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Alberto Cairo (Croce Rossa) da Kabul: «Da qui non ce ne andremo mai»
Il capo del programma ortopedico del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), all'indomani della ritirata del contingente militare occidentale, non ha dubbi: «Se partiamo anche noi, chi resta? Si presuppone che noi si lavori in zone di guerra». E aggiunge: «Vengono anche i talebani e ci chiedono servizi. Alcuni li conosciamo da tanti anni, altri sono nuovi»
di Paolo Manzo
Le cicatrici della guerra possono durare una vita. Per qualcuno che ha perso un arto a causa di un'esplosione o di un proiettile, un braccio o una gamba, una protesi correttamente funzionante cambia la vita. Il capo del programma ortopedico del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) in Afghanistan, è l’italiano Alberto Cairo, che continua anche in questi giorni drammatici a supervisionare i sette centri ortopedici della CICR. Il più grande è a Kabul ed è rimasto sempre aperto pur funzionando a capacità ridotta. «Se partiamo anche noi, chi resta? Si presuppone che noi si lavori in zone di guerra».
Risponde così Cairo, originario di Ceva, in provincia di Cuneo, alla BBC che gli chiede se ha intenzione di rientrare. No, Alberto non ha nessuna intenzione di mollare. «I pazienti stanno arrivando e stiamo facendo alcuni lavori, tutti i servizi che non possono essere rimandati. Quindi, per esempio, se un bambino viene perché ha bisogno di rimuovere o rinnovare la protesi al piede, devi farlo, non puoi aspettare. I piedini giovani, infatti, continuano a crescere». Le protesi delle gambe che il CICR fornisce alle persone bisognose sono robuste e durevoli. Ma anche questi modelli semplici ed efficienti hanno bisogno di riparazioni di tanto in tanto. «Ora in questo momento incerto e lavorando con uno staff ridotto, stiamo facendo del nostro meglio. Ripariamo un gran numero di dispositivi e ne produciamo di nuovi quando non possono più essere riparati», racconta Cairo. Durante questo periodo di grande cambiamento a Kabul, il dottor Cairo e il suo team stanno visita e cura tutti, anche molti talebani. «Vengono e ci chiedono servizi. Alcuni li conosciamo da tanti anni, altri sono nuovi», spiega. Il progetto ortopedico della Croce Rossa è iniziato nel 1988 a Kabul e, da allora, è cresciuto enormemente. 210mila persone con handicap fisici sono passate da qui e, di queste, almeno 150mila all'anno ricevono cure in uno dei sette centri. Un quarto dei pazienti è amputato – per lo più vittime di mine e residuati bellici esplosivi – mentre il resto include malati di poliomielite, lesioni spinali, deformità congenite, paralisi cerebrali e vittime di incidenti. La maggior parte di loro ha bisogno di cure per molti anni, spesso per il resto della loro vita. Domenica scorsa a Kabul, il centro ortopedico ha visitato circa 300 pazienti, la metà di quanto fa in una giornata normale ma il dottor Cairo è sicuro che il numero di pazienti aumenterà nelle prossime settimane. «La situazione in Afghanistan è instabile. Il numero di pazienti che vengono alle nostre porte per ora è ridotto, ma lo è anche il nostro personale. Entrambi i numeri aumenteranno progressivamente nel prossimo futuro, a seconda di come evolverà la situazione». La speranza di Cairo oggi? «Che la comunità internazionale continui a tenere accesi i riflettori sull’Afghanistan, perché sentirsi abbandonati è uno dei sentimenti più terribili che si possano provare». Vita ha chiesto all’ufficio stampa della Croce Rossa Internazionale di Ginevra le ultime da Kabul. L’intervista
Com'è la situazione in Afghanistan in questo momento? Quali sono le principali necessità urgenti?
I bisogni umanitari in Afghanistan sono immensi. Abbiamo assistito a pesanti combattimenti a luglio e agosto che hanno ferito migliaia di persone e lasciato case, ospedali e infrastrutture senza l'elettricità e/o l'acqua. C’è molta preoccupazione tra gli afgani anche per la situazione economica. Molte banche sono chiuse ed i prezzi dei generi alimentari continuano a salire. La comunità internazionale deve continuare a investire in aree di grande bisogno in Afghanistan, in primis nell'accesso all'assistenza sanitaria e agli altri servizi di base.
Quante persone della Croce Rossa sono presenti oggi sul campo in Afghanistan?
Attualmente disponiamo di un team di oltre 1.800 dipendenti in tutto il paese, incluso il personale internazionale distribuito in molte città.
In che modo noi e i nostri lettori italiani possono aiutare ad alleviare il dolore degli afgani?
Il CICR e molte altre organizzazioni stanno facendo del loro meglio per alleviare le sofferenze degli afghani all'interno e all'esterno del paese. Sostenendo loro, sostenete gli afgani bisognosi.
Come sta affrontando questo periodo drammatico il vostro personale femminile? Ci sono state delle minacce da parte dei talebani?
La Croce Rossa Internazionale ha molte donne tra il suo personale che operano nei settori della salute e della riabilitazione e, oggi, continuano a lavorare. I talebani ci hanno garantito che il personale femminile del CICR potrà continuare a svolgere il proprio lavoro.
Come vedete la situazione all'indomani del ritiro degli Stati Uniti il 31 agosto scorso?
La situazione umanitaria è peggiorata prima del 31 agosto e continuerà a peggiorare adesso, dopo il ritiro. Ci sono ben 40 milioni di afgani che sono rimasti intrappolati in decenni di guerra e violenza che hanno sradicato milioni di persone dalle loro case e decimato il sistema sanitario del paese, creando una crisi umanitaria cronica.
Quante persone state aiutando al giorno, dove e quali sono le principali necessità che hanno oggi gli afgani?
Il CICR gestisce sette strutture di riabilitazione a Kabul, Jalalabad, Gulbar, Faizabad, Mazar-i-Sharif, Herat e Lashkar Gah. Abbiamo assistito 80.000 pazienti nella prima metà dell'anno. L'assistenza medica oggi è una chiara necessità per gli afgani ed è al pari cruciale il nostro servizio di riabilitazione fisica per coloro che soffrono di disabilità a causa di un conflitto che dura da troppo tempo. I team guidati da Alberto Cairo continuano a visitare centinaia di pazienti ogni giorno. Alcuni vengono per farsi riparare le loro protesi, altri per prenderne delle nuove.
Questa è la seconda puntata di una serie di approfondimenti sulle organizzazioni umanitarie che hanno deciso di continuare a lavorare in Afghanistan. Qui la prima
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