Mondo
Migrazioni un fenomeno globale privo di governance adeguata
Le agenzie delle Nazioni Unite delegate a gestire i fenomeni migratori hanno scarsa presa su tale fenomeno; la legislazione internazionale è scarsa, e gran parte dei problemi che producono le migrazioni sono pressoché monopolio dei governi nazionali
I fenomeni migratori internazionali coinvolgono in questa frazione del XXI secolo circa 310 milioni di persone: 280,6 milioni di migranti, secondo UNDESA, a metà 2020, a cui aggiungere 26,4 milioni di rifugiati e 4,1 milioni di richiedenti asilo, secondo i dati UNHCR del giugno 2021, se a questi aggiungiamo i 48,0 milioni di sfollati interni e i circa 700 milioni di migranti interni, la dimensione della migrazione tocca un miliardo di esseri umani. A questi dati vanno inoltre aggiunti gli ancora privi di status (e persino di nome) migranti (o profughi o rifugiati) ambientali, coloro che sono costretti a lasciare il proprio paese per i cambiamenti climatici e che diverse agenzie stimano arriveranno entro il 2050 alla cifra record di 250 milioni.
A fronte di tale fenomeno globalizzato, la governance della migrazione, sia nei suoi aspetti di migrazione economica (e volontaria) che di migrazione forzata (a causa di conflitti, violenze o cambiamenti climatici), manca ancora di un approccio globale.
Le agenzie delle Nazioni Unite delegate a gestire in qualche modo i fenomeni migratori e le loro conseguenze sociali, culturali e umane hanno scarsa presa su tale fenomeno, sia nelle sue cause che nei suoi effetti; la legislazione internazionale è scarsa, scarsamente applicata e ancora meno monitorata e gran parte dei problemi che producono le migrazioni (e soprattutto quelle forzate) sono pressochè monopolio dei governi nazionali, gelosi di cedere potere a fronte dei tre aspetti principali legati alla questione migratoria:
- la protezione dei diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo, sfollati, così come dei diritti sociali e sindacali dei lavoratori migranti
- la protezione dei lavoratori nazionali dalla “concorrenza” di lavoratori migranti, per evitare fenomeni di dumping
- il monopolio degli Stati nazionali sulle decisioni di ammissione di stranieri nel proprio territorio.
Come è evidente si tratta di tre obiettivi che a volte confliggono tra di loro e che non possono essere affrontati a livello di singolo Stato, sia perché le cause profonde delle migrazioni vanno cercate in squilibri e conflitti economici, sociopolitici e ambientali a livello globale che nessun paese del mondo da solo può governare, sia perché gli effetti che tali migrazioni inducono sono di portata globale.
Su tutti questi aspetti esistono convenzioni e trattati internazionali, intervengono agenzie specializzate, si sono espressi tribunali nazionali e internazionali, ma restano buchi, aree scoperte e criticità.
Se i diritti dei migranti sono tutelati dalla Convenzione di Ginevra del 1951,dal protocollo di New York del 1967, riaffermati a livello europeo dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo 1950 (entrata in vigore nel 1953), che a vario titolo affermano concordemente e con forza il diritto dei rifugiati e richiedenti asilo a non venire sottoposti a tortura e trattamenti inumani, a non essere respinti senza che la loro posizione sia analizzata e la loro richiesta di protezione esaminata (principio del non refoulement), se la Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti e le loro famiglie del 18 dicembre 1991, afferma che tutti i lavoratori migranti hanno diritto a forme di protezione dei loro diritti umani basilari, contro i rischi sul lavoro, le discriminazioni e lo sfruttamento; se esistono differenti pratiche nazionali per verificare che i migranti non rappresentino un fattore di dumping nei confronti dei lavoratori nazionali (dalle quote di ammissione, alla verifica dell’indisponibilità dei lavoratori nazionali per le professioni alle quali si ammettono i migranti), è altrettanto vero che nessun sistema di norme internazionali è riuscito a scalfire il monopolio degli Stati nazionali su quali e quanti stranieri ammettere nel proprio territorio.
Né la NY Declaration on refugees and migrants del 2016 con la quale ben 193 paesi riconoscevano la necessità di un approccio globale alla mobilità umana e una maggiore cooperazione, dalla quale sono poi scaturiti il Global compact on migration e il global compact on asylum, sottoscritti a Marrakech il 10 dicembre 2018 (e fatto proprio dall’assemblea generale delle NU il 19 dello stesso mese), né le direttive europee, (che pure imponevano una ripartizione dei rifugiati e richiedenti asilo, giunti in Europa dopo le varie crisi, irachena, libica, siriana, afghana, tra tutti i paesi e non solo tra i paesi di confine come Italia e Grecia e, come “grida manzoniane” minacciavano inutilmente sanzioni) sono riusciti a scalfire tale monopolio.
Né le agenzie delle NU, l’UNHCR, che pure ha il mandato di far implementare e rispettare la convenzione di Ginevra, l’ILO, a cui è affidata l’implementazione della Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie (e altre quali la convenzione sui diritti dei lavoratori domestici, spessissimo migranti) né infine l’IOM, che pure dovrebbe avere un ruolo centrale nella implementazione e nel monitoraggio del Global compact on migration, possono cambiare più di tanto la realtà del mancato impegno degli stati membri delle NU (o anche solo dell’UE).
La realtà è che per la migrazione, come per la questione climatica e la pandemia recente, la consapevolezza delle dimensioni globali del problema è puramente astratta: movimenti sociali, analisti intelligenti, alcune istituzioni sovranazionali vedono il problema, ma gli attori principali, gli Stati nazionali, limitano il proprio raggio di azione a livello locale, a poche misure che cercano di non scontentare nessuno e a dichiarazioni di buona volontà, inconsapevoli che, così facendo, rendono solo più difficile ogni soluzione.
*Ugo Melchionda, corrispondente italiano di OCSE per l’International Migration Outlook e Coordinatore e porta parola di GREI250
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