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Oldrini (Lila): «In Italia il Governo si è dimenticato dell’Aids»
Entro il 2030 la malattia doveva essere debellata ma con 2 milioni di nuove diagnosi all’anno il traguardo è lontano. «In Italia», dice Massimo Oldrini, presidente di Lila, Lega Italiana per la lotta contro l’Aids, «c’è una disattenzione totale sul tema. Il nostro Paese è uno dei pochi in Europa dove la Profilassi Pre-Esposizione non è rimborsata dal sistema sanitario. È un Paese dove non si fa educazione sessuale nelle scuole. Inoltre viviamo ancora in un clima di discriminazioni e stigma»
di Anna Spena
Il primo dicembre è la giornata mondiale contro l’Aids. La “pandemia” dimenticata, se ne parla sempre meno ma sono sempre di più, e sempre più giovani, le persone che contraggono il virus. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2030 la malattia doveva essere debellata, ma con 38 milioni di diagnosi di Hiv totali e con 2 milioni di nuove diagnosi all’anno il traguardo è lontano.
Sono passati quarant'anni dalla scoperta dei primi casi di Aids e l’Unaids, il programma delle Nazioni Unite per l'hiv e l’Aids, è chiaro nei confronti dei governi: “Sulla lotta all’aids stiamo andando fuori strada e non a causa della mancanza di conoscenze per sconfiggerlo ma per le disuguaglianze e iniquità strutturali che ostacolano soluzioni scientificamente solide per la prevenzione e il trattamento dell’hiv”. L’Italia non fa eccezione, e da quando viviamo l’emergenza sanitaria del Coronavirus, le cose stanno velocemente precipitando.
«Quello che abbiamo registrato sulla base di oltre novemila contatti negli ultimi 12 mesi non ci lascia affatto tranquilli», dice Massimo Oldrini, presidente di Lila, Lega Italiana per la lotta contro l’Aids. «La percezione del rischio complessiva resta insufficiente, le informazioni di base scarse e confuse in tutte le fasce d’età. Restano inoltre problematici l’utilizzo dei condom e ricorso al test. Tra chi si è rivolto ai nostri servizi di testing nel 2021, oltre la metà ha dichiarato di non aver usato il profilattico nell’ultimo rapporto sessuale non compensato da un ricorso alla PrEP, l’efficacissima Profilassi Pre-Esposizione. Quasi il 37%, non aveva mai fatto prima un test per l’Hiv».
Il Covid ha ampliato il quadro delle criticità. I servizi per l’Hiv presso i centri di infettivologia, test compresi, sono stati i più penalizzati dall’emergenza e faticano a tornare alla normalità, costantemente minacciati da nuove ondate pandemiche. Il ripetersi delle ondate epidemiche continua, inoltre, a far temere per la tenuta dei centri di malattie infettive, gli stessi deputati al trattamento delle persone con Hiv.
Il 60% delle persone con nuova diagnosi sono “late presenter”, significa che hanno contratto l’infezione molti anni fa ma non hanno mai fatto il test e quando lo fanno si ritrovano in una condizione di salute fortemente compromessa.
«In Italia», spiega Oldrini, «c’è una disattenzione totale sul tema. Il nostro Paese è uno dei pochissimi in Europa dove la Profilassi Pre-Esposizione non è rimborsata dal sistema sanitario. È un Paese dove all’interno dei percorsi scolastici non è inserita l’educazione sessuale e affettiva. Inoltre viviamo ancora in un clima di discriminazioni e stigma anche se la ricerca ha fatto passi da gigante: le persone a cui il virus è diagnosticato, le persone che riescono ad accedere alla terapie vivono in salute e non sono più vincolo di trasmissione verso l’altro».
Nel 2015, tutti i Paesi condivisero l’agenda ONU per lo sviluppo sostenibile che prevede, tra gli altri obiettivi riguardanti la salute, anche la sconfitta dell’Aids entro il 2030. Queste priorità sono state ribadite nel Summit di alto livello dell’ONU dello scorso giugno e con la Strategia Globale contro l’Aids per il 2021-26. «L’Italia», dice Oldrini, «che pure ha sottoscritto questi impegni, si può annoverare tra i Paesi che rischiano di perdere terreno rispetto all’Agenda 2030. Il nostro Paese ha già mancato gli obiettivi intermedi 2020, soprattutto per aver fallito sull’emersione del sommerso, ossia sull’obiettivo di rendere consapevole del proprio stato sierologico il 90% delle persone con Hiv. L’innovativo Piano Nazionale Aids del 2017, che raccoglieva le indicazioni ONU, frutto di una collaborazione tra comunità scientifica e società civile, avrebbe potuto metterci sulla strada giusta ma è stato largamente inapplicato sia dal governo sia dalle regioni».
«Gli avanzati interventi previsti», continua Oldrini, «come l’erogazione gratuita della PrEP, l’accessibilità ai condom, la riduzione del danno sono rimasti al palo, così come la valorizzazione di terapia e prevenzione, l’ampliamento delle opportunità di accesso al test, l’evoluzione dei servizi di cura. Inadeguato e lacunoso resta anche il sistema di sorveglianza Aids che non permette di raccogliere dati utili a mirare gli interventi di risposta all’Hiv».
L’unica cosa che abbia prodotto la politica in questi anni è una proposta di legge di riforma della legge 135 del 1990, la Pdl 1972, incardinata presso la commissione Affari Sociali della Camera. «Si tratta di un testo sbagliato, che compie dieci passi indietro rispetto al PNAIDS (Piano nazionale di interventi contro HIV e AIDS) e che deroga completamente dalle dichiarazioni e dagli obiettivi ONU sottoscritti dall’Italia, obiettivi che invocano anche la centralità del ruolo delle Ong e delle community. Nell’elaborazione del testo non c’è stato nessun confronto preventivo con la società civile, con le community e con la comunità scientifica. Il testo non presenta nessun elemento innovativo. Perché aggiornare una buona legge se poi non si adegua alle necessità del presente e del prossimo futuro? La proposta non ha, inoltre, alcun collegamento con il PNAIDS 2017, che è quanto di più avanzato sia stato prodotto in Italia sulla risposta all’Hiv-Aids, non raccoglie le raccomandazioni per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibili indicati dall’ONU, non ristruttura il piano delle risorse necessarie. Noi non abbiamo ricevuto nessun invito ma vediamo puntualmente eluse tutte le richieste di confronto avanzate finora sia verso parlamentari di vari gruppi politici, sia verso il Ministero della Sanità. Se qualcuno intende chiudere la porta ad un dibattito pubblico trasparente e ad un percorso condiviso si assumerà una grave responsabilità. Le persone con HIV lottano fin dai primi anni Ottanta per i propri diritti e per la propria salute. Dobbiamo puntare tutto su prevenzione, potenziamento del linkage to care, facilitare l’accesso ai test, riorganizzare i servizi di cura, finanziare ricerca e nuovi trattamenti, lottare contro lo stigma sulle persone che hanno il virus, riformare il sistema di dati e sorveglianza».
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