Salute
Oxfam: «Il Covid? Ha scoperchiato le disuguaglianze globali»
Una nuova analisi, pubblicata in vista dell’annual meeting del FMI e della Banca Mondiale, mostra come la maggioranza dei paesi del mondo fosse impreparata ad affrontare l’emergenza Covid: solo 26 dei 158 paesi analizzati investivano a sufficienza in salute pubblica. Le politiche sanitarie di Stati Uniti e India, due dei paesi al mondo più colpiti dalla pandemia, continuano ad escludere centinaia di milioni di persone
di Redazione
Con una spesa sanitaria insufficiente, reti di sicurezza sociale inadeguate, scarsa tutela dei diritti dei lavoratori la maggior parte dei paesi nel mondo si è ritrovata del tutto impreparata di fronte alla crisi provocata dal Covid-19. È quanto emerge dall’analisi di Oxfam e Development Finance International (DFI) diffusa oggi, in vista del vertice annuale del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale in programma dal 12 al 18 ottobre.
Una fotografia, che analizzando le politiche di 158 paesi relativamente ai servizi pubblici, al fisco e ai diritti dei lavoratori, tre aree strategiche per ridurre la disuguaglianza e superare l’emergenza coronavirus, rivela come prima dello shock pandemico solo 26 dei 158 paesi analizzati destinavano un livello di risorse adeguate alla sanità pubblica, stimabili nel 15% della spesa pubblica totale. Inoltre agli inizi della diffusione globale della pandemia in 103 paesi almeno un lavoratore su tre non godeva di diritti e tutele essenziali come l’indennità di malattia.
«In molti paesi, le politiche fiscali, di spesa pubblica e della tutela del lavoro si sono rivelate fortemente inadeguate a lottare contro la disuguaglianza. Questo ha reso più fragile la tenuta di molti Paesi di fronte all’immane emergenza della pandemia», ha dichiarato Chema Vera, Direttore Esecutivo di Oxfam International, «Al netto della retorica, pochi governi al mondo negli ultimi anni si sono veramente impegnati a contrastare le disuguaglianze economiche e sociali e a tutelare adeguatamente le persone più vulnerabili. La pandemia ha peggiorato una situazione già gravemente compromessa. Milioni di persone sono finite in povertà, si è aggravata la piaga della fame e centinaia di migliaia di persone hanno perso la vita».
Gli USA fanalino di coda tra i Paesi G7, su tutela del lavoro e accesso alla sanità
Secondo l’analisi di Oxfam e DFI, prima della pandemia, nessun paese era sufficientemente impegnato nella lotta alle disuguaglianze su scala nazionale, ma l’aspetto ancor più grave è rappresentato dai limiti dell’azione governativa in molti Paesi dopo lo scoppio della pandemia:
gliStati Unitisono il fanalino di coda dei paesi del G7, con una performance peggiore di quella di paesi a basso reddito come Sierra Leone e Liberia in merito a legislazione sul lavoro a causa di politiche anti-sindacali e livelli eccezionalmente bassi del salario minimo legale. L’Amministrazione Trump ha concesso lo scorso aprile solo un temporaneo aiuto ai lavoratori più vulnerabili attraverso un pacchetto di stimolo all’economia, ma ciò è avvenuto dopo il taglio alle imposte del 2017, di cui hanno per lo più beneficiato grandi corporation e individui più abbienti. L’analisi di Oxfam e DFI conferma come la pandemia abbia colpito un paese con un sistema sanitario che esclude milioni di persone povere, soprattutto le comunità nere e latino-americane, fotografando una società in cui solo 1 famiglia afroamericana su 10 può permettersi un’assicurazione sanitaria contro le 7 famiglie su 10 nella comunità bianca;
- Nigeria, Bahrain e India – paese in cui il contagio si diffonde al tasso più elevato su scala globale – già prima della pandemia avevano politiche di contrasto alle disparità tra le più deboli al mondo. La spesa sanitaria dell’India è, in termini percentuali rispetto alla spesa pubblica complessiva, la quarta più bassa al mondo; qui solo metà della popolazione ha accesso ai servizi sanitari essenziali. Sempre in India inoltre, diversi stati federali, con condizioni di lavoro tra le più già disastrose, hanno approfittato della pandemia per aumentare le ore lavorative da 8 a 12 al giorno e sospendere la legge sul salario minimo, riducendo in povertà milioni di lavoratori;
- in Kenya a seguito del diffondersi del COVID il governo ha tagliato le imposte ai più ricchi e alle grandi aziende, e stanziato finanziamenti irrisori per rafforzare misure di protezione sociale e sanitaria per la popolazione. Quasi 2 milioni di cittadini kenioti hanno perso il lavoro e decine di migliaia di persone che vivono negli slum di Nairobi o in zone rurali, non hanno ricevuto quasi alcun aiuto dal governo e versano in condizioni di profonda insicurezza alimentare;
- in Colombia, 22 milioni di lavoratori informali non hanno l’indennità di malattia e anche se risultano positivi al COVID19 sono costretti a lavorare. Le donne sono le più colpite dalla crisi economica, con un tasso di disoccupazione arrivato al 26%, mentre quello maschile è al 16%.
Italia ancora indietro su spesa per istruzione e progressività dell’imposizione fiscale
Esiste poi una zona “grigia”, dove accanto al progresso significativo registrato da alcuni paesi nel contrasto alla disuguaglianza prima della pandemia, altri paesi non avevano registrato particolari progressi. In particolare:
- un paese come la Corea del Sud aveva aumentato il salario minimo dei lavoratori, così come Botswana, Costa Rica e Tailandia avevano incrementato la spesa sanitaria, mentre la Nuova Zelanda aveva lanciato un programma ad hoc per affrontare la povertà minorile e disuguaglianze sociali;
- al contrario Paesi come Germania e Gran Bretagna, invece anche prima della diffusione del COVID registravano graduali arretramenti sulle politiche di riduzione delle disuguaglianze, ad esempio sul fronte del potenziale redistributivo dei sistemi fiscali nazionali;
- per quanto riguarda l’Italia, tra le maggiori criticità riscontrate figurano il basso livello di spesa pubblica per l’istruzione (l’8,2% sul totale della spesa pubblica ovvero poco meno del 4% in percentuale del PIL nel 2018), un grado limitato di progressività strutturale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche e la bassa produttività dei sistemi IRPEF, IRES e IVA.
L’esempio dei paesi a basso reddito nella riduzione delle disuguaglianze
Infine alcuni casi di paesi a basso e medio reddito che comunque hanno saputo attuare politiche mirate a ridurre le disparità. In particolare:
- il Togo e la Namibia, paesi nei quali i governi erano impegnati in politiche fortemente redistributive prima della pandemia, hanno fornito sussidi mensili ai lavoratori informali che hanno perso il lavoro a causa delle restrizioni imposte dai lockdown. L'Ucraina, con un livello di disuguaglianza tra più bassi al mondo nonostante il suo PIL di non grandi dimensioni, ha aumentato del 300% la retribuzione degli operatori sanitari in prima linea per la risposta al Covid19;
- dallo scoppio della pandemia il Bangladesh ha stanziato 11 milioni di dollari per gli operatori sanitari, in maggioranza donne, che si trovano in prima linea nei presidi sanitari. Sia Bangladesh che il Myanmar hanno esteso i propri strumenti e programmi di protezione sociale ad oltre 20 milioni di cittadini.
Aumentato il lavoro di cura non retribuito per le donne
In generale, le donne – che guadagnano meno, risparmiano meno e svolgono lavori precari – sono state particolarmente colpite dai lockdown, mentre violenza di genere e lavoro di cura non retribuito sono aumentati.
L’appello ai Governi
«La disuguaglianza estrema non è inevitabile, Servizi sanitari pubblici e gratuiti, solide reti di protezione sociale, efficace legislazione sul salario minimo, sistemi fiscali più equi costituiscono pilastri imprescindibili per la lotta alla disuguaglianza. Trascurarli è una precisa scelta politica che ha conseguenze economiche e sociali disastrose, come il Covid-19 ha ampiamente dimostrato.I governi oggi più di prima devono cogliere l’opportunità per costruire società più giuste e resilienti, garantendo un futuro più equo a tutti»,conclude Chema Vera.
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