Formazione

Se la scuola è un pachiderma

Numerosità del personale, età, pletora degli obiettivi, dei piani e degli organigrammi, piattezza organizzativa...Sono tanti, troppi, gli indizi che descrivono il perno della formazione dei nostri ragazzi come un enorme pachiderma liquido. Ma se siamo interessati ad un nuovo inizio, la scommessa è quella di prenderlo per le zanne

di Marco Orsi

Insistere sulla ripartenza vorrebbe dire riprendere le vecchie abitudini, per questo sarebbe meglio parlare di nuovo inizio. Due sociologi, Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, durante la pandemia hanno scritto un libro dal titolo Nella fine è l’inizio. Dobbiamo far morire qualcosa del vecchio per rinascere. Negli ultimi 40 – 50 anni nella gran parte dei 193 paesi del mondo è stata raggiunta un’alfabetizzazione di base. Certo un formidabile traguardo, ma al tempo stesso c’è stata una grande spinta a modificare quelle strutture di insegnamento ormai obsolete. Per questo si sono battuti illustri educatori del calibro di Maria Montessori, John Dewey, Don Lorenzo Milani, Ken Robinson, Howard Gardner indicando in qualche modo un’operazione di alleggerimento. In effetti i sistemi scolastici oggi assomigliano troppo a un pachiderma paradossalmente definibile liquido – Bauman docet – con risultati spesso scarsi.

Pachidermici i sistemi scolastici lo sono per la consistenza del personale: in Italia nel 2018 si contavano circa 930.000 unità di personale a fronte del comparto statale immediatamente più vicino, quello sanitario, con circa 644.000. Sono, d’altra parte, proporzioni registrate in molti altri paesi. La sfida è come cambiare un settore di così enorme impatto quantitativo?

Ma la nostra scuola è pachidermica anche perché appesantita anagraficamente. Sempre in Italia nel 2018 l’età media era di 52 anni, mentre nei paesi OCSE di 44 anni. Gli over 50 erano il 59% quando la media UE era del 36%. Lo storico Harari scrive riferendosi proprio alla scuola: “… la maggior parte degli individui all’età di 50 anni non è pronta a ripensare le strutture profonde della sua identità […] Se cercate di aggrapparvi ad una qualche identità, lavoro o concezione del mondo duraturi, rischiate di essere lasciati indietro mentre il mondo vola via lontano da voi con un rombo potente”.

C’è poi un aspetto trascurato costituito dal carattere avvolgente: ovvero la circostanza per cui i docenti stanno una vita a scuola. A 3 anni si è alunni nella scuola dell’infanzia, poi via via nella primaria e nella secondaria per approdare, a conclusione, all’università. Infine un semplice passaggio dal banco alla cattedra e, voilà, si diventa insegnanti. Se si va in pensione a 65 anni, lì dentro, a scuola, si passano ben 60 anni: un'enormità! Un medico lavora in ospedale circa 35 anni. Dunque se i docenti e i dirigenti devono preparare gli alunni al mondo là fuori, come possono farlo se essi stessi di quel mondo non fanno esperienza?

Il pachiderma è anche descritto dalla pletora degli obiettivi, dei piani e degli organigrammi. Un ispettore scolastico scomparso da poco, Giancarlo Cerini, metteva in guardia contro il progettificio. Se si prendono alla lettera le Indicazioni per il Curricolo (infanzia, primaria e secondaria 1°) abbiamo ben 13 materie e alla fine del percorso 216 obiettivi. A questi dobbiamo sommare gli obiettivi da valutare e monitorare tratti dalla variegata serie di piani, progetti, protocolli che infarciscono i piani degli istituti. La cosa però non finisce qui, perché questa sovrastruttura implica una miriade di figure di referenti, responsabili, fiduciari, collaboratori, vicari, capoplesso, coordinatori di classe. Così gli organigrammi diventano pachidermici e, al tempo stesso, fa il suo ingresso la liquidità. Sì, perché tutte queste figure sono scarsamente legittimate per via dell’anomala piattezza organizzativa. Infatti in media abbiamo 1 dirigente scolastico per 181 unità di personale (docenti e ATA) senza middle-management. Nei corpi di polizia, dove esistono funzioni intermedie vere, il rapporto è 1 per 39 (dati Aran 2018).

La liquidità del pachiderma è poi sostenuta dal professionista autosufficiente. Michael Fullan esperto dell’OCSE spiega: “La storia della professione dell’insegnante è fondata sull’autonomia […]. Stare chiusi dietro la porta della classe, in un mondo tutto proprio, significa due cose: che si ha la licenza di essere creativi e che si ha la licenza di essere inefficaci. Ma se tu sei creativo e isolato, le tue idee non circolano e non ci sono benefici per l’eventuale feedback. Se sei inefficace, non puoi renderti conto della situazione e in ogni caso non ottieni alcun aiuto”.

Un altro aspetto della liquidità è il turnover. I docenti in servizio nel 2019-20 erano 835.489, di questi 176.184, cioè il 21% precari. Considerando i pensionamenti e i cambi di sede è ipotizzabile un turnover del 30%.

Infine dovremmo trattare l’ampio capitolo della formazione di docenti e dirigenti. La questione riguarda soprattutto la scarsa preparazione didattica per i futuri insegnanti della secondaria, mentre per i dirigenti servirebbe una maggiore preparazione sulla leadership educativa.

Ecco, dunque, dipinto il nostro pachiderma liquido. Ma se siamo interessati ad un nuovo inizio, la scommessa è quella di prendere per le “zanne” questo enorme animale, mettendo mano velocemente a questi aspetti critici, utilizzando appropriatamente le opportunità del PNRR che si è posto la missione scuola. Si tratta di preferire la solidità alla staticità, la comunità all’individualismo, la vera trasformazione al cambiamento aleatorio. Insomma la leggerezza al posto della pesantezza.


*ideatore del modello di scuola “Senza Zaino”

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