Formazione

Dieci milioni di bambini nel mondo rischiano di non tornare più a scuola

Bambine, rifugiati e minori con disabilità i più a rischio. Save The Children promuove un piano per il rientro a scuola in sicurezza nei Paesi più poveri: investendo 300 euro per ogni bambino, governi e donatori potrebbero garantire l’istruzione ai minori più vulnerabili al mondo, evitando così che un’intera generazione vada perduta

di Redazione

I timori per una generazione perduta nei paesi più poveri del mondo potrebbero essere superati se si investissero 50 miliardi di dollari per garantire il ritorno a scuola in sicurezza a 136 milioni di bambini. È quanto emerge dal documento “Save our education now” diffuso oggi da Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – per garantire il rientro in classe dei minori più vulnerabili del pianeta. Riaprire le scuole e far ripartire l’educazione in 59 tra i Paesi più poveri, calcola l’Organizzazione, costerebbe mediamente circa 300 euro per ogni bambino.

Circa 10 milioni di minori al mondo, si legge nel documento, rischiano di non fare mai più ritorno a scuola in conseguenza della pandemia di Covid-19 e della crescente povertà minorile; e tra i più a rischio vi sono soprattutto le bambine e le ragazze, i minori con disabilità, i rifugiati e tutti i bambini che vivono in aree di conflitto. «Senza educazione, non avremmo potuto sviluppare il vaccino contro il COVID-19 e la prospettiva di un mondo più sicuro. I bambini di oggi sono le donne e gli uomini che domani svolgeranno quelle professioni che avranno un impatto sulla nostra vita quotidiana, cosi come nelle scoperte eccezionali che potranno garantire a tutti un domani migliore. Se il 2020 è stato l'anno della ricerca del vaccino, il 2021 deve essere l'anno degli investimenti nel futuro dei bambini», ha dichiarato Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children.

Dato che molti paesi al mondo non riescono a investire le risorse necessarie per l’educazione, in particolare perché i governi danno la priorità all'assistenza sanitaria per affrontare la seconda ondata del virus, i donatori internazionali devono collaborare con i governi nazionali affinché sia pienamente finanziato un piano per riportare tutti i bambini a scuola in sicurezza, chiede Save the Children. Già prima della pandemia, si legge nel documento diffuso oggi dall’Organizzazione, 258 milioni di bambini, circa 1 su 6 al mondo, erano tagliati fuori dalla scuola con le ragazze ad affrontare gli ostacoli maggiori. Nove milioni di bambine nell’età della scuola primaria, inoltre, rischiavano di non mettere mai piede a scuola, rispetto a 3 milioni di coetanei maschi. E per le bambine e le ragazze vedersi sbarrate le porte della scuola vuol dire ritrovarsi esposte al rischio di rimanere coinvolte in matrimoni e gravidanze precoci. Per effetto dell’impatto economico della pandemia, sottolinea l’Organizzazione, 2,5 milioni di bambine in più in cinque anni rischiano di sposarsi precocemente, spesso con uomini molto più grandi di loro, e nel 2020 si stima che le gravidanze precoci tra le adolescenti siano cresciute di 1 milione.

Anche conflitti e movimenti di massa delle popolazioni producono un impatto sull’educazione dei bambini. Già prima che si diffondesse la pandemia 1 minore su 3 nei paesi affetti da guerre o disastri naturali era fuori dalla scuola, pari a più di un terzo dei bambini che non avevano accesso all’istruzione. 3,7 milioni di bambini rifugiati non andavano a scuola, oltre la metà di tutti i bambini rifugiati in età scolare nel mondo, e solo il 63% dei bambini rifugiati ha frequentato la scuola primaria, rispetto al 91% dei minori a livello globale. In contesti fragili e colpiti dai conflitti, dove i sistemi scolastici sono già di per sé deboli, pertanto, l’impatto della pandemia non fa che esacerbare le disuguaglianze esistenti.

Secondo una recente indagine condotta nei campi per sfollati di Al Hol, Roj e Areesha nel nord-est della Siria, ad esempio, almeno 5.500 bambini hanno smesso di andare a scuola e il 79% degli insegnanti ha dichiarato che il fenomeno è stato causato dalla necessità di lavorare per sostenere finanziariamente le proprie famiglie.

In Uganda, nonostante alcune scuole siano state riaperte, più di 13 milioni di bambini attualmente non vi hanno accesso dalla fine di marzo dello scorso anno, compresi 600 mila bambini rifugiati. Nel distretto di Nwoya, nel nord del Paese, i dati della polizia e del ministero della Salute mostrano che i casi sia di gravidanze adolescenziali che di matrimoni precoci sono raddoppiati e le percentuali di lavoro minorile sono triplicate tra aprile e giugno 2020, mentre i bambini non andavano a scuola. È probabile, tuttavia, che la situazione in realtà sia ancora più grave visto che spesso questi casi non vengono segnalati. «Le cose sono davvero cambiate da marzo dello scorso anno. Quello di cui ora mi preoccupo è che alcune delle nostre amiche sono rimaste incinte a causa della chiusura delle scuole. Alcune stanno abbandonando la scuola perché si sono sposate. Altri ragazzi vanno a lavorare per altre persone, nelle fattorie o al mercato. Alcuni di loro fanno anche lavori pesanti e non hanno niente da mangiare, e così a fine mese si rendono conto di essere sempre più magri e di avere problemi di salute», è la testimonianza di Jonathan, nome di fantasia, un rifugiato sud-sudanese di 15 anni che vive in un campo nell'est dell'Uganda.

Save the Children chiede quindi ai governi e ai donatori di mettere in campo con urgenza cinque misure in grado di garantire il ritorno in sicurezza a scuola a quei bambini che prima del Covid-19 frequentavano regolarmente le lezioni.

In particolare l’Organizzazione chiede di supportare economicamente le famiglie più povere al mondo, in modo che i loro figli possano tornare a scuola e godere di buona salute. Allo stesso modo, chiede di predisporre corsi di recupero per gli studenti che rientrano nel sistema di istruzione formale e misure igienico-sanitarie nelle scuole per proteggere dal Covid-19 gli insegnanti, i bambini e le loro famiglie. Secondo l’Organizzazione è inoltre opportuno avviare campagne di informazione nazionali che promuovano il ritorno in classe in sicurezza degli studenti e realizzare corsi di formazione per gli insegnanti per garantire l’adeguata protezione durante la pandemia.«Più tempo i bambini restano fuori dalla scuola e minore è la probabilità che vi facciano ritorno, perché i minori provenienti dalle famiglie più povere rischiano di essere costretti a lavorare o a sposarsi. L'anno appena trascorso ci ha catapultati in una crisi sanitaria ed economica di proporzioni enormi e nella più grande emergenza educativa che abbiamo mai visto. È fondamentale che i donatori internazionali e i governi nazionali diano ora la massima priorità all'educazione di milioni di bambini in tutto il mondo», ha concluso Daniela Fatarella.

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