Politica
Un nuovo sociale europeo? Chiediamo ai giovani come costruirlo
«Non possiamo pensare che possa essere la politica, oggi sempre più autoreferenziale e sempre meno autosufficiente, a raccogliere in via esclusiva queste istanze di cambiamento. Abbiamo la nostra parte di responsabilità», spiega il direttore di Ashoka Italia Federico Mento, «Perché non chiedere alle giovani generazioni come costruire questo percorso di convergenza? Chi meglio di loro potrà indicarci la strada?»
Circa 20 anni fa, prendeva finalmente corpo il sogno dell’Europa unita. Con alle spalle l’improvvisa e rovinosa dissoluzione del socialismo reale, la democrazia occidentale aveva riportato una vittoria definitiva su ogni opzione che prevedesse il superamento del mercato. Si apriva un periodo che avrebbe consentito di prosperare grazie ad una costante crescita dei settori produttivi, ormai liberati dall’imbarazzo redistributivo. Lo stato minimo, la competizione, una nuova regolamentazione degli scambi, le liberalizzazioni avrebbero impresso un’accelerazione senza precedenti alla creazione di valore e, quindi, determinato un miglioramento costante delle condizioni di vita.
In occasione del Consiglio Europeo di Lisbona, nel marzo del 2000, i Paesi membri, nelle conclusioni della presidenza portoghese, si diedero un obiettivo molto sfidante per il decennio successivo: “diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”.
A distanza di 20 anni, l’Europa non solo non si è avvicinata a quell’obiettivo, ma è oggi attraversata da tensioni profonde, epifenomeno di una crisi strutturale che è, allo stesso tempo, sociale, culturale ed economica. Alle crescenti incomprensioni sul ruolo dell’Europa, dalla crisi del debito, affrontata a colpi di quantitative easing, al rafforzamento delle opzioni sovraniste sino alla più recente Brexit, si è innestato come un poderoso cuneo la pandemia Covid19. Gli effetti sono drammatici, sia in termini di vite umane sia per l'accelerazione impressa alle crescenti disuguaglianze. In questo quadro di profonda incertezza sul futuro, agli occhi di molti, Next Generation EU assume una dimensione quasi messianica, potremmo “salvare” l’Europa solo grazie agli investimenti previsti dal piano.
Eppure, nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. La sfida che ci attende è creare “otri nuovi”, partendo, in primo luogo, da noi stessi, con trasparenza e radicalità. Per anni, ci siamo accapigliati sulla necessità di preservare il modello sociale europeo, inseguendo però l’immagine fantasmagorica di qualcosa che stava cessando di esistere. Oggi l’urgenza non può essere quella di proteggere i ruderi del welfare state, ma avere l’ambizione ed il coraggio di disegnare la pianta di quello che pensiamo sarà lo stato sociale del prossimo futuro. Uscire finalmente dalle strettoie del ‘900, alimentando un pensiero nuovo, visionario, saldo però nei suoi principi: garantire piena inclusione ed opportunità a tutte e tutti. Non possiamo pensare che possa essere la politica, oggi sempre più autoreferenziale e sempre meno autosufficiente, a raccogliere in via esclusiva queste istanze di cambiamento. Abbiamo la nostra parte di responsabilità, dobbiamo trovare nuove forme per esercitarla, dentro le nostre organizzazioni, nelle comunità, nella ricerca, nelle istituzioni. Ciò implica mettere in discussione le leadership, non con la preponente illusione della rottamazione, ma ripensando ad una differente modalità in cui tutti siamo co-leader del cambiamento.
Generosità ed empatia, per sapere quando fare un passo di lato, oppure assumerci l’onere di guidare un percorso. Aprire spazi per le giovani generazioni che preferiamo relegare alla narrazione sensazionalistica, piuttosto che comprenderne bisogni ed aspirazioni. Su questo terreno, si gioca davvero la speranza della ripresa, poi ci saranno le risorse, strumentali a perseguire questi obiettivi.
Come possiamo far incontrare le tante energie in movimento che hanno paradossalmente la medesima traiettoria? Stati generali, Forum…tutte forme del passato che non scaldano i cuori e non solleticano l’intelletto. Perché non chiedere alle giovani generazioni come costruire questo percorso di convergenza? Chi meglio di loro potrà indicarci la strada?
*Federico Mento, direttore di Ashoka Italia
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