Welfare

Aprire le terapie intensive (anche Covid) è un dovere

Maschera, visiera, tre paia di guanti: da novembre l'ospedale Cisanello di Pisa i famigliari possono fare visita ai pazienti ricoverati nel reparto di terapie intensiva Covid. «Anche in piena pandemia non c’è nessun motivo per vietare l’ingresso ai parenti», spiega il primario Paolo Malacarne, che da anni sostiene le terapie intensive aperte. «Dovevamo avere un “sussulto organizzativo” e modificare il dogma della restrizione vigente e rendere fruibile l’accesso. Era un nostro dovere»

di Sabina Pignataro

All’Ospedale Cisanello di Pisa, da novembre 2020, i famigliari possono fare visita ai pazienti ricoverati nel reparto di terapie intensiva Covid. «Anche in piena pandemia non c’è nessun motivo per vietare l’ingresso ai parenti», spiega il primario del reparto di Rianimazione, Paolo Malacarne, che da anni sostiene la diffusione delle terapie intensive aperte, strutture di cura dove uno degli obiettivi dell’equipe è l’abolizione di tutte le limitazioni non necessarie poste a livello fisico e relazionale. I familiari possono stare accanto al malato per 45-60 minuti al giorno, indipendentemente dal fatto che sia in coma, oppure sveglio. Le rianimazioni non Covid, invece, sopno sempre restate aperte ai parenti, come prima dell pandemia.

Dottor Malacarne, come è riuscito ad aprire la terapia intensiva Covid?
Quando siamo entrati nella terapia intensiva Covid avevamo a disposizione 8 posti letto. Nel giro di 3-4 giorni le mie colleghe dottoresse e infermiere si sono accorte che “mancava qualcosa”: c’erano i letti con i malati, i monitor, i ventilatori polmonari, le pompe infusionali, ma… mancavano i familiari. E quando mi hanno chiesto “Ci sono motivi reali per cui i familiari non possono entrare in T.I. Covid mentre possono entrare il personale delle pulizie, i tecnici dell’Ospedale che aggiustano le attrezzature, don Luca, gli ambulanzieri che fanno i trasferimenti, i medici consulenti e i fisioterapisti?”… la risposta è stata semplice: no, non c’è nessun motivo per vietare l’ingresso ai familiari. Perciò non avevamo alternativa: dovevamo avere un “sussulto organizzativo” e modificare il dogma della restrizione vigente e rendere fruibile l’accesso. Era un nostro dovere. Chiaramente, mantenendo alti prudenza e buon senso.

Ci siamo chiesti se c'erano motivi reali per cui i familiari non possono entrare in T.I. Covid. La risposta è stata semplice: no. Perciò non avevamo alternativa: dovevamo avere un “sussulto organizzativo” e modificare il dogma della restrizione vigente e rendere fruibile l’accesso. Era un nostro dovere. Chiaramente, mantenendo alti prudenza e buon senso.

In una prima fase della pandemia, gli ospedali dovevano proteggersi e proteggere gli esterni, escludendo le visite. A questo punto della pandemia esistono ancora motivazioni per cui, con specifiche e ferree regole, i parenti non possano entrare nei reparti, Covid e non?
In realtà devo evidenziare che nella nostra Rianimazione No-Covid (12 posti letto), dove cioè sono curati i pazienti che non sono positivi, i familiari non hanno mai smesso di entrare in tutti questi mesi. Come abbiamo fatto? Abbiamo considerato, assumendocene la responsabilità, i nostri malati ( e i loro familiari) come “fragili e vulnerabili”, dizione presente in tutte le disposizioni ministeriali e regionale come motivo di eccezione al divieto di accesso ai familiari nelle strutture Ospedaliere. Abbiamo, però, regolato meglio il flusso, in modo da evitare assembramenti e il via-vai nella sala di attesa e in Rianimazione ( 1 solo familiare per malato, con possibilità di darsi il cambio ma non prima di 4 ore). Ma le 12 ore al giorno di presenza sono sempre state garantite. Come detto, non c’è motivo evidente per non aprire le terapie intensive.

Quali sono i maggiori benefici di una terapia intensiva aperta?
I benefici sul piano della “umanizzazione delle cure” sono molteplici e lungamente documentati. Tra questi, il più significato deriva dal fatto che la presenza del familiare è in moltissimi casi parte attiva della terapia, e quindi negare la presenza del familiare può significare non dare al malato tutta la terapia necessaria. I familiari presenti, infatti, danno una forte motivazione al malato nell’affrontare cure che possono generare sofferenza (pensate alla ventilazione nei caschi per 18-20 ore al giorno, 12 dei quali passati proni) e, nelle fasi di grande agitazione psico-motoria che accompagnano parti importanti del percorso di cura in T.I., ci permettono di ridurre la somministrazione di sedativi.

Invece, quali sono i maggiori ostacoli?
Le maggiori difficoltà si manifestano quando da T.I. chiusa comincia ad aprire la porta: timori, ritrosie e difficoltà di relazione personale sono ciò che rema contro. Ma la cosa rilevante è che una volta prese le misure, meno del 10% del personale medico e infermieristico di una T.I. aperta sarebbe disposto a tornare a lavorare in una T.I. chiusa.

La presenza del familiare è in moltissimi casi parte attiva della terapia e quindi negarla può significare non dare al malato tutta la terapia necessaria. I familiari presenti danno una forte motivazione al malato nell’affrontare cure che possono generare sofferenza: pensate alla ventilazione nei caschi

Le terapie intensive “Covid” sono un po’ diverse…
È vero. Ma proprio per questo è ancora più importante dare la possibilità a malati e familiari di vedersi, toccarsi (con 3 paia di guanti), maschera e visiera e sentirsi in presenza. Per il senso di impotenza che la pandemia ha generato in tutta la società, il Covid è spesso vissuto con terrore dai malati e dai familiari, ed è percepito come più grave di quel che clinicamente è. Ecco, allora, che aprire le rianimazioni Covid ridà il senso reale della malattia: grave, certamente, ma da trattare con razionalità e buon senso.

Per medici ed infermieri potrebbe non essere semplice lavorare sotto lo sguardo dei familiari, in particolare all'inizio: talvolta il parente è percepito dai sanitari come un’incombenza in più, non come una risorsa a beneficio di tutti. Come si può cambiare questa sensibilità?
I famigliari vanno accolti, accompagnati, sostenuti, rassicurati. A loro occorre dare risposte chiare, comprensibili e rispettose. Non basta aprire la porta.
Ma se medici e infermieri vedessero di persona cosa accade nei reparti dove i familiari hanno accesso si renderebbe subito conto che è semplice e vantaggioso per tutti. Persino per il nostro modo di lavorare: la presenza dei familiari, anche quando i malati sono non coscienti, risulta essere un potente “controllo di qualità” sul nostro operato, perché il familiare vede se, e come, noi “ci prendiamo cura”, “abbiamo cura” dei malati. Le denunce da parte dei familiari di malati che hanno avuto complicanze, o che sono deceduti, si sono di fatto azzerate da quando i familiari stessi hanno la possibilità di vedere.

Pensiamo ai famigliari che vivono la malattia a distanza e che spesso non riescono ad avere notizie di quello che al loro caro sta accadendo. Le conseguenze di quella distanza, di quel dolore, sono severe…
“Disturbo da stress post-traumatico” e “patologica elaborazione del lutto” sono conseguenze di rilievo clinico sui familiari di malati ricoverati in Terapia intensiva. Poter essere presenti è una terapia anche per loro.

Foto Unsplash

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