Cultura

Andare a vivere in montagna? Una scuola spiega come si fa

Grande successo per la prima edizione della “Impact Mountain School” realizzata in provincia di Cuneo dalla Fondazione CRC in collaborazione con SocialFare. Un’esperienza che verrà ripetuta nei prossimi due anni con l’intento di creare nuova imprenditorialità a impatto sociale

di Marina Moioli

Lasciare la città e andare a vivere in montagna: il sogno di alcuni sta diventando una vera e propria tendenza. Sono sempre più numerose le persone o anche le famiglie che fanno questa scelta per stare più vicini alla natura, vivere in spazi più ampi e recuperare ritmi di vita più rilassati. Un fenomeno sociale che si è ancora più accentuato dopo i lockdown da Covid: la montagna e il suo isolamento, a maggior ragione in tempo di pandemia, attirano. A leggere i dati e a sentire gli esperti, però, si scopre che la percentuale di successo tra chi sceglie di trasferirsi sui monti è bassissima e che quelli che resistono sono di solito laureati trentenni, talvolta con carriere avviate, capaci di dar vita a imprese sostenibili e green.
Non meraviglia quindi che la “Mountain School” che si è tenuta dall’1 al 4 settembre nell’incantevole Borgata Paraloup in provincia di Cuneo sia stato un vero successo. Un’opportunità per formare “futuri montanari” e per far conoscere e attivare opportunità imprenditoriali a impatto sociale nelle aree interne.

«La riscoperta dell’ambiente montano desta grande attenzione e a questa prima edizione della scuola sicuramente ne seguiranno altre», commenta Elisa Bacchetti, 32 anni, Service Systemic Designer di SocialFare e responsabile del progetto. Realizzata dalla Fondazione CRC in collaborazione con SocialFare nell’ambito del programma GrandUp! Impact, l’iniziativa ha coinvolto 19 partecipanti (su 48 candidature) provenienti dal cuneese (la metà) e anche dal resto d’Italia. «Uomini e donne dai 23 ai 58 anni, con formazioni e storie di vita molto diverse ma tutti accumunati da un forte desiderio di vivere e/o lavorare in montagna in modo sostenibile. Da parte nostra noi speriamo di aver lanciato un po’ di semi per creare nuova imprenditorialità a impatto sociale», conclude Elisa Bacchetti.

La tipologia dei “nuovi montanari” è stata al centro dell’intervento tenuto dal sociologo Andrea Membretti, uno fra i numerosi esperti che hanno partecipato alla quattro giorni, che avverte: «Sono molte le persone che sull’onda dell’entusiasmo si buttano e fanno la scelta di trasferirsi. Purtroppo però il tasso di insuccesso è altissimo, intorno all’80/85 per cento. Per questo è sempre più importante garantire una formazione continua, che prosegua nel tempo. La Impact Mountain School promossa da Fondazione CRC e SocialFare ha raccolto questa esigenza e già da questo primo appuntamento la risposta è stata positiva, con un bel mix di esperienze provenienti da varie parti d’Italia. Poi è chiaro che molto importante sarà il ruolo giocato anche dalle istituzioni per supportare un accompagnamento di queste persone attraverso ad esempio l’accesso al credito o all’usufrutto dei terreni. Soprattutto per aiutarle a fare impresa nel modo più giusto possibile».

A confermare l’interesse suscitato da questa iniziativa arrivano i commenti dei partecipanti: «Sono stati giorni intensi ma entusiasmanti che mi hanno consentito di conoscere tante persone animate dalla voglia di mettersi in gioco. Ho fatto tesoro di nuove idee da mettere in pratica nel mio ambito lavorativo, quello del turismo ambientale», dice Antea Franceschin, 33 anni, laureata in Scienze naturali e guida escursionistica in zona Valceresio.
Secondo Martina Zullo, 28 anni, laureata in Giurisprudenza con specializzazione in diritto agro/alimentare: «Quella della Mountain School è stata sicuramente un’esperienza di crescita personale molto concreta, in cui siamo tutti riusciti a “toccare con mano” il risultato grazie al perfetto equilibrio tra gli interventi dei relatori esterni (docenti ed esperti di architettura, sociologia, microcredito), le sessioni di progettazione con le designer di SocialFare e gli esempi di chi è riuscito a riportare in vita luoghi montani carichi di storia, come la stessa esperienza di Borgata Paraloup. È il caso, ad esempio, del pastore Gian Vittorio Porasso che ha portato in alpeggio 140 capre. Le ore che abbiamo trascorso con lui, che ci ha fatto mungere e poi fare il formaggio, è stato il momento che non dimenticherò mai. Io sono cresciuta in un piccolo paesino e il mio sogno è quello di ristrutturare la vecchia casa dove i miei nonni avevano un’osteria di famiglia. Vorrei aprirci un’attività di ristorazione per farne anche un luogo di cultura e di aggregazione, riprendendo lo spirito di una volta».

Anche Corrado Rampa, 25 anni, laureando in Design sistemico al Politecnico di Torino con una tesi sul ripopolamento delle aree interne, ha in mente un progetto di vita in montagna ben preciso. «Con la mia ragazza – racconta – stiamo cercando di comprare una casa rurale in Val di Susa, in una zona isolata, per restaurarla e poi avviare un’attività lavorativa. Conoscevo già SocialFare e frequentavo lo sportello informativo sulle attività per promuovere l’impatto sociale. Così, appena ho saputo di questa iniziativa ho deciso di partecipare, perché molte cose si scoprono solo attraverso l’esperienza diretta. La sfida di vivere in montagna non è semplice e non va affrontata a cuor leggero ma attraverso un’idea imprenditoriale, un progetto preciso ancorato alla realtà. Per me l’aspetto più interessante della Mountain School di Paraloup è stato approfondire il discorso del rapporto con la comunità locale».

(Sotto nella Gallery alcuni scatti della Mountain School tenutasi dall’1 al 4 settembre in provincia di Cuneo)

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Un aspetto sottolineato anche da Andrea Alfieri, referente per il settore Sviluppo locale e innovazione di Fondazione CRC: «Scopo della Impact Mountain School è proprio quello di creare il contesto giusto, anche in aree interne marginali come la provincia di Cuneo che è una delle più estese d’Italia ma è molto frammentata, composta com’è da 247 Comuni, di cui solo 11 hanno più di 10mila abitanti. Noi cerchiamo di cogliere tutti i segnali di vitalità e di supportarli, assecondando la rinascita di questi territori attraverso un percorso di formazione che si ripeterà per almeno tre anni. In montagna occorre nuova progettualità e servono persone che vogliono impiantare nuove attività».
«Il cittadino che vuole abbandonare tutto per trasferirsi in montagna è una presenza marginale – commenta ancora Andrea Alfieri – mentre la maggior parte dei partecipanti alla Mountain School è costituita da persone originarie di zone di montagna, con percorsi di studio elevati, spinte dal desiderio di adattare le proprie competenze per realizzare qualcosa di utile alla propria comunità».

Lo slancio iniziale, insomma, non basta. Per vivere in montagna occorre piuttosto continuare a resistere, a costruire e… a sognare.

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