Volontariato

Operai e volontari si alleano contro la povertà

Roberto Benaglia, segretario generale Fim Cisl, annuncia la volontà di costruire un progetto di solidarietà sul territorio in partnership con il Terzo settore. «Dobbiamo fare spazio, nella frenesia dell'agenda sindacale quotidiana, ad una azione profonda per farci carico e prenderci cura degli ultimi della nostra società». L'intervista

di Lorenzo Maria Alvaro

«È chiaro che non ci possiamo sostituire in nessun modo al ruolo del settore pubblico, lo Stato deve fare lo Stato con reddito di emergenza e reddito di cittadinanza. Ma resta il fatto che ci troviamo in un momento di particolare emergenza anche economica creata dalla pandemia. Il settore metalmeccanico si sta gradualmente riprendendo. Nello stesso tempo abbiamo più volte dimostrato di essere una categoria che ha una straordinaria propensione alla solidarietà. Pensare a qualcosa da mettere in campo è nel nostro dna». Così il segretario generale Fim Cisl, Roberto Benaglia, introduce un progetto che vede il sindacato cercare sui territori sinergie e partnership con enti del terzo settore per portare aiuto alle perosne in stato di bisogno. L'intervista



Lei ha recentemente parlato di un progetto di solidarietà dei metalmeccanici. In cosa consiste?
Senza bandiere di parte aprendo ad un fronte il più largo e plurale possibile, la Fim Cisl intende mettere in campo direttamente un proprio programma di impegno. Sappiamo che tocca principalmente allo Stato fornire risposte robuste ed adeguate. È in atto una necessaria revisione e rafforzamento di misure quali il Reddito di cittadinanza e Reddito di emergenza. Ma lo Stato non arriverà dappertutto e in tempo, per cui la sussidiarietà e l'azione del volontariato e dei soggetti sociali sono sempre più indispensabili. Il sindacato ha una diffusa rete di presenza nel territorio, ma non avrebbe senso muoverci da soli. Pensiamo che sia più utile impegnarci per cooperare e supportare i radicati programmi che Caritas, Banco Alimentare, Comunità di Sant'Egidio e altre Ong hanno già in campo, con professionalità ed esperienza a cui ci vogliamo affidare.

Che tipo di collaborazione immagina?
Cercheremo da subito interlocuzione e confronto per mettere in pratica un progetto sinergico che valorizzi il nostro ruolo di associazione fatta da donne e uomini, attivisti, delegati e sindacalisti animati da profondi valori. Penso nel concreto alla possibilità non solo di raccogliere fondi e di sollecitare donazioni da parte dei nostri iscritti e sindacalisti, ma anche di garantire ore di volontariato prestate da nostri delegati sindacali presso le Ong coinvolte e di orientare l'azione contrattuale, che è il nostro principale mestiere, a generare risorse indirizzate a questi programmi. Perché infatti non pensare di accordarci con le aziende per destinare quote di flexible benefits, di welfare contrattuale o di risparmi ed efficienze contrattate dalle parti al contrasto alla povertà? Magari con un raddoppio del contributo da parte delle imprese? Perché non recuperare in questa prospettiva i prodotti alimentari non consumati nelle mense? E come non occuparci anche della "povertà digitale" che lascia troppi giovani esclusi dall'accesso a Internet? In alcuni territori esistono già buone pratiche di questo tipo, sia contrattate che promosse unilateralmente dalle imprese più sensibili. Moltiplicare gli sforzi e darsi un programma nazionale di stimolo e di azione è possibile e aiuterebbe a mettere in campo disponibilità e risorse importanti, lasciando meno soli enti e volontari che ogni giorno reggono un fronte sempre più pesante.

Com'è nata l'idea di scendere in campo, come sindacato, in questo modo, uscendo dai cancelli delle fabbriche?
Il sensibile incremento della povertà assoluta in Italia è una delle più gravi conseguenze sociali che la pandemia ci lascerà, e non per poco tempo. L'allungamento impressionante delle file nei pressi dei centri di distribuzione dei pasti nelle città, è solo la punta di un iceberg sociale sommerso, silenzioso ed assai profondo. Ci siamo chiesti cosa potevamo fare noi metalmeccanici per contrastare la diffusione della povertà.

Una sorta di riscoperta delle origini per il sindacato…
Certamente. La pandemia ci ha messo tutti alle corde. Il sindacato da sempre è votato all'aiuto degli ultimi. Oggi però gli ultimi non sono più i metalmeccanici. In quelle file di cui parlavo, tra le persone che vanno a ritirare alimenti e vestiti, non ci sono metalmeccanici. Potrebbe piuttosto esserci il figlio di un metalmeccanico che fa il barista, ho che ha aperto partita iva o che lavora nel mondo dello spettacolo. La tradizione e il robusto senso di solidarietà e giustizia sociale che anima la nostra categoria non può permetterci di restare a guardare. Dobbiamo agire. Dobbiamo fare spazio, nella frenesia dell'agenda sindacale quotidiana, ad una azione più profonda, in grado di toccare e sostenere quel rapporto con gli ultimi della nostra società di cui come persone e come sindacalisti dobbiamo farci carico e cura. Non c'è dubbio che questi quattordici mesi ci hanno spinto a ripensare e riscoprire il nostro ruolo e la nostra azione.

Oltre alle origini la Pandemia sembra anche aver fatto riscoprire il concetto di comunità…
E di territorio. Abbiamo voglia e bisogno che i territori siano protagonisti. Abbiamo ancora una grande protagonismo e una presenza capillare, come sindacato di metalmeccanici, nelle comunità. In questo senso la relazione naturale è con il mondo non profit. Un altro presidio, diverso, ma altrettanto forte. In questo modo potremo ascoltare, capire le esigenze e in ogni luogo dare risposte opportune, ciascuno con il proprio ruolo.

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