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Tunisia, il racconto di Mohamed Basti: «Situazione difficile, ma il Paese può ripartire dai giovani»
La testimonianza del giovane ventinovenne tunisino Mohamed Basti, coordinatore progetti dell’organizzazione umanitaria Avsi: «L’87% della popolazione si è schierato a favore del presidente Saïed. I cittadini sono stanchi della classe politica corrotta. La disoccupazione giovanile è al 41%. Nei ruoli politici, di gestione e di rappresentanza i giovani non ci sono mai. Trovano invece spazio nella società civile, sono pieni di idee innovative: il Paese può ripartire solo da e con loro»
di Anna Spena
Il presidente della Tunisia Kaïs Saïed, che la scorsa domenica ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi e bloccato per 30 giorni il lavoro del parlamento, gode in realtà di un grande consenso da parte della popolazione. Stando ai dati di un sondaggio appena pubblicato da Emrhod Consulting, l'87% dei tunisini approva le sue scelte. Si è parlato di colpo di Stato. Ma è veramente un colpo di Stato? Tecnicamente sì, ma dopo la notizia, diffusa via social e non attraverso i canali di informazione classici, i tunisini sono scesi in strada in segno di appoggio a Saïed. Perchè? La testimonia di Mohamed Basti, ventinove anni, coordinatore progetti dell’organizzazione umanitaria Avsi, che ci racconta cosa sta vivendo il Paese con la consapevolezza di chi lo abita.
«Quando il presidente ha sospeso il parlamento e rimosso il primo ministro c’è stata una risposta popolare immediata da tutte le classi sociali del Paese che per ore e ore hanno manifestato nelle piazze. Il sostegno è stato confermato anche nei giorni successivi: l’87% si è schierato a favore del presidente. All’inizio abbiamo avuto paura degli scontri, qualcuno c’è stato – tra chi sosteneva il presidente e i partiti al governo – ma il giorno successivo tutto è tornato normale, tranquillo. Non credo si possa parlare di colpo di Stato, perché tutti nel Paese chiedono nuove nomine, un nuovo governo. I cittadini sono davvero stanchi della corruzione e della mancanza di servizi. Il prossimo mese sarà decisivo per capire se potremo tornare ad uno Stato democratico o andiamo verso derive autoritarie. Siamo davanti ad un punto di domanda e moltissimi problemi. Il primo è l’emergenza sanitaria che è stata gestita malissimo dalla classe politica, fino ad un mese fa avevamo 10mila casi al giorno e mancava l’ossigeno negli ospedali. Ovviamente c’è la crisi economica e la mancanza di lavoro. Perché non c’è lavoro? Perché soprattutto non c’è lavoro per i giovani? Perché la classe politica che ha governato viene riconosciuta come corrotta, non trasparente. Le persone non hanno più fiducia nei mezzi d’informazione, controllati dai politici. La maggioranza politica è una maggioranza traballante, è difficile approvare leggi, fare riforme che possano aiutare il Paese ad uscire dalla crisi che ormai dura da anni. Le persone in Tunisia hanno perso la fiducia, chi vive lontano dalla capitale Tunisi, si sente abbandonato. Questo Paese, il mio Paese, ha bisogno di opportunità, investimenti. I cittadini chiedono leggi elettorali per mandare a casa i politici corrotti, quelli che hanno fatto fallire l’avanzata della Tunisia. Vogliono facce nuove, appassionate, che si impegnino realmente per la sua riuscita. I cittadini sono frustrati, vorrebbero solo più cura per i settori cruciali della vita di tutti: sanità, educazione, trasporti. il tasso di disoccupazione giovanile è al 41%. Per i giovani soprattutto la situazione è drammatica: nei ruoli politici, di gestione, di rappresentanza loro non ci sono mai. Trovano invece spazio nella società civile, sono pieni di idee innovative, hanno sì perso fiducia, ma il Paese può ripartire solo da e con loro».
Avsi lavora a Grand Tunis, in particolare nei quartieri più poveri della capitale, e nei governatorati di Nabeul e Gabes. «Ci sono enormi necessità da parte della popolazione tunisina», spiega infatti Emanuele Gobbi Frattini, che è il responsabile di tutti i progetti. «Dopo la rivoluzione del 2011 il Paese ha attraversato un periodo di crisi economica di cui fanno spesa donne e giovani. In particolare lavoriamo in partenariato con il Dipartimento per l’Insegnamento dell‘Arcidiocesi di Tunisi e finanziato dalla CEI, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi educativi formali e di sostegno psicosociale, attraverso la formazione dei docenti e la creazione di un team di appoggio psico-sociale all’interno delle scuole. Dall’altro lato si lavora per favorire l’accesso dei giovani tunisini ai centri ricreativi comunitari dei quartieri vulnerabili di Sidi el Bechir e Manouba, quartieri dove i giovani sono generalmente fuori dal circuito scolastico, in situazioni spesso di illegalità, e predisposti alla migrazione clandestina. Stiamo anche lavorando ad un progetto di sostegno alle donne capofamiglia dei quartieri precari di Tunisi, in partenariato con la CARITAS e l’associazione VOIX DES ENFANTS, finanziato dal Fondo Africa. Il progetto ha l’obiettivo di aumentare l'accesso a opportunità di sostentamento economico per le mamme sole tunisine, emarginate e stigmatizzate dalla società, che vivono in situazione di precarietà, attraverso il finanziamento di progetti di micro imprenditorialità che ne migliorino le condizioni socio economiche».
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