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Liberate i pescatori di Mazara
Da ormai 45 giorni 18 componenti degli equipaggi di quattro rispettivi pescherecci della marineria di Mazara del Vallo si trovano detenuti in Libia. I familiari chiedono risposte immediate al Governo, ma le richieste dei pescatori che da anni chiedono una zona di sorveglianza sono da tempo rimaste inascoltate. Uno scenario che poteva essere evitato, ecco il perché
Sono trascorsi 45 giorni da quel primo settembre quando i due pescherecci della marineria di Mazara del Vallo, l’Antartide e la Medinea con 18 componenti dei rispettivi equipaggi sono stati sequestrati dalle milizie libiche a 38 miglia da Bengasi. Pescatori siciliani, ma anche senegalesi, tunisini e indonesiani che si sono trovati in quel tratto di mare in acque internazionali da decenni rivendicato dalle autorità libiche, ma che l’ordinamento internazionale non ha mai riconosciuto.
I familiari dei pescatori di Mazara continuano la loro protesta davanti ai palazzi delle istituzioni, da Montecitorio all’aula del consiglio comunale di Mazara del Vallo, e chiedono al Ministro degli Esteri un rapido intervento per liberare i pescatori di cui non si ha più notizia.
La storia dei sequestri dei pescherecci siciliani in acque internazionali antistanti il mare territoriale libico non è purtroppo una novità. Dal 1990 ad oggi se ne contano un centinaio. Nel 1996 toccò all’imbarcazione Osiride di Domenico Asaro che trascorse sei mesi di prigionia in Libia dopo essere stato esposto ai colpi di mitra da parte delle milizie libiche. E ancora nel 2010 e nel 2012 sempre in quel tratto di mare. Il pescatore Roberto Figuccia fu invece sequestrato due volte nel 2015 e nel 2018. Sequestri, cauzioni, obbligo di comprarsi il proprio pescato. E tanta paura per i familiari. Una storia che si ripete.
Da quell’appello nulla è cambiato e le varie fazioni libiche si sono sempre più appropriate del Mediterraneo centrale.
Dalla data del primo Memorandum Italia-Libia del 2 febbraio 2017, annualmente rinnovato, il sostegno dell’Italia alla Libia è mirato al cosiddetto “controllo del flusso migratorio”. Il 7 luglio di quest’anno il Senato approvando il provvedimento del rifinanziamento delle missioni all’estero ha stabilito lo stanziamento di oltre 58 milioni di euro destinati alla Libia, di cui 10 (3 in più dello scorso anno) destinate al rafforzamento della Guardia Costiera libica, con un impiego su più fronti di unità navali della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri.
Nulla invece a sostegno dei pescatori che tra i fermi imposti dalla leggi nazionali ed europee svolgono per un periodo l’anno il proprio lavoro in quelle zone dove il fondale è stato da sempre ricco di pesce e di gambero rosso.
Dal 1973 quando la Libia dichiarò il Golfo di Sirte come parte delle sue acque interne sono trascorsi 47 anni. Rivendicazione che allora fu respinta dai principali paesi membri dell’Europa (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito), ma che venne poi riproposta da parte dei libici nel 2005 e nel 2009 quando venne dichiarata una zona economica esclusiva, il cui limite esterno non è stato ancora tracciato.
È il 28 giugno del 2018, l’Imo (Organizzazione Marittima internazionale) registra su comunicazione delle autorità libiche la zona Sar (Search and Rescue) libica con un proprio centro di coordinamento di soccorsi (JRCC). Il “controllo dei flussi migratori” si sovrappone così alla zona pesca, autolegittimando così le varie fazioni libiche che tutt’oggi rivendicano quel tratto di mare.
«La vicenda dei pescatori di Mazara del Vallo mette in evidenza la finzione della cosiddetta zona Sar libica e l’inesistenza della Libia come Stato unitario come unico governo. Questo mette a rischio la vita dei pescatori sicilani perché le autorità di Bengasi non sono neppure rinosciute come Stato a livello internazionale. I pescatori siciliani sono sottoposti a sequestro di persona ed il governo ufficiale di Tripoli non ha i mezzi per esercitare la giurisdizione su di loro», spiega Fulvio Vassallo, avvocato, esperto di diritti umani e già docente di diritto internazionale all'Università di Palermo.
A questo preciso scenario, si aggiunge il ricatto del generale Haftar, che secondo diverse agenzie di stampa internazionali, continua a insistere sulla trattiva per arrivare a un possibile scambio dei prigionieri. La liberazione dei pescatori di Mazara del Vallo in cambio di quattro giovani libici (calciatori professionisti) accusati di essere i responsabili della strage avvenuta nel Mediterraneo centrale a Ferragosto nel 2015, con 49 morti che vennero fatti sbarcare all’interno di una cella frigo dalla nave norvegese Siem Pilot al porto di Catania.
A seguito dell’interrogazione parlamentare (Faraone, Garavini, Sbrollini, Magorno, Comincini, Marino, Grimani, Vono, Sudano, Cucca) in cui è stato chiesto al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale di intensificare gli sforzi diplomatici per risolvere la questione nel più breve tempo possibile, il ministro Luigi Di Maio ha risposto: «É la nostra priorità».
Non si può più aspettare.
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