Non profit

Decreto Ristori, i “senza partita Iva” trattati come paria

L'intervento del presidente delle Acli: "Nei settori esclusi si contano circa 157mila lavoratori e oltre 2 milioni di volontari. Chiediamo al Governo di intervenire e riaprire i circoli con finalità sociali, soprattutto quelli con mescita. Chiediamo al Parlamento di intervenire in fase di conversione del decreto per ristorare anche le realtà senza partita Iva. Chiediamo a tutte le realtà territoriali di contattare i propri parlamentari per manifestare le buone ragioni"

di Roberto Rossini

l DL Ristori non aiuta il Terzo settore più fragile, quello più bisognoso di sostegni. Nel menu del decreto c'è un po' di tutto, dai taxi ai campeggi, dalle terme ai teatri, c'è molto sport: c'è anche il Terzo settore, ma quello con partita Iva. Stavolta avere una partita Iva è come avere una carta di credito. Per tutto il resto c'è niente: i giornali segnalano che tra gli esclusi ci sono colf e badanti, agenti di commercio e commercialisti e altri ancora. Insomma, categorie forti e categorie deboli. Insisteremo perché la politica tuteli anzitutto i più deboli.

Secondo i dati Istat gli enti che svolgono attività culturali, di sport e ricreazione sono quasi 220mila, di cui il 30% “market” (che, nel caso concreto, possono accedere alle misure del DL 137/2020 bollinato giovedì) e il 70% “non market” (escluse dalla misura, circa 154mila realtà). Nei settori esclusi si contano circa 157mila lavoratori e oltre 2 milioni di volontari. Dopo i mesi di lockdown, una nuova sospensione rischia di portare alla chiusura migliaia di attività, di perdere un prezioso capitale sociale fatto da milioni di volontari e migliaia di lavoratori. Spesso si tratta di lavoratori con contratti temporanei: se per i lavoratori sportivi è prevista una misura di ristoro, risultano scoperti i lavoratori delle altre attività, culturali e ricreative: sociali.

La politica ha sempre riconosciuto il ruolo dei circoli territoriali delle associazioni, delle piccole realtà che filano il “tessuto sociale”, che creano coesione, che aiutano le persone e le famiglie a vivere le emergenze sociali. Non è solo “tempo libero”, è proprio una funzione sociale, che da sempre connota il nostro territorio e l'esperienza del corpo sociale italiano. Paese che vai, circolo che trovi. Ma poi la politica deve agire di conseguenza, aiutando in modo concreto chi aiuta le persone e le famiglie. Non possiamo chiudere la porta: si può chiudere la socialità? Si può tenere chiusa la porta dell'accoglienza? Direi che in questa fase non è il caso, che non va bene, che è un danno per la comunità tutta. In questi mesi abbiamo duramente lavorato per metterci a norma, per tutelare il diritto alla salute di tutti i nostri soci.

Infatti c'è anche la questione della sopravvivenza economica e finanziaria: noi non siamo ricchi, agiamo con le risorse che abbiamo, che non sono tante. Siamo riconoscenti del fatto che sia stato previsto un ristoro per i circoli con partita Iva: è un passo avanti, come molti oggi mi hanno ripetuto. Vero. Ma i circoli con partita Iva sono (a malapena) l'8% di tutti i nostri circoli. Allora occorre fare un altro passo avanti, per aiutare tutte le realtà sociali, anche quelle più piccole e più deboli.

Chiediamo al Governo di intervenire e riaprire i circoli con finalità sociali, soprattutto quelli con mescita. Chiediamo al Parlamento di intervenire in fase di conversione del decreto per ristorare anche le realtà senza partita Iva. Chiediamo a tutte le realtà territoriali di contattare i propri parlamentari per manifestare le buone ragioni. I modi per riparare ci sono e l'occasione è quella buona.

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