Welfare

I nostri anziani, gli angeli necessari

In Italia ci sono più posti letto nelle Rsa che in ospedale: 215.000 più 40mila per la riabilitazione in questi ultimi, contro 285mila più 40mila per le persone con disabilità nelle residenze. Un quadro che impone di cambiare prospettiva e visione

di Angelo Palmieri

Si fa un gran parlare, tra analisi di scenario, prospettive e previsioni, dell’urgente necessità di individuare soluzioni operative atte a “mettere in sicurezza” – espressione sempre pronta a rimbalzare nei vari salotti televisivi con il consueto gruppo di esperti pronti all'analisi e alla soluzione di problemi complessi – la popolazione anziana.

Di contro, politici abbarbicati su posizioni partitiche dal vago sapore ideologico provano a prospettare ipotesi di lavoro che il più delle volte altro non sono se non scialbe riprese di idee e proposte già contenute nei vecchi Piani Sanitari e negli abbozzati Piani Sociosanitari Regionali, magari con l’eccezione di qualche riferimento a una buona pratica sperimentata in un determinato contesto territoriale.

L’85% dei decessi per il virus, che ha colpito gli over 70, sollecita ad andare oltre gli scontati schemi interpretativi, per approdare ad una politica di buon senso in grado di produrre visioni e proposte capaci di mettere in essere modelli di assistenza e di cura o più in generale nuove infrastrutture sociali che, partendo da una revisione del modello residenziale, facciano dell’anziano non tanto il beneficiario di assistenza quanto il soggetto protagonista.

Infatti la pandemia ha evidenziato i sostanziali limiti di fondo delle RSA, visto l’alto numero di contagi e decessi. Di qui la necessaria riflessione che porti a valutare due aspetti fondamentali: una più efficace gestione dei processi di integrazione ospedale – comunità e un rilancio dei servizi socio-sanitari territoriali, già carenti in molte Regioni, specie quanto alle cure domiciliari.

La logica della complessiva rivisitazione del sistema sanitario è giustificata da un quadro demografico e sociale ben delineati dalle recenti statistiche: gli over 75 nel nostro Paese sono 7.058.755, ovverosia l’11,7 % del totale della popolazione.

In Italia ci sono più posti letto nelle Rsa che in ospedale: 215.000 più 40mila per la riabilitazione in questi ultimi, contro 285mila più 40mila per le persone con disabilità nelle residenze. Ciò indica che bisogna trovare modalità nuove di coordinamento e integrazione secondo un approccio di continuità assistenziale, che è la sola in grado di garantire in termini di efficacia di cure, efficienza gestionale e appropriatezza il trattamento dei pazienti fragili, affetti da patologie per cui la presenza di situazioni di comorbilità richiede l’adozione di un approccio integrato e multidisciplinare.

A mio parere la discussione non può più vertere sull’utilità di favorire processi di integrazione tra servizi e aree di intervento, ma sul come e con quali strumenti operativi realizzarli sul campo.

Colpisce che il 10-20% dei casi di pazienti ospedalizzati si stia trasformando in ricoveri sociali con dimissioni difficili; anziani poveri, senza una famiglia, persone che non saprebbero dove andare.

Si rende perciò necessario operare un cambio di rotta sul piano dell’offerta: si giungerebbe ad affermare che curare il sistema serva per curare più appropriatamente l’anziano fragile. Occorrerà approntare sistemi di servizi sociosanitari capaci di contemperare azioni di miglioramento della qualità e di risposta efficace ai bisogni della domanda della popolazione anziana, spostando l’attenzione sul territorio quale soggetto attivo che intercetti il bisogno sanitario e si faccia carico in modo unitario e integrale delle necessità sanitarie e socio-assistenziali del cittadino-paziente.

È ormai accertato che elementi di disfunzioni strutturali e deficienze programmatorie sono emersi in maniera irrefutabile su tutto il territorio nazionale, in particolar modo in quei contesti a forte vocazione “ospedalocentrica”. In ultima analisi è giunto il momento di superare l’obsoleto modello sanitario, basato unicamente su ospedali e su residenze.

Sulle Residenze sanitarie bisognerà ridefinire processi organizzativi. Occorrerà iniziare a ragionare su residenzialità più flessibili e modulari e investire risorse sul personale da destinare alla formazione e competenza professionale. Servono professionisti dell’assistenza e non operatori improvvisati. Servirà uscire dall’ottica del mero servizio-prestazione e assumere un coerente compito di cura, di sostegno fisico, emotivo e sociale, perché in caso contrario, si correrebbe il rischio di replicare su larga scala le criticità esistenti.

Così come sull’assistenza domiciliare integrata si dovrà investire di più visto che siamo il Paese con il maggior numero di anziani in Europa. Ad oggi rappresenta una quota insufficiente dell’assistenza, che si stima mediamente 16 ore all’anno per anziano.

Gli interventi territoriali presso le dimore degli anziani appaiono inadeguati, senza dimenticare che, se privi del gran numero di badanti, tutto il sistema entrerebbe in grande sofferenza. La domiciliarità dell’assistenza e delle cure costituiscono un forte antidoto per prevenire l’isolamento e per assicurare maggiore protezione degli anziani costretti a vivere in solitudine (si stima che l’8.9% non ha figli e vive solo).

Si registra una significativa carenza in termini di risposte organizzate al contrasto della solitudine e dell’isolamento sociale. A questo si deve aggiungere la mancanza di centri diurni e soluzioni applicate di telemedicina.

In definitiva, siamo privi di quella articolazione territoriale in grado di uscire dal loop dell’istituzionalizzazione a tutti i costi. Questo ci sollecita a ripensare a nuovi piani strategici di gestione delle cronicità e delle fragilità da potenziare a scopi preventivi a livello distrettuale.

Le soluzioni residenziali come il cohousing e le case famiglia, con il contributo attivo degli stessi beneficiari, costituiscono la prova provata che si può restare a casa in età avanzata, anche se si è rimasti soli. Gli approcci alla gestione della persona anziana garantirebbero di preservare il patrimonio di legami e relazioni.

L’emergenza sanitaria ha radicalizzato vecchie domande sull’evidenza di superare approcci e modelli di un tempo per approdare a un potenziamento della medicina territoriale, negli intenti sempre annunciato, ma mai affrontato con lungimiranza. Siamo chiamati ad un atto di responsabilità politica e civile nell’intento di compiere una grande operazione di verità quale precondizione di una politica giusta.

Fingere di ignorare la gravità di una situazione anziché affrontarla è cosa non più sostenibile. Per non dimenticare mai che i nostri anziani sono una ricchezza per il presente e per il domani, sono una risorsa per la società, non un peso.

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