Welfare

Più domicilio e continuum delle cure: ripensare le case di riposo

La Pontificia Accademia per la Vita, presieduta da mons Vincenzo Paglia, ha presentato oggi un poderoso documento che indica la necessità di ripensare il modello di cura e assistenza degli anziani più fragili. Il domicilio diventa centrale. Non si tratta di cancellare le strutture residenziali ma di mettere al centro la persona, superando l'idea di servizi standardizzati

di Redazione

«A livello culturale e di coscienza civile e cristiana, è quanto mai opportuno un profondo ripensamento dei modelli assistenziali per gli anziani». «Abbiamo bisogno di una nuova visione, di un nuovo paradigma che permetta alla società di prendersi cura degli anziani». Lo dice il poderoso documento della Pontificia Accademia per la Vita presentato oggi, dal titolo “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”.

«I dati dei decessi sono brutali nella loro crudeltà. A tutt’oggi si parla di più di 2,3 milioni di anziani morti per il Covid-19, la maggioranza dei quali ultrasettantacinquenni. Una vera e propria “strage di anziani”. E la maggioranza di essi è deceduta negli istituti per anziani», ha detto monsignor Vincenzo Paglia presentando il documento. «I dati di alcuni paesi – ad esempio l’Italia – mostrano che la metà degli anziani vittime da Covid-19 viene dagli istituti e dalle Rsa, mentre solo un 24 per cento del totale dei decessi riguarda gli anziani e i vecchi che vivevano a casa. Insomma, il 50% delle morti è avvenuto tra i circa 300.000 ospiti di case di riposo ed RSA mentre solo il 24% ha colpito i 7 milioni di anziani over 75 che vivono a casa. La propria dimora, anche durante la pandemia, a parità di condizioni, ha protetto molto di più. E tutto questo si è ripetuto in Europa e in tante altre parti del mondo. Una ricerca dell’Università di Tel Aviv sui paesi europei ha evidenziato la relazione proporzionale diretta tra numero di posti letto nelle RSA e numero dei morti anziani. In ogni paese rimane sempre identica la proporzione: al crescere dei posti letto risulta aumentato anche il numero delle vittime nella popolazione anziana. Non credo sia un caso. Quanto è accaduto tuttavia impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la immediata ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli. D’altra parte, sarebbe incomprensibile un silenzio colpevole e sospetto. È urgente ripensare globalmente la prossimità della società verso gli anziani. Nel sistema di cura e assistenza degli anziani molto è da rivedere. L’istituzionalizzazione degli anziani nelle case di riposo, in ogni paese, non ha garantito necessariamente migliori condizioni di assistenza, tanto meno per chi tra loro è più debole. È necessario un serio ripensamento non solo relativamente alle residenze per gli anziani ma per l’intero sistema assistenziale del vasto popolo di anziani che oggi caratterizza tutte le società».

Qui una sintesi dei passaggi salienti rispetto alla proposta di riorganizzazione del sistema di cura e assistenza degli anziani.


«Durante la prima ondata della pandemia una parte considerevole dei decessi da Covid-19 si è verificato nelle istituzioni per anziani, luoghi che avrebbero dovuto proteggere la “parte più fragile della società” e dove invece la morte ha colpito sproporzionatamente di più rispetto alla casa e all’ambiente familiare. Il capo dell’Ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che nella primavera del 2020 fino alla metà dei decessi per coronavirus nella regione sono avvenuti nelle case di cura: una “tragedia inimmaginabile”, ha commentato. Dai calcoli comparati dei dati si rileva che la “famiglia”, invece, a parità di condizioni, ha protetto molto di più gli anziani. L’istituzionalizzazione degli anziani, soprattutto dei più vulnerabili e soli, proposta come unica soluzione possibile per accudirli, in molti contesti sociali rivela una mancanza di attenzione e sensibilità verso i più deboli, nei confronti dei quali sarebbe piuttosto necessario impiegare mezzi e finanziamenti atti a garantire le migliori cure possibili a chi ne ha più bisogno, in un ambiente più familiare. […] È perciò quanto mai opportuno avviare una riflessione attenta, lungimirante e onesta su come la società contemporanea debba farsi “prossima” alla popolazione anziana, soprattutto laddove sia più debole. Peraltro, quanto è accaduto durante il Covid-19 impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli e, di contro, che si alzi un coro in difesa degli ottimi risultati di chi ha evitato il contagio nelle case di cura. Abbiamo bisogno di una nuova visione, di un nuovo paradigma che permetta alla società di prendersi cura degli anziani».

La lezione della pandemia

Secondo il documento «vi è senz’altro il dovere di creare le condizioni migliori affinché gli anziani possano vivere questa particolare fase della vita, per quanto possibile, nell’ambiente a loro familiare, con le amicizie abituali. Chi non vorrebbe continuare a vivere a casa propria, circondato dai propri affetti e dalle persone più care anche quando diventa più fragile? La famiglia, la casa, il proprio ambiente rappresentano la scelta più naturale per chiunque. Certo, non sempre tutto può rimanere invariato rispetto a quando si era più giovani; a volte sono necessarie soluzioni che rendono verosimile una cura domiciliare. Ci sono situazioni in cui la propria casa non è più sufficiente o adeguata. In questi casi è necessario non farsi irretire da una “cultura dello scarto”, che può manifestarsi in pigrizie e mancanza di creatività nel cercare soluzioni efficaci quando vecchiaia significa anche assenza di autonomia. Mettere al centro dell’attenzione la persona, con i suoi bisogni e suoi diritti è espressione di progresso, di civiltà e di autentica coscienza cristiana. La persona, dunque, deve essere il cuore di questo nuovo paradigma di assistenza e cura degli anziani più fragili. Ogni anziano è diverso dall’altro, la singolarità di ogni storia non può essere trascurata: la sua biografia, il suo ambiente di vita, le sue relazioni attuali e passate. Per individuare nuove prospettive abitative ed assistenziali è necessario partire da un’attenta considerazione della persona, della sua storia e delle sue esigenze. L’implementazione di tale principio implica un articolato intervento a diversi livelli, che realizzi un continuum assistenziale tra la propria casa e alcuni servizi esterni, senza cesure traumatiche, non adatte alla fragilità dell’invecchiamento».

Un nuovo modello di cura e di assistenza degli anziani più fragili

«Un’attenzione particolare va riservata alle abitazioni perché siano adeguate alle esigenze dell’anziano: la presenza di barriere architettoniche o l’inadeguatezza dei presidi igienici, la mancanza di riscaldamento, la penuria di spazio devono avere delle soluzioni concrete. Quando ci si ammala o si diventa deboli, qualsiasi cosa può trasformarsi in un ostacolo insormontabile. L’assistenza domiciliare deve essere integrata, con la possibilità di cure mediche a domicilio e un’adeguata distribuzione di servizi sul territorio. In altre parole, è necessario e urgente attivare una “presa in carico” dell’anziano laddove si svolge la sua vita. Tutto ciò richiede un processo di conversione sociale, civile, culturale e morale. Poiché solo così è possibile rispondere in maniera adeguata alla domanda di prossimità degli anziani, soprattutto dei più deboli ed esposti.

Vanno incrementate le figure dei care-giver, professioni già da anni presenti nelle società occidentali. Ma ci sono anche altre professionalità che vanno inquadrate all’interno di cornici normative, tali da valorizzare i talenti e sostenere le famiglie. Tutto ciò può consentire agli anziani di vivere in maniera “familiare” questa fase dell’esistenza.

Grande supporto può derivare dalle nuove tecnologie e dai progressi della telemedicina e dell’intelligenza artificiale: se ben utilizzati e distribuiti, possono creare, attorno all’abitazione dell’anziano, un sistema integrato di assistenza e cura capace di rendere possibile la permanenza nella propria casa o in quella dei propri familiari. Un’alleanza attenta e creativa tra famiglie, sistema socio-sanitario, volontariato e tutti gli attori in campo, può evitare ad una persona anziana di dover lasciare la propria abitazione. Non si tratterebbe, dunque, solo di aprire strutture con pochi posti letto, o di fornire un giardino o un animatore per il tempo libero. È necessaria, piuttosto, una personalizzazione dell’intervento sociosanitario e assistenziale. Essa potrebbe costituire una risposta concreta all’invito dell’Unione Europea a promuovere nuovi modelli di cura per gli anzian. In tale orizzonte vanno promosse con creatività e intelligenza l’independent living, l’assisted living, il co-housing e tutte quelle esperienze che si ispirano al concetto-valore dell’assistenza reciproca, pur consentendo alla persona di mantenere una propria vita autonoma».

Riqualificare la casa di riposo in un “continuum” socio-sanitario

«Alla luce di queste premesse, le case di riposo dovrebbero riqualificarsi in un continuum socio-sanitario, ossia offrire alcuni loro servizi direttamente nei domicili degli anziani: ospedalizzazione a domicilio, presa in carico della singola persona con risposte assistenziali modulate sui bisogni personali a bassa o ad alta intensità, dove l’assistenza sociosanitaria integrata e la domiciliarità rimangano il perno di un nuovo e moderno paradigma. […] Tutto questo rende ancora più evidente la necessità di supportare le famiglie che, soprattutto se costituite da pochi figli e nipoti, non possono sostenere da sole, presso un’abitazione, la responsabilità a volte logorante di prendersi cura di una malattia esigente, costosa in termini di energie e di denaro. Va reinventata una rete di solidarietà più ampia, non necessariamente ed esclusivamente fondata su vincoli di sangue, ma articolata secondo le appartenenze, le amicizie, il comune sentire, la reciproca generosità nel rispondere ai bisogni degli altri. […] Il paradigma che si intende proporre non è astratta utopia o ingenua pretesa, può invece innervare e nutrire anche nuove e più sagge politiche di salute pubblica e originali proposte di un sistema assistenziale più adeguato alla vecchiaia. Più efficaci, oltre che più umane. Lo richiede un’etica del bene comune e il principio del rispetto della dignità di ogni singolo individuo, senza distinzione alcuna, neppure quella dell’età».

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