Politica

Uscite didattiche? Se sono ordinaria attività si possono fare

Una nota del Ministero dell'Istruzione chiarisce il passaggio del dpcm del 13 ottobre che vieta tutte le gite e le uscite scolastiche. Una decisione che sembrava un clamoroso passo indietro rispetto all'idea di scuola diffusa e patti educativi di comunità su cui in estate le scuole più attive si erano mosse, sollecitate proprio dal ministero. Ecco tutti i chiarimenti

di Sara De Carli

Fuori da scuola? Si può andare. Lo chiarisce una nota inviata oggi dal Ministero dell’Istruzione alle Scuole, a firma del capo dipartimento Max Bruschi. A sollevare tanti dubbi e proteste, nella giornata di ieri l’articolo 1, comma 6, lettera s) del DPCM del 13 ottobre, che prevede, alla lettera, quanto segue: «sono sospesi i viaggi d’istruzione, le iniziative di scambio o gemellaggio, le visite guidate e le uscite didattiche comunque denominate, programmate dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, fatte salve le attività inerenti i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, nonché le attività di tirocinio». Quel «comunque denominate» e le uniche due eccezioni previste parevano troncare le tante esperienze di scuola aperta al territorio costruite quest’estate, seguendo – paradossalmente – proprio le indicazioni arrivate dalla “commissione Bianchi” anche per ovviare al problema degli spazi interni alla scuola.

Ora il Ministero chiarisce che «la disposizione non si riferisce alle ordinarie attività didattiche organizzate dalle singole istituzioni scolastiche in spazi alternativi ubicati all’esterno degli edifici scolastici allo scopo di tradurre le indicazioni volte a prevenire e contenere la diffusione del contagio con l’individuazione di ulteriori aree atte a favorire il distanziamento fisico in contesti di azione diversi da quelli usuali. Pertanto restano regolarmente consentite, ovviamente rispettando i protocolli di sicurezza, tutte le attività didattiche svolte in ordinaria organizzazione in altri ambienti, come ad esempio parchi, teatri, biblioteche, archivi, cinema, musei, in ottemperanza al compito formativo istituzionale, anche a seguito di specifici accordi quali i “Patti di comunità” , in collaborazione con gli Enti locali, le istituzioni pubbliche e private variamente operanti sui territori, le realtà del Terzo Settore e tutti coloro i quali hanno non solo aderito, ma applicato il principio di sussidiarietà e di corresponsabilità educativa». Potranno quindi continuare tutte le attività didattiche che si svolgono ordinariamente e non saltuariamente in ambienti come i parchi, i teatri, le biblioteche, gli archivi, i cinema, i musei e quelle all’aperto.

Il caso era stato sollevato con vigore ieri da Alfonso D’Ambrosio, dirigente dell’IC di Lozzo Atestino e Vo’, una delle prime scuole d’Italia ad aver siglato quei “Patti di comunità” auspicati dal ministero. «È paradossale, ci è stato chiesto di promuovere le lezioni all’aperto e noi lo abbiamo fatto pur avendo aule da 84mq per 23 alunni, una situazione che pochissimi hanno. Lo abbiamo fatto per un discorso di sicurezza e di prevenzione del contagio ma anche per una idea pedagogica di comunità educante e di educazione diffusa. I nostri bambini andranno nei boschi a prendere funghi e castagne, facendo lezione all’aperto, in tutta sicurezza, una classe per volta. È di questo che stiamo parlando. Buttare tutto non ha senso e una scelta di questo tipo nemmeno serve – almeno nel nostro contesto – a contenere la pandemia. Chi ci rimette? I bambini, in particolare i più piccoli e quelli che vivono nei paesi».

Slava quindi un'intuizione che ha permesso in tante scuole di fare scuola in sicurezza ma senza trasformare la scuola nello stare fermi seduti e zitti a un metro di distanza. La scuola che abbiamo raccontato nel numero di VITA "Una nuova scuola si può fare".

In allegato la nota del Ministero.

In foto, attività all'aperto nell'IC di Lozzo Atestino

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