Mondo
Solo il 2% dei fondi 2020 è arrivato a centri antiviolenza e case rifugio
Non è bastata la pandemia a far cambiare rotta alla politica e alle amministrazioni locali nel contrasto alla violenza di genere. Tempi lunghissimi per l’erogazione delle risorse, impedimenti burocratici e mancanza di interventi strutturali che incidano sulle cause della violenza. Questa la fotografia scattata da ActionAid con il report “Cronache di un’occasione mancata” per il 2021 sulle politiche e sul sistema antiviolenza in Italia attraverso il monitoraggio e l’analisi dei fondi statali previsti dalla legge 119/2013 (legge sul femminicidio)
di Redazione
Non è bastata la pandemia a far cambiare rotta alla politica e alle amministrazioni locali nel contrasto alla violenza di genere. Tempi lunghissimi per l’erogazione delle risorse, impedimenti burocratici e mancanza di interventi strutturali che incidano sulle cause della violenza. Questa la fotografia scattata da ActionAid con il report “Cronache di un’occasione mancata” per il 2021 sulle politiche e sul sistema antiviolenza in Italia attraverso il monitoraggio e l’analisi dei fondi statali previsti dalla legge 119/2013 (legge sul femminicidio). A dispetto delle misure straordinarie decise dal Governo nel 2020 per l’allarme della crescita delle richieste di aiuto, ad essere oggi effettiva è solo una minima parte delle risorse extra e dei nuovi strumenti per far fronte alle esigenze delle donne che hanno subito violenza durante la pandemia. Come nel caso dei 3 milioni del DL Cura Italia di marzo 2020 per le spese di sanificazione, acquisto mascherine e gel disinfettante delle Case Rifugio: ad oggi solo l’1%, circa 25mila euro, sono arrivati a destinazione. Ma non solo, i tempi di erogazione delle risorse stanziate nel 2020 per il funzionamento ordinario dei CAV e delle Case Rifugio sono tornati ad allungarsi: sono serviti in media 7 mesi per trasferire le risorse dal Dipartimento Pari Opportunità alle Regioni, che, ad oggi, risultano aver erogato solo il 2% dei fondi complessivi, e in sole due regioni, la Liguria e l’Umbria. Il nuovo Piano Antiviolenza 2021-2023, lanciato in questi giorni, con un ritardo di quasi un anno, non è accompagnato da un piano operativo che rende chiare e verificabili le azioni da realizzare e in che tempi.
“La politica è fatta di scelte e di priorità, ma anche di tempi, che dettano l’agenda quotidiana degli apparati burocratici che gestiscono i programmi e le risorse antiviolenza. Quest’anno i dati del monitoraggio delineano uno scenario in larga parte desolante. Le continue uccisioni di donne per mano maschile che si registrano in Italia dimostrano che serve un cambio di paradigma. Non bastano le buone intenzioni, è necessario assicurare che misure di prevenzione, protezione e contrasto alla violenza maschile sulle donne siano incluse nelle principali norme, riforme e decisioni di spesa che regolano la vita del Paese. E invece le politiche antiviolenza continuano ad essere isolate, frammentarie. Lo vediamo anche nel PNRR, dove i grandi assenti sono la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne” spiega Katia Scannavini, Vice Segretaria Generale ActionAid.
Pandemia e violenza contro le donne: lontane dagli occhi, lontane dal cuore. Ad aprile 2020 il Governo e il Parlamento con la Commissione Femminicidio si sono attivati per rispondere ai nuovi bisogni dei CAV e delle CR dettati dall’emergenza sanitaria. Uno sforzo che ha introdotto risorse aggiuntive e nuovi strumenti per dare supporto alle donne in stato di maggiore vulnerabilità. A più di un anno e mezzo di distanza si sono però accumulati ritardi e il carattere di urgenza e massima attenzione di questi provvedimenti è svanito. Nel dettaglio, oltre ai 10 milioni di euro – relativi ai fondi 2019 già a bilancio – sbloccati con procedura accelerata ad aprile 2020, altri 3 milioni sono stati stanziati dal DL Cura Italia nel marzo 2020 per le spese straordinarie delle case rifugio, ma solo l’1% è stato liquidato; il 29 aprile 2020 è stato emanato un bando d’emergenza rivolto a CAV e CR con un fondo di 5,5 milioni di euro, che, dai dati disponibili, ha permesso di erogare 300 contributi verso 142 enti gestori. Nonostante ciò, molti di essi non hanno potuto beneficiarne a causa della richiesta di una fideiussione, pari all’80% dell’importo, che alcune strutture, soprattutto le più piccole, non riescono ottenere dalle banche. Infine, a maggio 2020 è stato varato il Reddito di Libertà per sostenere le donne in percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Una misura diventata effettivamente operativa solo l’8 novembre 2021 con la circolare dell’INPS che ne regola il funzionamento. A ciascuna donna potranno andare 400 euro mensili per un massimo di 12 mesi. Non un intervento strutturale, ma che dovrà essere rifinanziato in bilancio anno per anno.
I ritardi burocratici frenano l’arrivo delle risorse ordinarie. Al 15 ottobre 2021, le Regioni hanno erogato il 74% dei fondi nazionali antiviolenza delle annualità 2015-2016, il 71% per il 2017, il 67% per il 2018, il 56% per il 2019 e il 2% per l’annualità 2020. Nessuna risorsa è ancora stata trasferita dal Dipartimento Pari Opportunità per il 2021. Rispetto a quanto stabilito dalla legge del 2013, ovvero l’obbligo di destinare almeno 10 milioni all’anno per i Centri Antiviolenza e le Case rifugio, solo dal 2017 si è registrato un cambio di rotta, con un notevole incremento di risorse che ha portato a stanziare 20 milioni nel 2019 e 19 milioni di euro nel 2020. Segnali positivi che non si accompagnano a uno snellimento dei tempi e delle vie burocratiche. Solo per i fondi 2019 si è ottenuto un balzo in avanti per la procedura accelerata richiesta durante la prima fase dell’emergenza sanitaria: le risorse dal DPO sono arrivate in soli 4 mesi alle Regioni, dimezzando del 50% la tempistica registrata l’anno precedente. Passata la pressione mediatica sul tema violenza, la tempestività della politica e della Pubblica Amministrazione è drasticamente diminuita, tornando ai livelli di lentezza pre-pandemia.
Per ultima viene la prevenzione. L’analisi dell’utilizzo dei fondi stanziati dall’entrata in vigore nel 2013 della legge sul femminicidio per i rispettivi Piani Antiviolenza evidenzia uno sbilanciamento netto per le azioni volte alla presa in carico delle donne che subiscono violenza, quelle della Protezione. Effetto della mancanza di una visione politica capace di incidere sulla prevenzione della violenza maschile contro le donne in Italia. Su 186,5 milioni di euro totali, il DPO ha destinato circa 140 milioni – il 75% delle risorse – all’asse Protezione mentre per la Prevenzione sono stati allocati circa 25,8 milioni di euro, il 14%. In dettaglio, solo 19 milioni di euro per prevenzione primaria – realizzazione di programmi educativi nelle scuole e di azioni di sensibilizzazione rivolte all’intera popolazione. Altri 3,5 milioni di euro per quella secondaria, cioè attività di formazione delle forze di polizia che entrano in contatto con donne che hanno subito violenza. Infine, 3,2 milioni di euro per la cosiddetta terziaria, vale a dire per programmi per uomini autori di violenza.
Sparita la lotta alla violenza dal PNRR. Nella prima versione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) la violenza contro le donne era esplicitamente riconosciuta essere uno ostacolo alla piena partecipazione femminile alla vita sociale, economica e politica del Paese. Era prevista comunque una sola azione rivolta alle donne che hanno subito violenza, cioè l’accesso al credito per la creazione di imprese. Una misura limitata poi scomparsa nella versione definitiva del PNRR, che è stata invece finanziata con risorse del DPO. La prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne sono esclusi anche dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 che rimanda questi temi al Piano strategico antiviolenza 2021-2023. Il Governo ha preferito dedicare così due documenti strategici distinti e separati rispetto al PNRR. Si tratta di una decisione che confina i diritti delle donne, compreso quello di vivere una vita senza violenza, a politiche e azioni non integrate alle strategie e alle programmazioni economiche, sociali e culturali che regolano la vita del Paese.
Scopri tutti i dati regione per regione su https://closed4women.it/fondi-antiviolenza/dashboard
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.