Salute
Terapie geniche: fra etica, efficienza e problemi di equità
L'equità è spesso vista come nemica dell'efficienza. Oggi più che mai, nei contesti della ricerca e della cura, l'equità è invece un punto dirimente per le nostre società. Anche in materia di terapie geniche
Le terapie geniche, al pari dei test diagnostici che hanno come obiettivo la mappatura del patrimonio genetico, rappresentano efficaci strumenti nel trattamento di patologie che oggi mostrano un ampio spettro di bisogni disattesi, a cominciare dalle malattie rare e da alcuni tipi di tumore.
L’affermazione di tali strategie terapeutiche non è solo configurabile come innovazione “di prodotto”, ma implica un cambiamento radicale di approccio alle cure. Pertanto, laddove ci si accinga ad estrapolarne il reale valore per una comunità, non si può prescindere dalla necessità di valutare una serie di elementi di processo e di sistema.
Innanzitutto l’assoluta necessità di confinare lo spazio di intervento associato alle terapie geniche all’interno dell’ambito definito dalla Costituzione della Repubblica, che con l’articolo 32 sancisce il diritto alla tutela della salute.
Sono necessarie, dunque, precise scelte che abbiano finalità strettamente terapeutiche. La terapia genica va ricusata quando non è al servizio della salute.
Ciò, con riferimento alla prospettiva economico-sanitaria, può essere declinato lungo due assi di riflessione.
La prima si colloca all’interno di una corretta definizione del rapporto fra scienza ed etica in ordine alla necessità di mantenere salda la natura del rapporto fra medico e paziente, che lo stesso giuramento di Ippocrate ha inteso come essenzialmente rivolto alla cura e al miglioramento della salute.
Il rapporto medico-paziente, che ad una lettura economica è interpretabile come relazione di agenzia, è determinato dal fatto che il paziente possiede un patrimonio informativo che gli consente, a fronte di una situazione di disagio, di avvertire segni, sintomi e senso di smarrimento. Ma ciò non è sufficiente ad interpretare correttamente i propri bisogni di salute, individuando il trattamento appropriato.
Il ruolo sociale del medico non può non essere quello di assicurare il soddisfacimento dei bisogni di salute in linea con le preferenze dei pazienti, ma pur sempre in coerenza ovvero in sintonia con i valori espressi dalla collettività.
Va decisamente evitato il perseguimento di obiettivi di natura strettamente individualistica, spesso radicati in fenomeni distorsivi del rapporto medico-paziente, come il cosiddetto “consumismo sanitario”.
La seconda linea di riflessione attiene alla definizione del rapporto fra giustizia sociale ed etica con riferimento alla sostenibilità delle nuove terapie.
È fondamentale rammentare che la salute è intrinsecamente annodata ad aspetti sociali, economici e politici. Essa è un diritto dell’essere umano: povertà, iniquità, sfruttamento, ingiustizia sono le concause di malattie e morti premature.
È noto come l’investimento in ricerca e sviluppo teso a rendere le nuove terapie geniche efficaci e sicure richieda un grande impegno che inevitabilmente si ripercuote sui costi dei conseguenti trattamenti.
Sebbene attualmente l’ambito di queste terapie sia limitato alle patologie rare e ad alcune forme neoplastiche, ci si attende che nei prossimi anni esse possano trovare più ampia applicazione nei vari campi della medicina con conseguenti problemi di sostenibilità.
Il quesito a cui un sistema sanitario di tipo universalistico deve rispondere non è “se” assicurare tali terapie a chi ne ha effettivamente bisogno (secondo la logica suggerita nella prima linea di riflessione), è piuttosto il “come” rendere tali soluzioni innovative sostenibili.
Si rende necessario, dunque, un paradigma che sia rivolto, su base sistemica, a definire con precisione “ex ante” gli obiettivi di salute da perseguire, per poi identificare i servizi sanitari e le modalità di erogazione degli stessi secondo logiche di efficienza. Solo successivamente si dovranno studiare sistemi per reperire e generare nuove disponibilità di risorse necessarie all’implementazione.
Se ne deduce che la crescita economica gioca un ruolo fondamentale. Non affrontare tale sfida significa accettare come conseguenza che, nel tempo a venire, tali trattamenti si rendano disponibili solo mediante programmi di assicurazione privata, disegnati secondo individuali esigenze “consumistiche” e non necessariamente regolate dal rapporto di agenzia fra medico e paziente. Destinati, secondo le logiche del mercato, a chi è in grado di pagarli, o magari di rimborsarli nell’arco della vita naturale, ammesso che si abbia un grado di istruzione ed una produttività sul lavoro, che in prospettiva glielo consentano.
Ciò avrebbe inevitabili conseguenze in termini etici poiché porrebbe seri problemi di equità, lì dove, se in linea con il soddisfacimento di bisogni di salute reali, tali terapie potrebbero garantire una prospettiva di sviluppo, se capaci di assicurare ad una platea di “meno garantiti” l’accesso ad una piattaforma più ampia di opportunità.
Ciò, secondo la visione di Amartya Sen, economista e filosofo indiano premio Nobel nel 1998, è quanto di meglio le società moderne possano fare per uscire dal dilemma che le ha rese sinora prigioniere, ovvero il perseguire l’efficienza a discapito dell’equità.
* Ricercatore, Istituto Superiore di Sanità; Professore di Politica economica ed Economia applicata, St Camillus International University of Health and Medical Sciences
**Sociologo e Dottore di Ricerca in Economia e Gestione dei Servizi Sanitari
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