Politica

Un memo per Draghi, il Terzo settore riserva preziosa della Repubblica

È tempo di una classe dirigente capace di perseguire il bene comune. Il Terzo settore è fatto da uomini e donne allenati a perseguire il bene comune e a comporre interessi diversi guardando ai più fragili e a chi ha più bisogno. Dal Terzo settore la chance di una nuova leadership?

di Riccardo Bonacina

«Le democrazie si reggono se ed in quanto ci si affida in primo luogo a se stessi, alla propria disponibilità ad essere cittadini attivi, a concorrere comunque al miglior esercizio delle funzioni pubbliche. Esse non offrono appagamenti, offrono spazi, opportunità, percorsi che dobbiamo fare. E se pochi occupano gli spazi, raccolgono le opportunità, si cimentano nei percorsi, la democrazia non sarà più sé stessa», così ragiona il Vicepresidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, una lunga carriera politica alle spalle. Lo fa sulla rivista della Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione “Auxilum” in forma di saggio e in breve su 7 il settimanale del Corriere della sera in un dialogo con Dario Di Vico.

Per il futuro delle nostre democrazie in crisi, continua Amato: «Ciò che conta è che questa partecipazione ci sia e che ci sia come attenzione alla cosa pubblica esercitata – sia chiaro – nelle forme più diverse, non necessariamente in quelle proprie della politica o delle funzioni pubbliche, ma anche attraverso la vita associativa. La democrazia non c’è senza coesione sociale».

E ne conclude «Oggi il problema è fornire classi dirigenti politiche a un Paese che non ha più serbatoi da cui attingere. Nel volontariato, invece, ci sono milioni di persone che si occupano quotidianamente dell’interesse collettivo. E allora è tempo che il Terzo settore la smetta di lamentarsi della mediocrità del ceto politico e dica “Tocca a noi”».

Un invito che l’edtorialista de Il Corriere della sera Dario Di Vico rilancia così: “Il Paese sta prendendo coscienza di non avere ricambio della classe politica e nel frattempo i vecchi serbatoi hanno finito l’acqua. Associazioni e sindacati assomigliano ad altrettanti musei delle cere, hanno smarrito il senso della loro azione e molto del loro tempo è speso nella cura non degli altri ma dei riti interni”.

Se è vero che il Terzo settore è ambito che in cui viene coltivata la responsabilità verso l’altro, la fiducia nell’altro e nell’azione comune che sono ingredienti essenziali per spingere una società verso obiettivi comuni mantenendo ferme le garanzie e i diritti di chi non ne fa parte, bisognerebbe, seguendo l’invito di Amato, rivolgersi al Terzo settore in maniera diversa da quella con cui sino a qui la politica ha guardato e usato dei leader del Terzo settore considerato una come una riserva di bravi ragazzi non usurati dal potere e tendenzialmente “puliti” e come riserva di competenze esclusivamente sociali. Il metodo è stato quello della cooptazione e sussunzione di leader che non ha mai quasi prodotti risultati felici né per il Paese né per il Terzo settore.

Occorre davvero un capovolgimento culturale. Occorre he la politica capisca che il Terzo settore e la pluralità di forme dell’economia sociale e civile sono il motore primo di uno sviluppo che si voglia sostenibile e inclusivo. Occorre che la politcia infine capisca che i milioni di cittadini impegnai nel Terzo settore (6 milioni di volontari e 1 milione di occupati) sono un giacimento necessario a cucire un tessuto sociale più coeso e capace di immaginare il futuro.

E occorre che la politica, che infine pare abbia capito che la complessità dei fenomeni con cui abbiamo a che fare richiede competenza invece dell’insipienza degli scappati da casa, non guardi al Terzo settore neppure come lobby o corporazione. Ovviamente è importante che anche il Terzo settore non si concepisca così.

Ci deve essere una luce in fondo al tunnel della disgregazione anche politica dovuta all’individualismo ed è la cultura della cittadinanza attiva, della solidarietà e della responsabilità, che sola può tessere una coesione finalizzata al futuro capace di prevalere sulle opposte ostilità distruttive.

Scrive Amato: «È questa, allora, la sfida che il terzo settore dovrebbe accettare: caricare su di sé responsabilità anche politiche, per reincludere la politica nei circuiti virtuosi che esso tiene vivi, tenendo vivi così anche in essa l’impegno solidale, la responsabilità verso l’altro, la fiducia nell’altro e nell’azione comune».

Parliamone, verrebbe da dire, ma la politica, quella dei partiti, sarà disposta a cedere pezzi di sovranità rinunciando alle logiche di un neo-collateralismo o ancor peggio clientelari?

Stanno anche fiorendo le scuole di formazione politica organizzate da organizzazioni della società civile, da Connessioni alla Fondazione per la Sussidiarietà, da Scuola di mobilitazione politica promossa tra gli altri da da Forum Disuguaglianze e Diversità ai corsi della Scuole di Economia civile (Sec).

Forse il frangente che vede l’incarico a un presidente del Consiglio come Mario Draghi che sin dalla prima dichiarazione ha detto di voler ascoltare le parti sociali riconoscendole come gamba necessaria insieme al Parlamento sovrano, può essere occasione di riflessione e di proposta. Per esempio, per indicare la necessità dentro il Ministero dell’economia di un viceministro all’economia sociale e civile come succede in Francia, un ministero che diventi riferimento dell’economia solidale e sostenibile che è una delle grandi scommesse del Terzo settore. Per dare nuova consistenza e visione al ministero Affari sociali o a quello degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. Prevedendo agli Affari sociali una delega apposita al Terzo settore per portare a terra la Riforma che compie già 3 anni. E ribadendo che il Terzo settore è motore trasversale che riguarda le scommesse educative, quelle di una sanità di prossimità, quello della fruizione dei beni culturali, della transizione ecologica e digitale e non solo specialistico e confinato nel settore dell’assistenza sociale. E ha dimostrato in questi anni di poter spendere fondi privati e pubblici rendicontando ogni centesimo, know how di cui le strutture dello Stato hanno un bisogno assoluto.

Tutte scommesse che abbisognano di una rapida realizzazione della Riforma del Terzo settore rimasta in mezzo al guado grazie al Conte 1 e Conte 2. E che chiedono uomini e donne allenati a perseguire il bene comune e a comporre interessi diversi guardando ai più fragili e a chi ha più bisogno. Se è vero, come persino i cacciatori di teste e i selezionatori di personale ormai sostengono che chi ha esperienze in organizzazioni di Terzo settore ha un vantaggio competitivo in competenze pluridisciplinare e in problem solving, potrebbe essere questo il tempo di una stagione che accetti la sfida prefigurata dal professor Amato.

I nomi di certo non mancano né tra gli esperti, per fare alcuni nomi i professori Stefano Zamagni, Mario Calderini, Fabrizio Barca, Leonardo Becchetti, Giovanni Fosti, Giorgio Vittadini, Chiara Saraceno, Elena Granata, Ernesto Caffo; né tra i dirigenti e leader delle organizzazioni, Carlo Borgomeo, Gianluca Salvatori, Giampaolo Silvestri, Nino Sergi, Marco De Ponte, Antonio Gaudioso, Roberto Rossini, Stefano Granata, Silvia Stilli, Claudia Fiaschi, Anna Fasano,….

Una lista che potrebbe continuare a lungo per la composizione di una vera riserva della Repubblica che verrà.

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