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Luca Attanasio e la necessitá del Ministero della Pace

Anche a Bogotá la notizia dell’attentato all’ambasciatore Attanasio rimbalza su vari mass-media internazionali come El Espectador, The Guardian, El Comercio, Telesur e si riapre un dibattito importante: perché non dotare il nostro Paese di un dicastero ad hoc?

di Cristiano Morsolin

Era uno degli ambasciatori italiani più giovani al mondo: 44 anni. Attanasio era sposato con Zakia Seddiki, di fede islamica, fondatrice e presidente dell’associazione umanitaria “Mama Sofia” che opera nelle aree più difficili del Congo.

Il Senatore Sandro Ruotolo sottolinea su twitter che «nell’attacco a un convoglio Onu nel Congo sono stati uccisi l’ambasciatore Attanasio e un carabiniere, Vittorio Iacovacci, l'autista congolese Mustapha Milambo Baguma, del convoglio umanitario del Programma Mondiale di Alimenti PAM su cui viaggiavano. Una notizia che ci sconvolge ma che ci riporta alla realtà, alle guerre “dimenticate” che con la pandemia abbiamo ulteriormente rimosse»..

Sarebbe stato un tentativo di rapimento, ma la Presidente della Corte Penale Internazionale CPI, Fadou Bensouda, «condanna energicamente l’attacco al convoglio umanitario e di peacekeeping delle Nazioni Unite, che costituisce un crimine nell’ambito dello Statuto di Roma della CPI».

Contribuire al raggiungimento della pace

«Tutto ciò che noi in Italia diamo per scontato non lo è in Congo dove purtroppo ci sono ancora tanti problemi da risolvere. Il ruolo dell’ambasciata è innanzitutto quello di stare vicino agli italiani ma anche contribuire per il raggiungimento della pace»

Con queste parole il diplomatico Attanasio, aveva ricevuto lo scorso ottobre il Premio Internazionale Nassiriya per la Pace 2020 "per il suo impegno volto alla salvaguardia della pace tra i popoli” e “per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari distinguendosi per l’altruismo, la dedizione e lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà".

«Era un diplomatico bravo e moderno – ricorda Mario Giro, grande esperto d’Africa con la Comunità di Sant’Egidio e che ha incontrato Attanasio da viceministro degli Esteri – che agiva interpretando lo spirito nuovo del ministero degli Affari esteri, che comprende da qualche anno anche la cooperazione. E lui la intendeva anche in senso economico, voleva rilanciare il ruolo dell’imprenditoria italiana in Congo facendo conoscere il meglio del nostro Paese. Al tempo stesso aveva una grande sensibilità verso i poveri. Era un vero credente».

Appena qualche giorno fa l’Unicef denunciava una situazione di grave rischio per oltre 3 milioni di bambini sfollati, in questa enclave strategica per la ricchezza di risorse naturali come petrolio, uranio, cobalto, oggetto del controllo mafioso di multinazionali e di Stati Falliti, considerando anche la guerra fratricida di Rwanda e Repubblica Democratica del Congo RDC (grande 8 volte l’Italia e ha 80 milioni di abitanti).

Luca Attanasio non era un ambasciatore in giacca e cravatta, ma era abitutato a incontrare i popoli fin dai tempi dall’oratorio in Brianza, nel dicembre del 2005, aveva organizzato l’ospitalità per i giovani venuti a Milano per partecipare all’incontro ecumenico della comunità di Taizè.

Qui in America Latina i TG diffondono la foto di Attanasio esanime, in una jeep sgangherata che corre verso l’ospedale di Goma della MONUSCO, la missione ONU per la RDC che da diversi decenni cerca di essere forza di pace nel Paese.

Attanasio muore in jeans neri e scarpe sportive sporche di terra, simbolo eloquente della cultura dell’incontro tanto cara anche a Papa Francesco, di quella terra africana che l’ha reso martire, lasciando Zakia Seddiki, marocchina, vedova dell'ambasciatore, "consulente e mamma di tre bimbe".

Maria Rita Gallozzi, cooperation projects in sub-Saharian Africa, aggiunge che «era un uomo di pace, ha sempre preso posizione sulla guerra e sulle vendite d’armi in quella zona dell’Africa centrale conosciuta, purtroppo, per il fenomeno dei bambini soldato».

Una strage all’ombra della civiltà occidentale?

Archiviare la strage nella foresta congolese come un fatto lontano, di un popolo all’ombra della civiltà occidentale, sarebbe troppo facile. “Quello che sta succedendo in Congo, in Kivu, in Africa, è davvero la retroguardia della civiltà?” – si chiede Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, la “diplomazia parallela” che ha promosso accordi di pace in Mozambico e Sudan. “Sono davvero le stesse zone geografiche che gli antichi romani segnavano sulla cartina con la scritta Hic sunt leones?”.

In verità, il cosiddetto “mondo civilizzato” ha le sue responsabilità. Come scrive Mario Giro nel suo libro Guerre nere (Guerini Edizioni), l’Africa sta diventando «il laboratorio di una globalizzazione senza misericordia né benevolenza». Il primato dell’interesse economico sull’uomo, sulla preservazione della comunità va di pari passo con il suicidio, o l’assassinio dello Stato. «Penso alle popolazioni spostate per far spazio allo sfruttamento delle materie prime, dal coltan al cobalto, alla natura distrutta», conclude Riccardi, ministro della cooperazione internazionale nel governo Monti.

La missione Monusco conta oltre 20.000 uomini sul terreno preposti a garantire sicurezza alla popolazione e vanta una attrezzatura di primordine, capace a fronteggiare eserciti organizzati. Da molti sono accusati di assistere inermi ai massacri, da altri addirittura di parteciparvi: i caschi blu in Congo sono ormai da anni sotto la pressione di ampli settori della società civile.

«Ma cosa dire dell’Europa tanto preoccupata dalla mobilità umana che proviene dalla sponda africana? – si domanda il missionario Giulio Albanese; sarebbe ora che uscisse dal letargo sostenendo tutte le possibili iniziative a livello negoziale per amore del popolo congolese e per onorare la memoria del nostro ambasciatore, uomo di pace e di solidarietà».


Anche sulla missione delle Nazioni Unite per la pacificazione in Colombia pesano ombre e contraddizioni. C'è silenzio da 7 mesi, dove le autorità colombiane non hanno rilasciato dichiarazioni nè fornito ulteriori dettagli dopo l’autopsia, eseguita 2 giorni dopo la morte di del cooperante napoletano Mario Paciolla (avvenuta il 16 luglio 2020) e con responso di suicidio, al centro di uno scandaloso muro di gomma, visto che il massacro di 8 minori in un campamento nel Caguan della dissidenza della ex-guerriglia Farc (oggi partito presente in parlamento, grazie agli accordi di pace del 2016 ) documentato da Paciolla, ha provocato la caduta del Ministro della Difesa, Botero.

Uno sguardo dalla Colombia

Ne discuto insieme a Karen, 27 anni, giovane insegnante volontaria della Comunitá di Sant’Egidio in Colombia, bevendo una cioccolata di fronte alla Universitá Javeriana dei gesuiti di Bogotá.

Mi parla del suo annunciare il Vangelo attraverso l’educazione popolare nella periferia di Alto de Cazuca, una baraccopoli violenta, magari simile a Goma, Congo… Ed è appena espolosa la scandalosa denuncia di 6000 giovani uccisi della esercito governativo attraverso “falsos positivos” (ricompense dell’esercito che ha assassinato illegalmente migliaia di giovani poveri delle periferie per mostrarli come “trofei di guerra”, come guerriglieri abbattuti) durante la presidenza di Uribe (2008-2010), oggetto di investigacion della Corte Penale Internazionale, la stessa CPI che indagó la morte di ben 5 milioni di vittime nell’ex Zaire, tra 1996 e 2003.

Geografie di esclusione e morte lontane, ma unite dalla stessa utopia di costruire speranza anche in mezzo a storici conflitti e guerre.

Per questi motivi, per fare memoria di Luca Attanasio, di altri “costruttori di ponti e di pace in zone di guerra e conflitti strutturali” come Mario Paciolla e Giulio Regeni, il nuovo Governo Draghi dovrebbe promuovere il MINISTERO DELLA PACE, come richiesto da varie voci della societá civile italiana come Comunitá Papa Giovanni 23, FOCSIV, CIPSI, Osservatorio SELVAS.

«In questo momento il Paese è gravido di conflitti sociali e politici acuiti dalla pandemia, che solo se sapientemente e prospetticamente affrontati, può ridursi il rischio che degenerino ulteriormente fino a divenire insolubili. Riteniamo per tanto doveroso chiederle, se lo riterrà, di porre nell’agenda politica del governo che si è impegnato a formare una sostanziale attenzione alla Pace, attraverso l’istituzione del Ministero della Pace» scrive Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII al Primo Ministro Mario Draghi.

*Esperto di diritti umani in America Latina, dove vive dal 2001.

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