Economia
Eleonora Vanni: «Le coop siano capaci di osare»
Alleanze inedite, nuove filiere, tecnologia digitale, impresa sociale e apertura nei confronti dei giovani. Il V congresso nazionale di Legacoopsociali mette a fuoco i nodi decisivi per definire un’idea di Paese che facciadavvero tesoro della lezione della pandemia. La presidente confermata: «Pronti ad innovare senza lasciare indietro nessuno»
di Redazione
A Bologna il V congresso nazionale (Bologna 25/26 novembre) la nominerà per il secondo mandato (2021-2025) presidente di Legacoopsociali, il ramo di Legacoop che riunisce le coop ex legge 381/1991. Toscana di Montopoli Valdarno in provincia di Pisa, Eleonora Vanni, dopo il tour dei congressi regionali (l’ultimo in Sicilia il 16 novembre) si appresta ad alzare il sipario su un’assemblea che fin dal nome (“Cooperandare, traguardi e orizzonti della cooperazione sociale”) indica la necessità di guidare l’associazione verso nuovi approdi.
L’immagine simbolo di questo congresso è una bicicletta: c’è da pedalare. Ma per andare dove?
Pensiamo a una cooperazione sociale e a un’associazione che sia capace di costruire alleanze finalizzate da una parte allo sviluppo della cultura cooperativa e dall’altra a rendere il Paese più equo e attento alle persone più fragili. In questo senso la prospettiva è l’impresa sociale, un’impresa multistakeholder e multishareholder. Teniamo conto che Legacoopsociali oggi è aperta all’adesione di imprese sociali non necessariamente in forma cooperativa, una modalità che ben si attaglia alla necessità di sperimentare e innovare.
Cosa significa “innovazione” per lei?
Per esempio coinvolgere soggetti che arrivano dal mondo universitario oppure da quello delle nuove tecnologie per lavorare insieme sul terreno della cura delle persone.
La revisione del pacchetto “Italia Economia Sociale” (un fondo da circa 200 milioni istituito presso il Mise) dovrebbe essere ormai all’ultimo miglio. Per cosa potranno servire queste risorse?
Costituiranno esattamente un pull factor per l’innovazione. Per noi sono e saranno prioritarie le filiere e le aggregazioni. Il tema è quello di mettere insieme più soggetti per generare azioni di sistema. Il consolidamento della singola cooperativa è importante, ma noi abbiamo la necessità di avere coscienza del fatto che un singolo soggetto, seppure di dimensioni rilevanti, non ha la possibilità di “coprire” l’intera catena di un servizio innovativo. Se vogliamo è una nuova concezione dei “vecchi” consorzi. Oggi le chiamerei filiere o alleanze di scopo che possono essere formalizzate anche in imprese sociali.
A proposito che fine ha fatto la rappresentanza unitaria dell’Alleanza delle cooperative?
Sul versante della cooperazione sociale, più che alla formalizzazione abbiamo puntato al pragmatismo del “lavo- rare insieme” sui territori, e nei confronti delle istituzioni italiane ed europee come nel caso del Piano d’azione Ue sull’economia sociale o sulle linee guida Anac sui contratti o ancora sulla riforma del Terzo settore.
Il ministro Andrea Orlando ha annunciato che il fascicolo fiscale sull’impresa sociale sarà a stretto giro mandando a Bruxelles. Perché è importante avere questo via libera dall’Europa?
Perché finalmente, grazie alla leva fiscale, l’impresa sociale potrà diventare appetibile per nuovi investitori. E questo, come evidente, può essere un volano di sviluppo e di innovazione importante.
Un’altra parola chiave che lei stessa cita nel documento preparatorio del congresso è quello della coprogettazione. Pubblica amministrazione e impresa sociale sono davvero pronte a questo passo?
L’impresa sociale potrà essere uno strumento favorevole alla promozione di pratiche reali di coprogettazione e corresponsabilità. Ma se devo rispondere alla sua domanda, dico che non ci siamo ancora. Nessuna delle due parti a cui lei fa riferimento è pronta al 100%. Mentre la legge sulla cooperazione sociale è successiva alle pratiche, in questo caso è la norma che anticipa prassi ancora poco sviluppate e diffuse. Ad oggi la coprogettazione è una possibilità, ma occorre modificare una cultura dominante basata sui bandi. Come ha detto il ministro Orlando serve formazione.
Un’ultima questione credo cruciale per il futuro: in un Paese con oltre 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano, la prospettiva di una vita professionale nel mondo dell’impresa sociale sembra poco appetibile per i ragazzi. Le startup per esempio sembrano essere molto più di moda…
C’è un evidente problema di immagine. Al consolidamento di questo mondo è corrisposto un certo irrigidimento delle cooperative. I giovani invece hanno bisogno di spazi di creatività, di sentirsi accolti e valorizzati. Forse siamo diventati troppo conformisti, occorre rompere gli schemi. La realtà quotidiana ci dice che le coop che si occupano di ambiti poco “ordinari” come ambiente o rigenerazione di spazi urbani sono molto frequentate dai giovani. Bisogna avere il coraggio di sperimentare strade inedite. In un certo senso di tornare a essere un po’ rivoluzionari.
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