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Come il Covid sta cambiando la testa di bambini e adolescenti

Uno dei molti “effetti collaterali” dovuti al virus è stato l’aumento dell’aggressività nei giovani ed un acuirsi dei disturbi psicosomatici. Dialogo con Chiara Pala, terapista neuroriabilitativa dell’equipe della cooperativa sociale l’Arcobaleno che opera all’interno del reparto di neuropsichiatria dell’ospedale Manzoni di Lecco da quasi dieci anni

di Luca Cereda

Nel nostro Paese, da quando ha avuto inizio la pandemia da Covid-19, ci sono stati molti “effetti collaterali”. Uno di questi è stato l’aumento dell’aggressività nei giovani ed un acuirsi dei disturbi psicosomatici: «Questi sono fra i primi disturbi degli adolescenti, ma anche nei preadolescenti durante la pandemia – commenta la dottoressa Chiara Pala, terapista neuroriabilitativa dell’equipe della cooperativa sociale l’Arcobaleno che opera all’interno del reparto di neuropsichiatria dell’ospedale Manzoni di Lecco da quasi dieci anni -. Con il lockdown e le sue successive fasi la famiglia ha rivestito tre ruoli: è stata al tempo stesso luogo di lavoro, di studio ma anche di isolamento e le conseguenze che oggi ravvisiamo, dati alla mano, su bambini ed adolescenti sono allarmanti».

Con la pandemia è aumentato il disagio giovanile

Secondo lo studio della Società italiana delle cure primarie pediatriche, effettuato su duemila pediatri, l’80% dei medici segnala un aumento di comportamenti problematici e quasi la totalità (98%) lo segnala sui bambini. In questo contesto sanitario e sociale molto delicato soprattutto per i bambini, «neuropsichiatria è, risaputo, è una parola che fa paura, spaventa i genitori e ovviamente anche i ragazzi, giovani e giovanissimi». Ma la paura è frutto di uno stigma culturale.

«Da noi – continua la dottoressa Pala – la presa in carico avviene attraverso un team multidisciplinare, composto da medici psichiatri, ma anche terapisti come nel mio caso che hanno il compito non solo della diagnosi da dell’adattamento della terapia di cura adattata ad ogni caso di singolo, mediando anche con la famiglia».

Questo anno di pandemia ha messo alla prova tutti, a maggior ragione i ragazzi, penso agli adolescenti e ai preadolescenti che si stavano costruendo un’identità e un ruolo nel mondo: «quel mondo non è stato spazzato via, ma è cambiato radicalmente da un giorno con l’altro. Da un anno è mutata la loro quotidianità e questo ha portato a far crescere il numero dei disturbi che toccano bambini e adolescenti: ansia e panico soprattutto».

I ragazzi non possono essere solo “effetti collaterali”


La pandemia Covid-19 ha infatti ridotto le attività dei Servizi di Salute mentale nel nostro Paese per cui il 20% dei Centri ambulatoriali è rimasto chiuso e il 25% ha ridotto gli orari di accesso, secondo uno studio della Società Italiana di Psichiatria (SIP). Tutte le attività hanno avuto una significativa diminuzione, come i consulti psichiatrici ospedalieri (-30%), le psicoterapie individuali (-60%), le psicoterapie di gruppo e gli interventi psicosociali (-90/95%).

«Separati dai compagni e senza la scuola in presenza a fare da ammortizzatore di stress, disagi e disturbo mentale, con la costruzione di relazioni positive in un contesto con una valenza educativa, i ragazzi spesso hanno trascorso le ore a chattare, giocare ai videogames ma anche solo a fissare il soffitto. Abbiamo visto che sono aumentati i problemi di sonno, ansia, irritabilità, che in alcuni casi è sfociata in aggressività verso i genitori e se stessi», continua Chiara Pala. Finita l’emergenza, ci vorrà del tempo prima che i ragazzi si riabituino alle interazioni umane e soprattutto a farli uscire di casa.

Non è finita qui: «Alla collera e all’aggressività verbale, nel caso dei più grandi, si associano anche le prime forme di ansia, tristezza e bassa autostima, mentre fra i disturbi psicosomatici i più diffusi sono il mal di testa ed il mal di pancia», continua la dottoressa Pala che all’ospedale di Lecco assiste a casi del genere ogni giorno da un anno a questa parte. A risentirne non è solo l’umore, ma anche una serie di azioni: «le lezioni scolastiche online comportano difficoltà di concentrazione ed attenzione, nonché un generale rifiuto di fare i compiti anche in ragazzi che fino a questo periodo non avevano dato segnali di insofferenza verso l’attività didattica. Questi sono tutti segnali tangibili di disturbi da stress post traumatico relativi al comportamento».

Quando il dialogo tra Terzo settore e sanità pubblica funziona

La pandemia ha poi agito su situazioni delicate che l’età dello sviluppo e l’adolescenza prevedono e che già venivano prese in carico dai servizi prima dell’avvento del virus. «Malgrado tutto tutto ciò, che va detto e ridetto, la pandemia ha aiutato chi fa il nostro lavoro in neuropsichiatria a scardinare paure e miti, radicati ancor più nei genitori che nei ragazzi: la pandemia ha dato a tutti il tempo per guardarsi dentro, confrontarsi con le proprie paure e fragilità, soprattutto quello che hanno a che fare con la mente. Questo ha permesso un’emersione di richiesta d’aiuto».

Bisogna considerare però anche l’onda lunga di questi disagi o disturbi nei ragazzi, e il fatto che li accompagnerà anche finita l’emergenza, per cui è importante agire, investendo sulla salute mentale, sebbene manchino strutture psichiatriche ad hoc, acuendo le difficoltà delle stesse famiglie che hanno un problema e non sanno dove andare. «La nostra esperienza permette di intrecciare le competenze di cura del terzo settore, la sua attenzione dalla persona e alle sue fragilità, con le competenze mediche e sanitarie all’interno dell’ospedale. Unire le forze ci permette di integrare le terapie più efficaci con la cura migliore: ovvero, la prevenzione e l’affiancamento – appena si manifestano sintomi di disturbo – dei ragazzi», conclude Chiara Pala. Giovani che hanno bisogno più che mai oggi di essere ascoltati e non lasciati soli.

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