Famiglia
La lezione di Rosemary, la Kennedy sacrificata
Bella ma irruente, non vincente e quindi impresentabile. È la storia di Rosemary Kennedy, sorella dei celebri John e Bob, nata con una disabilità intellettiva e per questo nascosta a lungo da tutta la famiglia. Fu lei però ad ispirare la nascita delle Special Olympics, che oggi coinvolgono nel mondo milioni di atleti con disabilità. Un libro ora racconta la sua storia
«Come ogni buon comandante sa, si può sacrificare uno, per il bene di tutti. Di più: si deve». È questo il fil rouge che percorre la storia di Rosemary Kennedy, la figlia “dimenticata” dei Kennedy, sacrificata sull’altare del buon nome e del successo della famiglia. Soffocata da un continuo confronto con le aspettative di perfezione, performance, successo che in casa sono legge: i Kennedy non piangono, i Kennedy non perdono, se non vinci è perché non ti sei impegnato abbastanza. Fosse anche, la colpa, quella di avere qualche chilo di troppo, qualche passione di troppo, qualche lentezza di troppo.
Rosemary nacque nel 1918. Fu la terza dei nove figli avuti da Joe Kennedy e sua moglie Rose Elizabeth Fitzgerald, la prima femmina. Per anni – quantomeno dal 1941 al 1958 – la sua esistenza venne praticamente cancellata dall’intera famiglia: visse curata e accudita nel Wisconsin, al Santa Coletta, un istituto religioso per bambini e adulti con disabilità, da nascondere agli occhi del mondo. Amata dalle suore e dagli operatori, ma sola a dispetto del clan a cui apparteneva. Vi morì nel 2005, all’età di 86 anni: sua madre Rose andò a farle visita due volte in tutto, dal giorno in cui vi entrò nel 1949.
Una storia incredibile, pochissimo conosciuta nonostante riguardi una delle famiglie più celebri e più chiacchierate della storia recente. La raccontano con delicatezza e insieme con spirito di denuncia Simona Capodanno e Marina Marazza nel libro “Niente lacrime per Rosemary” (Fabbri editori): «La storia che raccontiamo è autentica e documentata, ci sono solo poche “licenze creative” che non vanno a modificare i fatti. I dialoghi scritti da Marina sono quanto di più verosimile si possa immaginare. Il risultato spero sia qualcosa da leggere con interesse e con passione, ma anche con lo spirito critico che va dedicato a una denuncia: quello che è stato fatto a Rosemary gridava vendetta», scrive Capodanno al termine del volume. Eppure. Nonostante una vita «passata per la maggior parte nell’immobilità, seduta su una sedia a rotelle, relegata in una casa di riposo, Rosemary non è rimasta in silenzio, il suo grido ha raggiunto i cuori dei suoi potenti fratelli e sorelle ed è stato in grado di compiere un piccolo grande miracolo, trasformando per sempre la loro percezione delle disabilità».
Rosemary aveva una disabilità intellettiva, un ritardo cognitivo causato da una sofferenza al momento del parto: l’infermiera che assisteva Rose, in attesa del medico alle prese con l'epidemia della "spagnola", tenne bloccata la bambina nel canale del parto per due lunghissime ore. Istitutrici private e una gran varietà di scuole differenti riuscirono per molti anni a “tamponare” le “stranezze” di Rosemary e il fatto che a 15 anni si comportasse come una bambina – la famiglia stessa ci mise anni ad ammettere anche al proprio interno la disabilità di Rosemary – e anzi Rosemary venne a lungo considerata e mostrata al pubblico come la più bella delle ragazze Kennedy. Crescendo le cose si complicano, fino a che papà Joe decide per quello che gli pare l’intervento risolutivo: una lobotomia sperimentale, praticata a Rosemary nel 1941 da Freeman e Watts. Le ci vorranno molti anni e dure sessioni di fisioterapia per riprendere a muoversi parzialmente, ma non recupererà mai l’uso completo degli arti, specialmente di un braccio e di una gamba, che resteranno rattrappiti per sempre. La lobotomia l’ha ridotta su una sedia a rotelle, disabile, incontinente, incapace di badare a sé stessa e in grado di pronunciare solo qualche parola. Solo Joe sa. Il resto della famiglia non chiede, non scava, vede sparire la sorella e si accontenta delle spiegazioni di facciata imbastite dal padre.
Una volta eletto presidente, John Fitzgerald Kennedy attuerà diverse riforme destinate ai disabili, stanziando ingenti fondi per la ricerca delle malattie mentali, creando enti, associazioni, scuole. Ted, senatore del Massachusetts, ha varato numerosissime leggi in favore dei disabili, tra cui l’Americans with Disabilities Act, che proibisce la discriminazione dei disabili, tutelandone la presenza in tutte le aree dell’occupazione, dello studio, dello sport. Jean, l’ultima dei nove fratelli Kennedy, fonda VSA, Very Special Arts, un’organizzazione no-profit che ha lo scopo di dare alle persone disabili la possibilità di partecipare e godere delle arti. E soprattutto la sorella Eunice, la più affezionata e vicina a Rosemary, la riporta in famiglia per le feste e le vacanze, lancia i campi estivi per giovani con problemi mentali e nel 1968 a Chicago “inventa” le Special Olympics, che oggi fanno gareggiare più di 5 milioni di atleti disabili nel mondo. Fu lei (scomparsa nel 2009) la prima a rendere pubblica la storia della sorella. «La rabbia e la grande preoccupazione che nutriva nei confronti dei pregiudizi culturali di cui Rosemary era vittima fecero nascere in lei una passione rivoluzionaria che si trasformò in un appello alla mobilitazione. Contattò tutti gli esperti nel campo delle disabilità intellettive, visitò gli istituti dove le persone vivevano, come prigionieri, in condizioni igienico sanitarie precarie; bambini che non interessavano a nessuno, fonte di imbarazzo, dimenticati e tenuti a distanza. Una vergogna talmente forte e diffusa che le famiglie non potevano fare altro che nascondere questi bambini», si legge oggi sul sito ufficiale di Special Olympics. «Eunice Kennedy Shriver cominciò con l’organizzare attività sportive per persone con disabilità intellettiva, nel 1962, nel giardino di casa sua. I partecipanti provenivano proprio da questi istituti e prima d’allora non erano mai stati in una piscina o visto l’erba. Quel benvenuto a casa Shriver era un invito ad unirsi al resto del mondo; il modo per farlo sarebbe stato il gioco dove possibile apprendere, attraverso di esso, le regole della vita». L’attuale presidente è Timothy Shriver, figlio di Eunice.
Leggere queste pagine è sconvolgente. Facile condannare mamma Rose e papà Joe per le scelte che hanno fatto, per il silenzio, per la vergogna, per l'ovvietà con cui hanno considerato Rosemary non solo nascondibile ma addirittura sacrificabile. Ma siamo sicuri che oggi sia poi tanto diverso? Che i nostri atteggiamenti dinanzi a un bambino e ancor più un adulto con disabilità – specie se intellettiva – non spingano in realtà i genitori a "nascondere" un figlio con disabilità, a tenerlo in casa per proteggerlo dai nostri sguardi e dai nostri commenti? Che i nostri comportamenti concreti non siano nei fatti una misera contraddizione del nostro pubblico dire, a parole, che crediamo alle capacità e alle potenzialità del loro figlio e dell'inclusione? Che un mondo che viaggia per ambienti separati, in cui certe realtà (o persone?) si fa finta che non ci siano, fa ancora più comodo a tanti? E che, al di là della disabilità, il castello di aspettative che costruiamo attorno ai nostri figli per il loro bene, spronandoli alla competizione e alla performance, non sia in verità una gabbia di infelicità?
Foto di copertina, by Unsplash
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