi e le istituzioni ma anche all’intero delle istituzioni. Valorizzando tutti gli apporti, confido si possa procedere rapidamente, mentre noi ora siamo preoccupati per i tempi. Unire le forze e non perdere tempo: sono queste le nostre richieste alle istituzioni. Quella della non autosufficienza dovrebbe rappresentare una riforma qualificante dell’ultimo anno della legislatura.

Nei mesi scorsi lei ha detto che il punto di partenza, in vista della riforma, doveva essere il rafforzamento del Sad: nella proposta odierna questo come si declina?
Nei mesi scorsi si ragionava attorno alla legge di bilancio e alla necessità di uno stanziamento aggiuntivo per il Sad che affiancasse quello per l’Adi previsto dal Pnrr. Quando però inizi a lavorare su un disegno di legge delega devi fare un ragionamento di sistema e in quest’ottica il rafforzamento del Sad entra nel disegno di una nuova domiciliarità che vede il rafforzamento di entrambe le risposte, il Sad e l’Adi. Sappiamo infatti che occorrono certamente più risorse per il Sad ma sappiamo anche che occorre cambiare l’Adi, che oggi per esempio ha una durata troppo breve. Gli anziani devono invece ricevere assistenza per il tempo necessario, con una presa in carico di durata adeguata ai loro bisogni e con l’opportuna intensità degli interventi.

La Prestazione Universale per la Non Autosufficienza rimane universale, come l’indennità di accompagnamento. Se oggi però l’importo dell’accompagnamento è identico per tutti a 520 euro mensili, la Prestazione Universale per la Non Autosufficienza verrà graduata secondo i bisogni di cura e si incrementerà nel tempo in base all’aumentare del fabbisogno assistenziale

Veniamo ad alcuni punti concreti. Nella vostra proposta, dall’accompagnamento si passa alla Prestazione Universale per la Non Autosufficienza. Cosa cambia?
La Prestazione Universale per la Non Autosufficienza rimane universale, come l’indennità di accompagnamento: questo deve essere molto chiaro. Significa che vi si accede in base a una valutazione che riguarda esclusivamente il fabbisogno assistenziale. Se oggi però l’importo dell’accompagnamento è identico per tutti a 520 euro mensili, la Prestazione Universale per la Non Autosufficienza verrà graduata secondo i bisogni di cura e si incrementerà nel tempo in base all’aumentare del fabbisogno assistenziale: in Germania per esempio arriva a 901 euro. Chi beneficia già dell’indennità di accompagnamento potrà mantenere quella o optare per la misura nuova. Si potrà scegliere tra avere il contributo economico senza vincoli di utilizzo, come oggi, e la fruizione di servizi alla persona, con un approccio che non impatti sulla libertà delle famiglie degli anziani. Se però usi la Prestazione Universale per la Non Autosufficienza per dei servizi, che siano ore di servizi da una cooperativa o pagamento di assistenti domiciliari regolarmente assunti c’è un incentivo, ossia un aumento dell’importo della prestazione.

Un tema ricorrente è quello degli adulti con disabilità che invecchiano, che nel vostro testo ha una parte dedicata ma che torna in ogni proposta con una sottolineatura specifica. Perché?
Perché bisogna riconoscere le specificità di chi ha una disabilità insorta in precedenza ed entra nell’età anziana. Su ogni passaggio del nostro testo ci siamo messi a ragionare sulle condizioni di queste persone e abbiamo previsto, per loro, una serie di adattamenti. Con un punto di partenza: la piena garanzia dei diritti acquisiti prima di diventare anziani.

In questi due anni si è parlato moltissimo della necessità di ripensare le RSA e la domiciliarità: la riforma come affronta la questione dell’abitare?
Innanzitutto uniformando le definizioni e i profili, usando in tutta Italia gli stessi profili per i vari servizi. Il punto di partenza è l’approccio di filiera: non c’è una soluzione migliore delle altre, ci sono soluzioni diverse per profili e bisogni diversi. Il secondo punto è che là dove sia possibile la permanenza della persona anziana a domicilio è sempre la priorità e per questo c’è un nuovo profilo dei servizi domiciliari basato su alcuni punti chiave: a) interventi integrati tra sociale e sanitario; b) mix di prestazioni appropriato (sia quelle sanitario-infermieristico sia quelle di sostegno all’anziano nelle attività fondamentali della vita quotidiana, affiancamento e sostegno familiari e badanti, e altro); c) durata dell’assistenza adeguata rispetto ai bisogni. Inoltre, prevediamo il sostegno per gli interventi di adattamento delle case private, la possibilità di un importo maggiorato per la prestazione universale che diventa servizio, un pacchetto di sostegni alle badanti e ai caregiver… insomma tutto un rafforzamento del sistema che permette all’anziano di stare a domicilio. Punto tre, noi sappiamo che per una serie di profili è necessaria la residenzialità e su questo la proposta indica tre direzioni: attenzione alle strutture, con nuovi modelli costruttivi a forte impronta abitativa, con ambienti amichevoli e domestici, che garantiscano il rispetto della privacy; la seconda è assicurare l’intensità assistenziale, che vuol dire che devono avere adeguato personale e la terza è la composizione del personale, cioè profili professionali appropriati alle diverse tipologie di utenti. I tre assi su cui lavorare sono questi: strutture, intensità assistenziali, competenza.

Il punto di partenza è l’approccio di filiera: per l'abitare non c’è una soluzione migliore delle altre, ci sono soluzioni diverse per profili e bisogni diversi. Il secondo punto è che là dove sia possibile la permanenza della persona anziana a domicilio è sempre la priorità e per questo c’è un nuovo profilo dei servizi domiciliari. Per una serie di profili è necessaria la residenzialità e su questo fronte i tre assi su cui lavorare sono strutture, intensità assistenziali, competenza.

Cosa sono le Soluzione Abitative di servizio?
È una categoria per unire tutti quei sostegni all’abitare che già esistono nei diversi territori con una varietà di nomi. È tutto ciò che fa sì che le abitazioni civili diventino meglio abitabili dagli anziani non autosufficienti, dall’adeguamento della casa alle necessità della vecchiaia alla domotica, dalla tecnologia assistiva al cohousing alla badante di condominio. Lo sforzo è costruire una unica categoria e dire che tutto questo rientra nei livelli essenziali.

In Italia la gran parte del lavoro privato di cura è sommerso. La riforma come affronta il nodo delle badanti?
Qui gli assi sono due. Da un lato si sostiene il costo per l’anziano, sostenendo l’emersione del lavoro di cura: come detto, la possibilità di avere una Prestazione Universale di valore superiore qualora si fruisca di servizi farà emergere il mercato sommerso. Per chi non riceve la Prestazione Universale serve una agevolazione fiscale. L’altro aspetto è quello di andare verso la definizione di un profilo professionale nazionale per l’assistente familiare, che definisca le competenze necessarie e la formazione prevista. Molte regioni hanno già definito dei profili professionali e fanno corsi, l’idea è quella di avere un profilo unico a cui progressivamente spingere il sistema.

Abbiamo oltre 7 milioni di caregiver familiari e una legge che ancora non è arrivata in porto. La riforma della non autosufficienza cosa immagina per loro?
Ci sono una serie di interventi specifici che vanno dal sostengo psicologico ai servizi di sollievo, dalle tutele previdenziali agli interventi di conciliazione… ma la cosa più importante è che l’attenzione ai caregiver attraversa l’intera riforma. I familiari sono gli altri utenti delle politiche che per la non autosufficienza, insieme all’anziano. Insieme alla valutazione delle condizioni dell’anziano quindi ci deve essere anche la valutazione delle condizioni dei familiari e la famiglia concorre alla definizione del progetto assistenziale integrato. Aumentare le tipologie di prestazioni domiciliari e incrementarne la durata, come da noi previsto, è un modo per sostenere i caregiver. Dire che se si prendono i servizi l’importo della Prestazione Universale sale, è un modo per sostenere i familiari. E così via… L’attenzione ai caregiver è trasversale in tutte le nostre proposte.

Photo by Jack Finnigan on Unsplash

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