Volontariato
Assegno unico: ne va non solo la natalità ma il futuro del Paese
Occorre promuovere azioni per rendere meno insostenibili, sul lungo periodo, gli squilibri tra popolazione anziana e attiva. Diversamente sarà impossibile promuovere crescita, sviluppo e benessere, rendere sostenibile il sistema di welfare e consentire a ciascuno la possibilità di realizzare progetti di vita e percorsi individuali. L’assegno unico e universale è un primo segnale, non ancora sufficiente: serve un grande investimento sul capitale umano, sulle donne e sui giovani. Non ci saranno altre opportunità. È il momento di progettare il nostro futuro
di Vanna Iori
Alcuni giorni fa l’Istat ha certificato un ulteriore drammatico segnale sul fronte demografico con l’accentuazione al ribasso della denatalità a causa dell’emergenza sanitaria. L’esito è un numero di nati ai minimi storici (404mila) che rende ancor più ampio il divario record rispetto ai decessi (-342mila).
Dal 2008 questo trend negativo non si è mai arrestato, anzi ha accelerato la sua corsa. E oggi siamo scesi al livello più basso di nascite di sempre, siamo entrati in una fase di progressiva e inarrestabile riduzione delle potenziali madri e delle fasce centrali lavorative.
Anche per queste ragioni è molto importante l’approvazione dell’assegno unico e universale che va nella direzione di mettere ordine tra tutte le attuali forme di contributo che il sistema oggi riconosce alla famiglia e di corrispondere questo sostegno a tutti i contribuenti anche se lavoratori autonomi o dipendenti, con una maggiorazione a partire dal terzo figlio e una, prevista fra il 30 e il 50% in più a seconda della gravità, per i figli con disabilità. Quella dell’inverno demografico è una questione che riguarda nel vero senso della parola il futuro e che deve essere messa al centro del dibattito pubblico e dell’azione di governo.
Dice bene il professor Alessandro Rosina quando parla di questa come della “grande questione rimossa del nostro Paese”. Eppure sappiamo benissimo i costi economici e sociali di un rapporto sbilanciato tra popolazione anziana e giovani generazioni, in un quadro aggravato dall’enorme debito pubblico accumulato in questi anni. Appare chiara l’esigenza di porre adesso – perché domani sarà troppo tardi – un freno a questo dramma demografico che rischia di compromettere il futuro dell’Italia.
Questo significa promuovere azioni per rendere meno insostenibili, sul lungo periodo, gli squilibri tra popolazione anziana e attiva. Perché se non si agirà in questa direzione sarà impossibile promuovere crescita, sviluppo e benessere, rendere sostenibile il sistema di welfare e consentire a ciascuno la possibilità di realizzare progetti di vita e percorsi individuali, desideri e aspettative.
I prossimi mesi saranno decisivi solo se sapremo sfruttare le possibilità offerte dal Next Generation Eu e dalle misure di sostegno per la promozione di progetti e di cui l’assegno unico costituisce la prima parte. Dobbiamo tenere insieme l’investimento sulle opportunità formative e professionali delle nuove generazioni, le politiche familiari e uno strutturale investimento sulle donne. Bisognerà quindi rimettere al centro la scuola. Abbiamo dati preoccupanti in merito alla dispersione scolastica (primo posto in Europa) e una percentuale di laureati tra le più basse in Europa. E rimettere al centro politiche per la famiglia promuovendo la condivisione genitoriale dei ruoli di cura educativa.
L’assegno unico e universale è un pezzo importante che va integrato con uno strutturale potenziamento dei servizi per l’infanzia e con l'organizzazione del lavoro di cura per le persone fragili e non autosufficienti che ricade quasi sempre sulle spalle delle donne. Occorrerà rimettere al centro il tema dell’occupazione femminile con sostegni concreti alle madri che lavorano, congedi parentali estesi ai padri, sgravi fiscali per il lavoro delle donne che non deve essere sempre il primo ad essere sacrificato. Due redditi consentono a una famiglia di guardare alla costruzione di un progetto di futuro con maggiore serenità. Non è un caso del resto che i Paesi dove si fanno più figli sono oggi anche quelli che hanno indici di occupazione femminile più alti.
Si chiama “giacimento di Pil potenziale”: è quella quota di crescita in più che l’Italia potrebbe esprimere se sfruttasse davvero tutte le sue risorse. Siamo arrivati a un incrocio paradossale di bassa partecipazione e bassa fecondità. Dovremo costruire le condizioni perché non si abbia paura di prendere l'impegno di mettere al mondo una nuova vita. Così si può provare a superare la crisi demografica, altri Paesi – come la Svezia o la Francia – sono riusciti nell’inversione del trend.
Con l’assegno unico e universale diamo un primo segnale positivo di cui le famiglie hanno bisogno ma non ancora sufficiente se vogliamo arginare il declino demografico ed economico del Paese. Per farlo serve un grande investimento sul capitale umano, sulle donne e sui giovani. Abbiamo l'opportunità di farlo. Se non sapremo coglierla forse non ce ne saranno altre. È il momento di progettare il nostro futuro.
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