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Apri, il progetto di Caritas Italiana che punta al welfare di comunità

623 le persone accolte, di cui 186 minori, 53 le diocesi coinvolte, 100 le parrocchie, oltre 60 gli operatori e 350 le famiglie tutor volontarie. «Apri non si concentra sulla vita passata dei migranti accolti ma sulle loro potenzialità e su quanto possono offrire alla comunità in cui vivono e sposta l’asse dell’attenzione sulle famiglie tutor e sul loro impegno quotidiano nell’apportare un cambiamento culturale sul tema dell’integrazione e del bene comune», dice Lucia Forlino, project manager ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana

di Anna Spena

Si sono incontrati ieri a Piazza San Pietro, Roma, in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato tutte le persone che gravitano attorno al progetto Apri della Caritas Italiana: chi è accolto, le famiglie tutor, gli operatori, le parrocchie e coloro che, a vario titolo, collaborano per la buona integrazione sui territori. Il progetto APRI – prosecuzione del Progetto “Protetto. Rifugiato a casa mia” – è un'iniziativa nazionale avviata lo scorso anno e finalizzata a creare migliori condizioni di integrazione per i migranti rafforzando il loro percorso di autonomia e sensibilizzando le comunità – parrocchie, istituti religiosi, famiglie – all’accoglienza.

«L’approccio generale a costruire luoghi comuni sui migranti e su coloro che lavorano per accoglierli e tutelarli, è il sintomo di una immaturità culturale diffusa all’interno della quale si stanno consolidando le basi per una società escludente dove domina la paura. L’accoglienza dei migranti, rimane uno degli aspetti più controversi dell’immigrazione in Italia e in Europa e la “mala informazione” certo non ha aiutato, negli anni, alla costruzione di una società realmente consapevole, risolutiva, proattiva, accogliente», spiega Lucia Forlino, project manager ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana. «Gestire l’accoglienza dei migranti passa da sempre come un aggravio alla quotidianità già faticosa di questo Paese mentre quello che Caritas sostiene è che è necessario un approccio di incontro, conoscenza e sostegno utile alla buona integrazione reciproca oltre che al raggiungimento di un cambiamento culturale. In questo senso “APRI” è un progetto che ha permesso negli anni di sperimentare l’accoglienza attraverso il sostegno di comunità parrocchiali, associazioni, istituti religiosi che si sono resi disponibili ad accompagnare famiglie e singoli. Relazioni di amicizia e di buon vicinato positive che non solo aiutano i migranti ad inserirsi ma sono fondamentali come collante nelle comunità locali, per stemperare i conflitti e far crescere comunità solidali che migliorano la vita di tutti».


L’acronimo del nome richiama i famosi quattro verbi del Papa riferiti ai migranti (Accogliere, Proteggere e promuovere, Integrare). Come già sperimentato con “Protetto. Rifugiato a casa mia”, consiste in forme di accoglienza di richiedenti la protezione internazionale e di rifugiati, secondo modalità già sperimentate, attraverso il circuito delle Caritas diocesane già coinvolte nella gestione di questa particolare categoria di destinatari. Finora sono 623 le persone accolte, di cui 186 minori, 53 le diocesi coinvolte, 100 le parrocchie, oltre 60 gli operatori e 350 le famiglie tutor volontarie. L’intento principale del progetto è di dare centralità alla comunità, intesa come base vitale e sistema di relazioni in grado di sostenere il processo di inclusione sociale e lavorativa delle persone. «Noi stiamo tentato di sponsorizzare il modello canadese della “comunità sponsor”», racconta Forlino. «Dove soggetti pubblici e privati si mettono insieme per sostenere l’ingresso dei richiedenti asilo. Questa è una delle soluzioni possibili per evitare il traffico illegale di essere umani».

In Italia «il focus si sta spostando dai migranti alle comunità stesse», continua Forlino. «Se fino a qualche anno fa il concetto di accoglienza era schiacciato sulla logica "accogli il prossimo perché è bisognoso” oggi l’attenzione si sposta su chi accoglie. Un processo straordinario di vita in comune che sviluppa un welfare di comunità di cui possono beneficiare tutti, non solo i rifugiati».

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