Cultura
Testimoni nella pandemia, sedici storie da ascoltare
Il racconto dell’esperienza vissuta da persone sconosciute al grande pubblico è al centro di “C’è una veste bianca anche per noi”, l’ultima opera di Vittore De Carli dedicata alla prima ondata pandemica in Lombardia. Un testo che nella prefazione l’arcivescovo di Milano definisce “un libro per conversare” dal momento che “la conversazione introduce alla verità perché dal particolare vissuto si avviano percorsi fatti di domande generali”
È passato oltre un anno dall’inizio della pandemia, in Italia si sono superati i 100mila morti e pochi giorni fa si è celebrata la prima giornata nazionale in ricordo delle vittime del Coronavirus. Da oltre 12 mesi il protagonista indiscusso sembra essere il virus, ma invece “protagoniste sono state le persone, quelle bisognose di cure e quanti si sono fatti carico di loro – del loro bene e del bene di tutti – con la cura, l’assistenza, la ricerca”, a scriverlo è Vittore De Carli autore del libro “C’è una veste bianca anche per noi” (Libreria Editrice Vaticana, pag. 130, 10 euro).
Un testo in cui l’autore lascia la parola a sedici storie, alcune raccontate dalla viva voce di chi è sopravvissuto e ha sconfitto la malattia, o ha lottato per assistere e curare, altre vicende, invece, nascono dal ricordo di chi ha conosciuto e amato persone che sono andate a comporre la lunga teoria delle vittime. Sono tutti protagonisti sconosciuti ai grandi media, ma sono loro i testimoni incontrati da Vittore De Carli, giornalista e presidente dell’Unitalsi Lombarda, associazione che proprio quest’anno celebra il suo centenario.
Ci sono tanti modi per celebrare il secolo di vita di un’organizzazione, «all’Unitalsi Lombarda è toccato un modo drammaticamente diverso: una pandemia che», ricorda De Carli «non solo ha lasciato tanti vuoti, ma ha colpito il suo compito fondante: il pellegrinaggio ai santuari mariani». Il libro è stato dedicato alla memoria di don Roberto Malgesini, il sacerdote della diocesi di Como ucciso il 15 settembre dello scorso anno da una delle tante persone che aiutava nella sua quotidiana missione di servizio ai più poveri.
Nella prefazione monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano parla di libri “da leggere” che spingono ad arrivare alla fine e libri “da studiare” per essere pronti agli esami, ci sono poi i libri “per fare”, manuali e guide, ma quello di De Carli non appartiene a nessuna di queste categorie “C’è una veste bianca anche per noi” (nell’immagine la copertina) è un “libro per conversare. In queste pagine si incontrano persone, famiglie, vicende strazianti, guarigioni benedette. Scorrendo le pagine del libro – continua Delpini – si ha l’impressione di accogliere in casa amici che vengono per visite gradite”. E ancora sottolinea “La conversazione è quella via che introduce alla verità del mondo e della vita attraverso l’esperienza. Ogni esperienza è singolare, irripetibile: ciascuno ha solo quello da dire. Non ha teorie generali, non ha la pretesa di insegnare”.
I sedici protagonisti sono tutte persone che, usando il linguaggio dell’Apocalisse cui attinge il titolo del libro che si rifà alla “veste bianca” dei martiri, cioè dei testimoni, hanno in comune l’essere passati attraverso la “grande tribolazione”.
In queste storie si mette in gioco il senso della vita e delle relazioni fondamentali con gli altri, con noi stessi, con Dio. Sono testimonianze che chiamano a «una sapienza più alta», come riconosce l’arcivescovo Delpini. E lo fanno attraverso il racconto di esperienze concrete, spesso drammatiche, sempre commoventi, dove nella tragedia della pandemia riescono a insinuarsi i raggi di sole di una solidarietà, un sorriso, una speranza. Incontrati camminando “nella compagnia” di amici e familiari, di medici, infermieri, cappellani. E di Dio.
Le uniche due storie ad aver avuto un’eco mediatica sono la malattia e la guarigione del vescovo di Cremona, Antonio Napolioni e il sacrificio di Gino Fasoli (ex presidente della sottosezione bresciana di Unitalsi), medico in pensione che rientrato in servizio per aiutare i colleghi nei primi giorni dell’emergenza è morto per il virus. Tutte le altre fanno incontrare il lettore con padri e madri, lavoratori, pensionati, sacerdoti, medici e persone con disabilità. Come Giamba, questo il soprannome tra gli amici e in famiglia di Gian Battista Nana, un giovane affetto dall’atassia di Friedreich (malattia degenerativa progressiva del sistema nervoso) di cui tutti ricordano il sorriso «contagioso», le trasferte a San Siro a tifare Milan, il pellegrinaggio a Roma durante il Giubileo del 2000. Ammalatosi di Covid insieme a sua madre, è morto il 16 marzo del 2020 a 38 anni, lo stesso giorno in cui la madre veniva ricoverata. C’è Carola Manzoni che inizia il suo racconto presentandosi come «una giovane donna di 51 anni. Sono sulla sedia a rotelle a causa di una malattia invalidante Quando sono stata ricoverata a causa del Coronavirus mi chiamavano Carolina, il mio nome di battesimo, e ogni volta che lo sentivo mi sembrava di vivere in una realtà che non era la mia». Di Carola colpisce alla fine del suo racconto il ritorno a casa dopo la malattia «a casa in carrozzina ci siamo trovate in tre: io, mia sorella e nostra madre (operata per una caduta –ndr.). La prima reazione? È stata chiedere a Dio “Ci sei o non ci sei?” (…)».
Scorrendo le pagine del libro si incontra poi Armando Pirola, volontario Unitalsi della sottosezione di Monza di cui si dice “Sapeva fare di tutto, ma soprattutto sapeva amare” e di cui parlano le tante testimonianze degli ospiti della Casa della Gioia di Borghetto Santo Spirito, la casa vacanze dell’Unitalsi lombarda in Liguria. E poi ci sono Maurizio Fadini e la sua invocazione alla Madonna e Raffaella Bignami di Codogno, Giuseppe Misani che ha visto Dio farsi presente negli amici e Roberto Biondo Barbati con il suo “G’ho voia pu da pregà” che a 81 anni riguarda la foto dell’ultimo pellegrinaggio alla Madonna della Salute in Liguria nel telefonino e pian piano ricomincia a pregare. E ancora il dottor Pietro Ceriana, primario di Pneumologia riabilitativa alla Maugeri di Pavia che racconta lo tsunami che si è abbattuto sulla Lombardia dalla parte di chi cura; e poi l’esperienza di due volontari che si sono ammalati Luigina Raggiotto d Meda, ed Ermanno Illuzzi di Milano. Ci sono don Michelangelo Finazzi assistente della sottosezione bergamasca di Bergamo che di sé dice «Ho vissuto la malattia e il lutto, come la mia gente» e don Mario Mauri che poche settimane prima dell’esplosione della pandemia che lo ha ucciso aveva confidato il suo desiderio di tornare a Lourdes.
Le ultime due testimonianze sono di Emilio Valsecchi, Lupetto dei Ragni di Lecco che a 83 ha vinto la cima più difficile, il Covid-19 e della dottoressa Valeria Benatti che opera in una Rsa in provincia di Mantova dove sono riusciti a tenere fuori dalla porta il Covid che nella prima ondata ha colpito duro soprattutto i più anziani e fragili.
Testimonianze semplici, raccontate in presa diretta da chi in questa pandemia che ancora è presente ha sofferto in prima persona e apre un dialogo con il lettore, una conversazione che non lascia indifferenti.
Anche questo libro di Vittore De Carli come i precedenti (ne abbiamo parlato qui e qui ) contribuirà alla realizzazione della casa di accoglienza per le famiglie dei bambini in cura nei nosocomi milanesi e intitolata a Fabrizio Frizzi che l’Unitalsi sta per realizzare.
In apertura image by roegger from Pixabay
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