Politica

Riforma del processo civile: «Noi giudici minorili non possiamo rimanere in silenzio»

Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania e ideatore del progetto "Liberi di scegliere", spiega le criticità del nuovo Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie contenuto nella riforma del processo civile. «Gli uffici giudiziari per i minori sono stati "Stato" immediatamente riconoscibile e presente a fronte di emergenze sociali complesse, ma questo progetto di riforma rischia di mettere una pietra tombale su tutto ciò».

di Sara De Carli

Settimana scorsa il Senato ha dato il primo ok alla riforma del processo civile, con 201 voti favorevoli e 30 contrari. Si tratta di un unico maxi-emendamento su cui il Governo ha posto la fiducia in quanto per la necessità di rispettare i tempi dettati dal PNRR, che dà alla Italia 2,3 miliardi di euro per ridurre i tempi della giustizia civile del 40% e quelli della giustizia penale del 25%. Nel maxi-emendamento che ora passa alla Camera per l’approvazione definitiva c’è anche la nascita del nuovo Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, sulla base di un testo presentato dalle senatrici Fiammetta Modena (Fi), Anna Rossomando (Pd) e Julia Unterberger (Svp): una proposta che però, per come è disegnata attualmente, a chi si occupa quotidianamente di minori non piace per nulla. Il punto più critico è il fatto che con la riforma gran parte delle procedure che riguardano i minori passeranno a un giudice monocratico, perdendo quella collegialità e multidisciplinarietà che oggi caratterizzano in via peculiare i Tribunali per i Minorenni e il loro lavoro, dando maggiori garanzie rispetto alle delicate decisioni che riguardano i minori.

L'Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, ha formulato una serie di osservazioni in una lettera indirizzata alla Presidente del Senato mentre l’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia ha redatto un comunicato in cui esprime «seria preoccupazione» per una riforma che «sembra ancora una volta prestare maggiore attenzione ai diritti degli adulti», sigmatizzando anche la mancanza di confronto che sta caratterizzando la norma. Anche l’Unione nazionale camere minorili ha evidenziato la sua «forte contrarietà» al fatto che «processi di straordinaria importanza, quali quelli relativi alla responsabilità genitoriale, siano trattati e decisi interamente da giudici monocratici, non affiancati nel momento della decisione da esperti, in grado di fornire un apporto specialistico a garanzia dei diritti dei minori e dei loro familiari», citando anche la necessità che la riforma sia accompagnata da maggiori investimenti a livello di personale sia tra i magistrati e l’ufficio del processo sia nell’ambito del welfare e servizi sociali di territorio.

Roberto Di Bella è Presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania. Anche lui dinanzi al progetto di riforma nutre «enormi perplessità», anche per il fatto che «una riforma così importante e di forte impatto sulla vita di centinaia di migliaia di persone avrebbe richiesto una maggiore riflessione e l’ascolto di chi da tanti anni opera sul campo». Di Bella è arrivato a Catania nel settembre 2020, dopo aver guidato dal 2011 il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria: qui ha fatto nascere il progetto “Liberi di scegliere” – poi diventato un protocollo governativo sostenuto anche dalla CEI – che ha già permesso a 80 ragazzi e 20 mamme con figli di allontanarsi dalla cultura della ‘ndrangheta e di sperimentare nuovi orizzonti di vita. Una storia che ha ispirato la fiction tv Liberi di scegliere. «Mi stanno arrivando mail da tante mamme che hanno scelto di allontanarsi dal contesto in cui sono nate. Sono preoccupate, vogliono poter trovare il “loro” giudice, il loro collegio… le persone di cui si sono fidate. Queste sono persone che abbandonato tutto quello che hanno, fidandosi dello Stato attraverso di noi. Ora improvvisamente dovrebbero fare riferimento ad un'altra realtà che non li conosce… comprensibilmente c’è preoccupazione. Tutto quello che abbiamo costruito così viene messo a rischio».

Mi stanno arrivando mail da tante mamme che hanno scelto di allontanarsi dal contesto in cui sono vissute. Sono preoccupate, vogliono poter trovare il “loro” giudice, il loro collegio… le persone di cui si sono fidate. Queste sono persone che abbandonato tutto quello che hanno, fidandosi dello Stato attraverso di noi. Ora improvvisamente dovrebbero fare riferimento ad un'altra realtà che non li conosce… comprensibilmente c’è preoccupazione. Tutto quello che abbiamo costruito così viene messo a rischio».

Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania

Un tribunale unico per la famiglia, la persona e i minorenni lo chiedevano da tempo anche i giudici minorili. Perché?
Perché oggi tante situazioni vengono “spezzettate” tra giudici diversi, per esempio tra il giudice che si occupa della separazione e il giudice minorile, mentre serve uno sguardo unico su tutta materia, con un’unica linea di indirizzo e un’unica organizzazione. È vero che noi giudici minorili da tempo auspichiamo la creazione di un tribunale unico per la famiglia e i minorenni, che salvaguardi però l’esperienza virtuosa, ma spesso misconosciuta e negletta, dei tribunali per i minorenni. Il progetto di riforma licenziato dal Senato con l’avallo del governo invece desta enormi perplessità. Una riforma così importante e di forte impatto sulla vita di centinaia di migliaia di persone avrebbe richiesto una maggiore riflessione e l’ascolto di chi da tanti anni opera sul campo. Purtroppo, il governo e il parlamento sino ad ora non hanno inteso ascoltare gli operatori della giustizia minorile: ci sono stati soltanto sporadici incontri e il mondo della giustizia minorile è stato escluso dai tavoli tecnici propedeutici, così come ha segnalato con enorme preoccupazione l’Associazione italiana magistrati per la famiglia e i minorenni-AIMMF.

Che cosa accadrà ora, con l’impianto disegnato dalla riforma?
Al giudice minorile resterà solo la parte penale, quella relativa alle adozioni e pochissimo altro. I procedimenti de potestate, relativi alla responsabilità genitoriale – che sono il 40-50% dell’attività di un Tribunale per i Minorenni e che includono anche le situazioni di cui ci siamo occupati con il progetto “Liberi di scegliere” – passano al giudice monocratico che di fatto sarà il giudice della sezione famiglia del tribunale ordinario, senza più l’apporto preziosissimo dei giudici onorari. Queste delicatissime decisioni cioè non potranno più essere adottate da un tribunale composto da quattro giudici (due togati e due onorari) ma saranno devoluti alla competenza di un giudice monocratico che dovrà occuparsi di tante altre procedure (separazioni, divorzi etc.) e che non potrà più contare sull’apporto decisivo dei giudici onorari, che sono esperti in psicologia, neuropsichiatria, criminologia etc. Il contributo dei giudici onorari all’interno del Tribunale per i Minorenni si è rivelato fondamentale: oltre che nell’ascolto dei minorenni, hanno dato un apporto nella comprensione dei meccanismi psico-antropologici che spingono al crimine, come anche nella costruzione dei progetti rieducativi e di supporto programmati dalla giustizia minorile. Gli uffici giudiziari per i minori hanno un’identità specifica, plasmata nell'incontro silente e laborioso tra operatori sensibili e accorti, da storie difficili, da prassi virtuose maturate nel corso degli anni grazie alla specializzazione degli addetti ai lavori, dall’osmosi tra esperienze territoriali diverse. Fino ad oggi sono stati un laboratorio prezioso, un fronte avanzato per governare il disagio di fasce sociali deboli, nelle carenze strutturali dei servizi socio-sanitari di alcuni territori. Il rischio palesato dall’AIMMF è che la riforma, nell’ambiguità del dato letterale e al di là dei proclami, si risolva in un mero trasferimento di competenze dal tribunale per i minorenni alle sezioni famiglia del tribunale ordinario, in un sostanziale svuotamento delle competenze del tribunale per i minorenni. A chi giova tutto questo?

Appare una soluzione incongrua, oltre che di difficile comprensione, quella di mantenere la previsione della collegialità e della multidisciplinarietà per alcuni settori e materie (processo penale minorile e adozioni), mentre per altre, pure molto delicate (come quella concernenti i procedimenti sulla responsabilità genitoriale), è prevista la competenza di un giudice monocratico. Quale è la logica?

L’eliminazione della collegialità e della multidisciplinarietà è quindi il cuore del problema.
Nell’esperienza del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, ma direi per certo anche di altri uffici giudiziari minorili, i giudici onorari hanno spesso rappresentato un punto di riferimento imprescindibile per tanti bambini e per le loro famiglie ma anche per gli esigui servizi socio-sanitari del territorio, che si sono trovati spesso inadeguati per le carenze organiche, perché impreparati o perché impauriti nell’eseguire così gravose decisioni. Inoltre i giudici onorari hanno permesso di monitorare costantemente i processi evolutivi dei ragazzi coinvolti: questo costante e tempestivo monitoraggio è necessario per calibrare la risposta più funzionale al preminente interesse dei minorenni e per modellare la cornice dei provvedimenti in relazione alle fluide situazioni familiari, sino al raggiungimento di un assetto conveniente per il minorenne. È una scelta che avrà un impatto durissimo a livello personale per i giudici, perché in questo ambito le competenze giuridiche non bastano: il peso di alcune vicende e la responsabilità delle decisioni da prendere spesso tolgono il sonno.

Diceva anche che il giudice monocratico dovrà occuparsi di tante altre procedure.
Faccio un esempio concreto. Un tribunale per i minorenni di medie dimensioni tratta circa 2.500-3.000 procedimenti di volontaria giurisdizione per anno. Questo si traduce nell’audizione in fase istruttoria di circa 10-12.000 persone: genitori, minorenni, ascendenti, tutore/curatore speciale del minore, famiglie affidatarie, responsabili della comunità di accoglienza e dei servizi socio-sanitari del territorio etc.. Tutte queste persone vengono ascoltate più volte, spesso si tratta anche di incontri che non vengono verbalizzati: una donna che pensa di lasciare la sua terra e la sua casa, insieme ai figli, sa quante volte viene in tribunale prima di decidere di aderire al progetto? Ha bisogno di rassicurazioni, di capire, di incoraggiamento… È tutto lavoro che non viene verbalizzato ma che comporta tempo ed energia. Appare una soluzione incongrua, oltre che di difficile comprensione, quella di mantenere la previsione della collegialità e della multidisciplinarietà per alcuni settori e materie (processo penale minorile e adozioni), mentre per altre, pure molto delicate (come quella concernenti i procedimenti sulla responsabilità genitoriale), è prevista la competenza di un giudice monocratico. Quale è la logica?

Un tribunale per i minorenni di medie dimensioni tratta circa 2.500-3.000 procedimenti di volontaria giurisdizione per anno. Questo si traduce nell’audizione in fase istruttoria di circa 10-12.000 persone: genitori, minorenni, ascendenti, tutore/curatore speciale del minore, famiglie affidatarie, responsabili della comunità di accoglienza e dei servizi socio-sanitari del territorio etc.. Tutte queste persone vengono ascoltate più volte, spesso si tratta anche di incontri che non vengono verbalizzati: un lavoro che richiede tempo ed energie

Che succederà ora?
Il Parlamento è sovrano e rispetteremo il legislatore. Ma certamente noi giudici minorili non possiamo rimanere in silenzio. Non possiamo per rispetto degli elevati costi emotivi e dei sacrifici personali e familiari che questo lavoro ha comportato per tutti noi. Per rispetto della sofferenza e delle richieste di aiuto di tanti ragazzi e di tante famiglie, ai quali la giustizia minorile ha dato sollievo. Per il rispetto dovuto alle numerose persone che ripongono fiducia e speranza nella giustizia minorile. Mi riferisco ovviamente in particolare al progetto “Liberi di Scegliere” che in Calabria, ma ora anche in Sicilia e in altre regioni, sta alimentando speranze là dove sembrava che non potessero esservi. Purtroppo, questo progetto di riforma rischia di mettere una pietra tombale su "Liberi di Scegliere".

Perché?
Con “Liberi di Scegliere” la giustizia minorile è entrata nel cuore delle famiglie di ‘ndrangheta e mafia come mai nessuno sino ad ora vi era riuscito. In Calabria 80 ragazzi e 20 mamme con i loro figli se ne sono andate via. A Catania, in un anno, abbiamo già adottato 15/16 provvedimenti. Il progetto ha dimostrato di avere potenzialità inespresse nella prevenzione dei fenomeni mafiosi. Ha aiutato moltissimi ragazzi ad emanciparsi dalla cultura mafiosa che genera sofferenza, oltre che morte e carcerazione. Tante madri di ‘ndrangheta e di mafia hanno chiesto aiuto per allontanarsi dai contesti di provenienza con i loro amati figli anelando a una nuova vita. Con l’aiuto dell’associazione Libera e con un protocollo governativo siglato da ben cinque ministeri è stato creato un circuito virtuoso di accoglienza che colma una lacuna legislativa e un vuoto di tutela, in quanto non tutte queste donne potevano e possono entrare nei programmi speciali di protezione. Tanti boss detenuti, anche al 41 bis, genitori dei minorenni di cui ci occupiamo, hanno scritto incoraggiando la giustizia minorile a proseguire nella strada intrapresa.

Il Parlamento è sovrano e rispetteremo il legislatore. Ma certamente noi giudici minorili non possiamo rimanere in silenzio. Non possiamo per rispetto degli elevati costi emotivi e dei sacrifici personali e familiari che questo lavoro ha comportato per tutti noi. Per rispetto della sofferenza e delle richieste di aiuto di tanti ragazzi e di tante famiglie, ai quali la giustizia minorile ha dato sollievo. Per il rispetto dovuto alle numerose persone che ripongono fiducia e speranza nella giustizia minorile.

Vede altri punti critici nella riforma?
Il progetto di riforma non prevede dotazioni finanziarie aggiuntive o interventi sulla pianta organica da destinare al nuovo organo giudiziario ipotizzato: ciò comporterà sui giudici monocratici un aumento esponenziale dei compiti e il rischio concreto di rallentamenti nei processi decisionali di tutela del minorenne, oltre che di decisioni non adeguate nell’assenza di una pluralità di sguardi. Ma se il progetto di riforma della giustizia è dettato dall’Unione Europea per poter consentire all’Italia di accedere ai fondi del Recovery Plan, perché queste risorse non sono state previste a supporto anche di questo punto così delicato della riforma? Ancora, la rete di accoglienza e sostegno costruita con il progetto “Liberi di Scegliere” è stata il frutto di un unico assetto organizzativo e dell’autonomia dei Tribunali per i Minorenni, che hanno potuto dialogare con il territorio, siglare fondamentali intese e protocolli e costituire un imprescindibile punto di riferimento per tutte le agenzie educative (scuola, servizi socio-sanitari, associazioni etc.): il progetto di riforma invece contiene alcune ambiguità letterali che non consentono di comprendere a chi spetti dettare la linea organizzativa (anche logistica, atteso che serviranno nuovi spazi) e di indirizzo, così come non è chiaro a chi spetti la rappresentanza esterna del nuovo organo (al presidente della sezione distrettuale o al presidente del tribunale ordinario dovrà avrà sede la sezione circondariale). Ambiguità ordinamentali che dovrebbero essere eliminate dalla legge delega e che certamente non potranno essere modificate con i decreti delegati.

Cosa le spiace di più?
Nonostante le carenze di organico e di risorse i Tribunali per i Minorenni sono stati un presidio strategico sul territorio, hanno consentito la formazione di un bagaglio consolidato e integrato di competenze, sono stati "Stato" immediatamente riconoscibile e presente a fronte di emergenze sociali complesse. In altri termini, gli uffici giudiziari per i minorenni sono il luogo dove il passo della giustizia è calibrato su persone offese, testimoni, indagati, imputati, ancora fanciulli, adolescenti; comunque persone non ancora adulte, non compiutamente delineate. Sono il luogo dove anche lo "spazio" e il "tempo" della giustizia giocano un ruolo nella possibilità di coltivare la speranza di riscatto. Perché disperdere questa esperienza?

Foto unsplash

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.