Welfare

Cosa ci dicono i murales dello Sperone

A Brancaccio, in uno dei quartieri più difficili di Palermo, una dirigente scolastica usa l'arte per riscattare i giovani. «Il mio sogno è creare un’installazione artistica quasi permanente coinvolgendo tutti gli abitanti», racconta Antonella Di Bartolo, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale “Sperone/Pertini"

di Gilda Sciortino

“L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire“. Una frase scolpita sul frontone del Teatro Massimo di Palermo, che non si è mai riuscito ad attribuire a nessuno, ma che vale la pena fare propria quando vogliamo raccontare di realtà che, grazie alla bellezza e alla potenza salvifica dell’arte, riemergono dalle loro stesse ceneri.

Allo Sperone, l’unica impresa economica è lo spaccio di droga. Un’attività che ormai, ma forse anche da sempre, non suscita alcuna reazione di sdegno in coloro che abitano questa borgata, limitrofa a Brancaccio, il quartiere noto per la presenza di padre Pino Puglisi. Prova ne è il filmato di qualche settimana che, attraverso telecamere nascoste, riprendeva un’intensa attività di spaccio. Tra i pusher e i consumatori si vedevano i bambini che, per raggiungere la propria abitazione, una volta usciti da scuola, dovevano passare e subire una sorta di violenza assistita che non può non lasciare tracce nelle loro vite future.

Uno spaccato di vita ai confini, borderline, nel quale, anche qui, troviamo un fenomeno, oseremmo dire, simile a quello delle “spose bambine”. Non dobbiamo, infatti, pensare che storie di questo genere si consumino sempre lontano da noi, in questo caso in paesi come il Bangladesh, Mozambico, la Repubblica Centro Africana, il Niger e il Sud Sudan dove più del 40% delle ragazze tra i 15 e i 19 anni è sposato. Certo, qui da noi, ha un’altra connotazione, si sviluppa diversamente, ma il dato certo e molto triste è che molte bambine dello Sperone – forse esistono anche in altri quartieri – indossano l’abito da sposa in occasione della Prima Comunione perché potrebbe essere l’unico giorno in cui avere il piacere di vederselo addosso.

«Non ci potevo credere – racconta Antonella Di Bartolo, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo statale “Sperone/Pertini – , invece, quando ho cercato di capire il perché, una mamma mi ha detto: “Almeno una volta nella vita mia figlia la devo vedere vestita da sposa, o no?”. Sono ragazzine sacrificate sull’altare del dolore, delle privazioni, della mancanza di prospettive. Il loro futuro imminente sarà contraddistinto dalla classica “fuitina”, che pensavamo fosse superata, retaggio di vecchie culture, invece continua a essere la risposta al fatto che, se nasci in un contesto del genere, il tuo destino è segnato. Tutto ciò mi ha aiutato a non dare più giudizi avventati, a considerare le cose sotto un’altra luce. Era, però, necessario fare qualcosa».

Giovani, dunque, che vivono in una condizione al limite, borderline, privi di opportunità e di scelte. Giovani, famiglie che avevano bisogno di nuova luce e del colore che riempisse la loro vita.

Ecco il perché della scelta dell’arte quale elemento di bellezza da apportare in un quartiere fatto di palazzi con abitazioni schiacciate l’una all’altra, nei cui piani bassi ci sono le “crack house”, dove quelle che un tempo erano state strutture scolastiche – non molte, in verità – oggi sono scheletri a cui è stato dato fuoco, rifugi per tossicodipendenti che vivono ai margini della società, luoghi frequentati dai pusher, ricettacolo di topi e di spazzatura, anch’essa data alle fiamme.


Contesti urbani in cui la disperazione la fa da padrona, dove sopravvivi solo se sei tanto forte da andare via; realtà in cui, se non hai niente in tasca, puoi sempre barattare il tuo corpo con qualche dose di crack o con qualunque altra sostanza allievi il tuo dolore. Storditi non si pensa più a niente, cancellata la memoria del tuo essere persona, donna, bambino, pensi che l’essere in balia di chiunque ti possa regalare una parvenza di affetto che non è e non sarà mai tale.

«Grazie a Igor Scalisi Palminteri, artista palermitano di grande cuore, abbiamo realizzato tre murales che campeggiano sui muri dei palazzi. Guidati da lui, i nostri ragazzi hanno avuto la possibilità di contribuire con il proprio tocco a cambiare il look all’arredo urbano». «Aver cura – sottolinea Scalisi – vuol dire avere a cuore, volere bene, guardare, fare attenzione, fare un gesto affettuoso e poi tornare ancora per una nuova carezza».

Un mantra che sottende ai suoi lavori, ma anche alla missione di una “donna di confine” come la Di Bartolo, e che con “Sangu e Latti”, il primo murale/opera d’arte realizzato nel novembre del 2019 in via XXVII maggio, grazie all’associazione “L’Arte di crescere”, per sensibilizzare le donne dello Sperone all’allattamento al seno, ha dimostrato che una scelta c’è ed è quella di “fare con amore” per la comunità.


Un secondo murale oggi accoglie chi arriva allo Sperone ed è un bambino alto 18 metri con il volto di sfida, le braccia che chiedono ascolto e, dietro, la sua ombra in croce. Il palazzo scelto è uno stabile di proprietà dell’Iacp, l’Istituto Autonomo Case popolari.

Ultimo in ordine di tempo, ma non in assoluto , è un grande Gabbiano, augurio di poter sognare di volare e “imparare” la libertà. Le ali dell'uccello richiamano il volo dei gabbiani veri che, nel corso della giornata, arrivano dal mare che lambisce parte del quartiere e si addentrano tra le case popolari.

Un’opera realizzata con la collaborazione della parrocchia “Maria SS. Delle Grazie”, il Rotary Club Palermo Libertà e alcuni amici dello stesso club service su questo stabile lungo la linea del tram, avviando un vero e proprio progetto di riqualificazione dei quartieri Roccella e Sperone che coinvolge tutti.

Un percorso a tappe che, invece di una tradizionale Via Crucis del dolore, è in viaggio verso il riscatto attraverso la luce che irrora bellezza.


«Il mio sogno, ma non solo il mio, è creare un’installazione artistica quasi permanente – afferma in conclusione Antonella Di Bartolo – coinvolgendo tutti gli abitanti. Si era pensato di realizzarla lungo il percorso del tram, ma poi mi sono resa conto che l’avrebbero vista solo coloro che viaggiavano. Stiamo, quindi, aspettando di trovare i fondi adeguati e poi ripartiremo con la marcia ingranata. Io allo Sperone devo molto e molto voglio ancora dare. Quando sono arrivata, il 1° settembre del 2013, ho trovato un edificio con le lavagne al posto delle porte dei bagni, il giardino nel quale non si capiva se c’era spazzatura o erbacce, il citofono bruciato. Oggi è un’oasi nella quale, se i genitori vengono a chiedermi di parlare, lascio tutto e mi metto a disposizione perché credo che il dialogo, il guardarsi negli occhi sia ciò che fa la differenza. Pensa che il tasso dispersione scolastica era al 27,3%, dopo 3 anni è sceso al 3%. Certo, il Covid ha fatto la differenza perchè siamo tornati molto indietro, ma confidiamo nella ripresa secondo le stesse modalità di prima. Io andrò via solo quando nascerà l’asilo nido. Non me ne dovrei curare perché la nostra scuola va dalla materna alle medie e non è nostra responsabilità, ma non posso e non voglio accettare che un quartiere come lo Sperone debba essere condannato a non avere futuro. Il fatto di avere lasciato all’incuria, al degrado, allo spaccio, paradossalmente, luoghi di vita come gli asili nido, trasformati in luoghi di morte, è un po’ la parabola del quartiere: il nulla, la morte, una terra di nessuno. Un sistema contro cui dobbiamo combattere, qui e altrove. Per la vita».

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