Volontariato
Beni confiscati, il Terzo settore è indispensabile
A fine febbraio scade l'avviso da 250 milioni di euro per la presentazione di proposte d’intervento per la selezione di progetti di valorizzazione di beni confiscati da finanziare nell’ambito del Pnrr. Un avviso da cui il Terzo settore è stato tagliato fuori. Lo Stato e le comunità però sono più forti delle mafie se quei beni non solo li confiscano, ma li utilizzano a fini sociali e di sviluppo: e i dati raccolti nel nostro instant book dimostrano che senza il Terzo settore questo passaggio non funziona
di Redazione
Il prossimo 28 febbraio scadono i termini per la presentazione di proposte d’intervento per la selezione di progetti di valorizzazione di beni confiscati da finanziare nell’ambito del PNRR. Un avviso contestato e criticato, perché a dispetto delle dichiarazioni di intenti taglia fuori il Terzo settore. Ma la gestione dei beni confiscati alla mafia, se non coinvolge il Terzo settore, sarà inevitabilmente un flop. Non è presunzione, è la cruda realtà: dati alla mano Vita lo ha documentato nel volume “Beni confiscati. 25 anni dopo, una sfida ancora da vincere”, realizzato in occasione dei 25 anni della legge Rognoni-La Torre, la n. 109 del 13 settembre 1982. «La legislazione più avanzata al mondo», sottolinea nella prefazione Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione Con il Sud che nella sua esperienza conta 102 progetti per la gestione e la valorizzazione dei beni confiscati, con erogazioni di poco inferiori ai 30 milioni di euro. Confiscare i beni non basta: «lo Stato e le comunità sono più forti delle mafie se quei beni non solo li confiscano, ma li utilizzano a fini sociali e di sviluppo», afferma Borgomeo. Ma per fare questo il sistema attuale non basta: lo dice l’inchiesta di Alessandro Puglia, dove si evince che su 17.753 beni confiscati, 4.868 sono ancora bloccati in attesa dell’espletamento delle procedure e che per 3.100 immobili non ci sono manifestazioni di interesse. Un’indagine realizzata su 2.600 beni destinati alle amministrazioni comunali, inoltre, dimostra che solo la metà è stato effettivamente riutilizzato. E stando all’ultima relazione della Commissione antimafia regionale siciliana, presieduta da Claudio Fava, in Sicilia su 780 imprese definitivamente confiscate solo 39 risultano attive e per quanto riguarda quelle “destinate” solo 11 su 459 non sono state poste in liquidazione. Un fallimento totale.
Per questo è stato un errore, nel recente bando legato al Pnrr prevedere ancora un intervento destinato solo agli Enti locali e per sostenere solo le spese di ristrutturazione, senza posto per il Terzo settore, senza traccia sussidiaria, né di co-progettazione né di amministrazione condivisa. Un errore riconosciuto a metà, che ha portato l’Agenzia per la Coesione territoriale per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie a pubblicare delle note di precisazione, affermando che gli Enti proponenti potranno presentare proposte che coinvolgano, sin da questa fase, Enti del Terzo settore e le Associazioni (ex art. 48, comma 3, lettera c del Codice Antimafia) e che tali proposte riceveranno un punteggio specifico se confermato dalla necessaria documentazione a supporto.
«Questo Bando è stata una occasione persa da due punti di vista», ha annotato il Gruppo di lavoro permanente sul tema dei beni confiscati alle mafie di Fondazione Con il Sud. «Dal punto di vista della opportunità di considerare la valorizzazione dei beni confiscati come vera e propria leva di sviluppo economico dei territori e dal punto di vista della opportunità di superare finalmente quella cultura politica che vede il Terzo settore non come un attore di sviluppo ma come un soggetto “residuale” nel quale far convergere due debolezze: le incapacità del pubblico e le non convenienze del privato».
Per leggere l’inchiesta, le storie di successo e le testimonianze, clicca qui e scarica gratuitamente il volume “Beni confiscati. 25 anni dopo, una sfida ancora da vincere”, con i contributi di Carlo Borgomeo, don Luigi Ciotti, Bruno Corda, Nando Dalla Chiesa, Sebastiano Ardita, Tina Martinez Montinaro e Ugo Bressanello.
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