Welfare
Reddito di cittadinanza, la politica sia seria: va riformato, non cancellato
L'intervento del presidente delle Acli: «Non possiamo permetterci, in questo momento, l'errore di gettare il bambino con l'acqua sporca perché il Reddito di cittadinanza è uno strumento utile di contrasto alla povertà e non si può tornare indietro proprio ora. Ciò che serve, al contrario, è migliorare questo sussidio, ottimizzando ed estendendo la platea dei possibili beneficiari e rendendolo maggiormente proiettato verso il mondo del lavoro». Ma per farlo la politica deve uscire dalla dinamica delle becere strumentalizzazioni
Il dibattito sul Reddito di Cittadinanza che si è scatenato in queste ore, non merita di essere oggetto delle becere strumentalizzazioni politiche che possiamo leggere sui giornali e sentire in tv. Trovo alquanto preoccupante che si faccia della facile ironia sulla pelle di più di 1,2 milioni di famiglie (attuali percettori) per il solo fine di denigrare lo strumento in questione, fra l'altro con espressioni al limite della decenza che richiamano situazioni patologiche croniche (Gioirgia Melonilo ha definito "metadone di Stato", ndr). Credo che la nostra politica debba approfondire maggiormente i risultati oggettivi di questo strumento e confrontarsi seriamente sulle modalità di intervento per migliorarlo, senza lasciarsi prendere dalle tifoserie da stadio, di cui proprio non abbiamo bisogno in questo momento.
Abbiamo bisogno invece che tutte le forze politiche si assumano la responsabilità di aprire un dibattito serio su questa norma che non va cancellata del tutto ma che non può neanche rimanere così com’è. Il Reddito di cittadinanza, di per sé, rappresenta uno strumento utile ma ha dimostrato evidenti criticità nella sua reale applicazione a partire dal tentativo di collegare lotta alla povertà e lavoro senza prevedere un vero accompagnamento e una presa in carico dei soggetti che hanno richiesto il sussidio, ponendo sulle “spalle” dei Centri per l’impiego – assolutamente non idonei al servizio – gran parte del processo.
Inoltre il Reddito di cittadinanza, che pure ha ampliato di molto la platea dei beneficiari rispetto al Reddito di inclusione, non è mai riuscito a comprendere davvero tutti i poveri: in particolare sono state svantaggiate di fatto le famiglie numerose, che sono contemplate nella norma ma ricevono, in proporzione, molto meno ad esempio nei confronti di una famiglia con un solo figlio, e gli immigrati, anche quelli residenti da anni nel nostro Paese e integrati completamente, con l’esito paradossale di aver allargato la forbice delle diseguaglianze, differenziando fra poveri e ancor più poveri. Non è un caso che il Governo stesso abbia dovuto predisporre un ulteriore strumento di sostegno come il Reddito di emergenza, che andasse ad allargare la copertura a chi era rimasto escluso dal Rdc. Anche in questo caso va bene l’ampliamento della platea ma va anche detto che non possiamo solo pensare a dei benefici economici, con l’illusione che una dazione in denaro possa risolvere il problema della povertà, come qualcuno aveva detto nel momento in cui è stato approvato il Reddito di cittadinanza, men che meno quello del lavoro. La povertà, al contrario, è spesso un fenomeno multidimensionale e quindi anche l’intervento a favore di un soggetto fragile non può che essere multidimensionale, con una presa in carico a 360° gradi che miri alla piena inclusione sociale del richiedente.
La povertà è spesso un fenomeno multidimensionale e quindi anche l’intervento a favore di un soggetto fragile non può che essere multidimensionale, con una presa in carico a 360° gradi che miri alla piena inclusione sociale del richiedente
L’altro grande nodo su cui bisognerà intervenire riguarda il collegamento con le politiche attive del lavoro, per tramite del c.d. “Patto per il lavoro”. Il RdC infatti è stato pensato come uno strumento bi-cefalo per sostenere il reddito dei più poveri da un lato e facilitarne l’accesso al mondo del lavoro dall’altro. I dati ci dimostrano che questo duplice obiettivo non è stato raggiunto. A fronte di 1,6 milioni di soggetti convocati dai Centri per l’Impiego, poco più di 1,05 milioni sono tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro e alla data del 10 febbraio 2021 sono state solo 152.673 le persone che hanno instaurato un rapporto di lavoro successivo alla data di presentazione della domanda, parliamo quindi del 14,5% circa del totale. Anche su questo fronte il lavoro da fare è molto e passa attraverso una più generale riforma delle Politiche attive del lavoro su cui il mondo del Terzo settore può e deve dare il suo contributo: il Reddito di cittadinanza va collegato ad una formazione professionale per i percettori che sia obbligatoria e continuata nel tempo, in modo da aumentare le probabilità di impiego e anche in questo senso le Acli, come anche altri enti, possono contribuire in maniera decisiva nell’ambito della formazione professionale e nell’erogazione dei servizi per il lavoro. Occorre, però, semplificare la burocrazia, valorizzare le reti territoriali e di comunità che le Acli e altri soggetti sono riusciti a creare nel corso di decenni e decenni di impegno, dedizione e fatica.
Non possiamo permetterci, in questo momento, l'errore di gettare il bambino con l'acqua sporca perché il Reddito di cittadinanza è uno strumento utile di contrasto alla povertà e non si può tornare indietro proprio ora, quando il nostro Paese sta affrontando una crisi senza precedenti, dove aumentano le diseguaglianze e dove i fragili sono sempre più fragili. Ciò che serve, al contrario, è migliorare questo sussidio, ottimizzando ed estendendo la platea dei possibili beneficiari e rendendolo maggiormente proiettato verso il mondo del lavoro. Del resto, lo stesso Piano nazionale di ripresa e resilienza, nella Missione 5, affida al mondo del Terzo settore il ruolo di co-protagonista nell’elaborazione di servizi alla cittadinanza. Un'opportunità da cogliere e una sfida da vincere, per tutti noi".
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