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Accordi Italia-Libia, è ora di misurarne l’impatto

A breve il governo emanerà il decreto 2021 per il finanziamento delle Missioni militari internazionali. Una parte sarà dedicata alla Libia. Ma Nino Sergi si chiede: «gli interventi programmati e la relativa spesa, stanno realmente producendo quanto auspicato e fissato nelle disposizioni di legge e nelle stesse intese bilaterali?»

di Nino Sergi

A breve il governo emanerà il decreto 2021 per il finanziamento delle Missioni militari internazionali. Una parte sarà dedicata alla Libia. Si tratterà di un copia e incolla rispetto al decreto 2020 oppure sarà il risultato di un serio esame dell’efficacia e dell’impatto delle operazioni effettuate?

Non vi è dubbio che ci debbano essere accordi con un paese così vicino e rilevante per l’Italia e che si debbano prevedere adeguati stanziamenti per contribuire a sostenere la stabilizzazione del paese, contrastare la diffusa illegalità e combattere decisamente e definitivamente il traffico di esseri umani e la migrazione irregolare che lo alimenta. La recente visita del presidente Mario Draghi in Libia l’ha confermato.

Ma la domanda che dobbiamo tutti porci, a partire dal governo e dal parlamento, dovrebbe essere questa: “gli accordi Italia-Libia, con gli interventi programmati e la relativa spesa, stanno realmente producendo quanto auspicato e fissato nelle disposizioni di legge e nelle stesse intese bilaterali?”

Ovviamente no. Organizzazioni della società civile, analisti e giornalisti da anni si stanno esprimendo con approfondimenti, analisi, denunce, proposte. Il “Memorandum d’intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana” del 2017 è stato prorogato nel 2020 senza alcun serio approfondimento né alcuna seria valutazione, forse per paura di affrontare una vergognosa realtà. Eppure al governo erano giunti alcuni suggerimenti (v. VITA). Sarebbe bene ora che la politica governativa ascolti un po’ di più e, nonostante la complessità della realtà libica, avvii l’adozione di una ben diversa linea di azione, sia a livello bilaterale che insieme ai partner europei. Il presidente Draghi potrebbe spingere in questo senso.

Ovviamente no è anche la risposta che ogni osservatore corretto e imparziale darebbe. Il “no” è infatti la risposta ai centri illegali di detenzione, agli abusi, alle torture fisiche e psicologiche che continuano a colpire migliaia di persone, alle ripetute morti lasciate prodursi in mare, al cinico comportamento della guardia costiera libica, al continuo girarsi dall’altra parte di governi che pur hanno Carte costituzionali basate sulla centralità e dignità della persona umana, sui diritti inviolabili, sul valore della vita, sulla giustizia, sulla solidarietà.

Mi limito qui agli accordi ed ai finanziamenti dell’Italia relativi alla missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia e di assistenza alla Guardia costiera, contenuta nel decreto Missioni internazionali. Ma il discorso potrebbe facilmente riferirsi agli accordi e finanziamenti dell’Unione europea nei rapporti con la Libia che comprendono essi stessi un’ulteriore partecipazione attiva dell’Italia.

Cosa prevedeva il decreto missioni internazionali 2020 nella parte riguardante la Libia? Elencarne i punti principali diventa anche un invito ad una approfondita ponderazione sulle priorità e modalità degli interventi e sugli stanziamenti che l’Italia intende impegnare con il decreto 2021. Una ponderazione che si basi su una trasparente valutazione dell’impatto e dei risultati delle decisioni assunte dal 2017 al 2020. Ma vediamo in sintesi i contenuti del decreto 2020:

1. Partecipazione di personale militare alla missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (MIBIL), con l’obiettivo di assistere il governo libico attraverso compiti quali: assistenza sanitaria (compreso l’ospedale da campo presso l'aeroporto di Misurata), corsi di sminamento, formazione delle forze di sicurezza, assistenza nel controllo dell'immigrazione illegale, ripristino dell'efficienza degli assetti terrestri, navali ed aerei comprese le relative infrastrutture, capacity building, ricognizioni sul territorio.

Con una copertura finanziaria di 47.856.596 euro, nel 2020 l’Italia ha partecipato alla missione con 400 unità di personale, 142 mezzi terrestri e 2 mezzi aerei, mentre quelli navali sono stati tratti dalle unità della precedente operazione Mare Sicuro. Tra il 2017 e il 2019, il finanziamento aveva raggiunto i 150 milioni di euro.

2. Partecipazione alla missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera della Marina militare libica, con l'obiettivo di “fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani”, tramite l'addestramento della Guardia costiera libica e il mantenimento in esercizio delle unità navali cedute.

Con una previsione di spesa di euro 10.050.160 per il 2020, hanno partecipato alla missione 39 unità di personale della Guardia di finanza e 8 unità dell'Arma dei carabinieri. “Fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani”. L’obiettivo fissato nel decreto è chiaro ma l’intera operazione continua a rimanere poco trasparente e senza alcuna seria valutazione dei risultati, dato che la tratta di esseri umani rimane immutata, così come l’immigrazione irregolare e l’assenza di protezione per l’ampia maggioranza delle persone che, entrando in Libia, perdono libertà e dignità.

La base giuridica legittimante la missione è il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria libica” firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 che fa esplicito riferimento ai due protocolli di “cooperazione in materia di lotta all'immigrazione clandestina e tratta degli esseri umani” firmati a Tripoli il 29 dicembre 2007. Il secondo, tecnico-operativo, prevede lo svolgimento di attività addestrativa del personale della Guardia costiera libica e di pattugliamento a bordo delle unità cedute dal governo italiano a quello libico. L’impegno è stato ripreso nel “Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo del contrasto all'immigrazione illegale e al traffico di esseri umani” del 2 febbraio 2017, nonché nel D.L. 84/2018 che definiva la cessione a titolo gratuito di 12 unità navali con ripristino dell’efficienza, manutenzione, attività addestrativa e di formazione al fine di incrementare la capacità operativa della Guardia costiera del Ministero della difesa e degli organi per la sicurezza costiera del Ministero dell'interno libici nelle attività di controllo e di sicurezza per il contrasto dell'immigrazione illegale e della tratta di esseri umani.

La base giuridica dovrebbe però orientare i due governi e i due parlamenti anche in materia di rispetto della legalità internazionale, diritti umani e libertà fondamentali, legittimando conseguenti azioni di primaria importanza, anche per contribuire alla stessa soluzione del caos libico.

L’articolo 1 del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione dal titolo “Rispetto della legalità internazionale” recita infatti: “Le Parti, nel sottolineare la comune visione della centralità delle Nazioni Unite nel sistema di relazioni internazionali, si impegnano ad adempiere in buona fede agli obblighi da esse sottoscritti, sia quelli derivanti dai principi e dalle norme del Diritto Internazionale universalmente riconosciuti, sia quelli inerenti al rispetto dell'Ordinamento Internazionale”.

E l’articolo 6 “Rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali” stabilisce che “Le Parti, di comune accordo, agiscono conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo”.

Se le solenni dichiarazioni sul rispetto del diritto internazionale e dei diritti fondamentali della persona umana che ascoltiamo dai nostri governanti sono vere – e ritengo che normalmente lo siano – perché il governo italiano non ha premuto con la massima forza su questi due articoli del trattato bilaterale? Perché si è limitato a prendere in considerazione solo quelli di minor valore ma utili nell’immaginario politico al raggiungimento di obiettivi immediati (in realtà solo presunti) in materia di limitazione dell’immigrazione?

Queste domande esigono una risposta. Le visioni corte e le continue indecisioni della politica pesano gravemente – l’abbiamo visto e continuiamo a vederlo in tante situazioni – sull’evoluzione delle fasi successive, che regolarmente si aggravano, e sulle prossime generazioni che si troveranno davanti a difficoltà sconvolgenti, sia all’interno che nelle relazioni esterne, incancrenite a causa della debolezza, dell’incapacità, della non volontà, della cecità, talvolta della disonestà che di chi aveva il dovere di affrontarle al momento giusto e con decisione.

Eppure, nelle relazioni con la Libia, c’erano molti appigli che l’Italia, l’Ue, la comunità internazionale potevano fare valere, adottando solide basi giuridiche per chiedere ed esigere dalla Libia la chiusura dei centri di detenzione dei migranti e il rispetto dei diritti umani. È sorprendente l’elenco delle ratifiche e adesioni della Libia a convenzioni e trattati internazionali tuttora validi e vincolanti. Si tratta di impegni internazionali che sono stati quasi dimenticati sia dai libici che dalla comunità internazionale. Ne ho evidenziati alcuni su VITA nell’ottobre 2019 e varrebbe la pena farli diventare uno dei binari su cui indirizzare le scelte politiche del governo italiano e dell’Ue.

Qualche esempio di impegni assunti dalla Libia?

  • Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli, ratifica nel 1986
  • Convenzione UA regolante gli aspetti specifici dei problemi dei rifugiati in Africa, ratificata nel 1981
  • Carta africana sui diritti e il benessere del minore, ratificata nel 2000
  • Protocollo alla Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa, ratificato nel 2004
  • Convenzione sul divieto e l'azione per l'eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, ratificata nel 2000
  • Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, ratificata nel 2018
  • Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, ratificata nel 2004
  • Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, ratificato nel 2004
  • Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, ratificato nel 2004
  • Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, adesione nel 1989
  • Convenzione supplementare sull'abolizione della schiavitù, il commercio degli schiavi e le istituzioni e le pratiche assimilabili alla schiavitù: adesione nel 1989
  • Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui, adesione nel 1956.

La lista continua. Occorre che non venga dimenticata e che sia ripresa nel rafforzamento delle relazioni con la Libia e negli accordi bilaterali e multilaterali.


*Nino Sergi, presidente emerito INTERSOS e policy advisor LINK 2007

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